Revoca delle dimissioni del padre e della madre nel periodo protetto

Cosa dice la nota dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro e quali sono le implicazioni per i lavoratori e le lavoratrici.

Revoca delle dimissioni del padre e della madre nel periodo protetto

Introduzione

Con una nota dell’8 maggio 2024, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, rispondendo ad alcune richieste di chiarimento di proprie strutture territoriali, ha esaminato la questione della revoca delle dimissioni presentate dalle lavoratrici e dai lavoratori entro i tre anni dalla nascita del bambino, confermate avanti ad un funzionario dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

La questione dimissioni convalidate si pone, sia pure con effetti diversi, per:

  1. La lavoratrice nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza ed il giorno del compimento di un anno di età del bambino;
  2. Il lavoratore che, ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo n. 151/2001 fruisce, in sostituzione della madre (perché morta, perché incapace di attendere alle cure del figlio o della figlia, perché ha abbandonato il tetto coniugale ed il padre risulta l’unico assegnatario per le cure del bambino), della tutela protetta fino ad un anno dalla nascita;
  3. Il lavoratore che ha fruito del congedo obbligatorio di paternità nel, periodo compreso tra il settimo mese di gravidanza della moglie o della compagna e fino al quinto mese successivo alla nascita della prole;
  4. La lavoratrice ed il lavoratore fino al compimento di tre anni dalla nascita.

La Nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Dopo questa breve presentazione relativa alle varie ipotesi (e sulle quali tornerò tra poco per esaminare gli effetti che le stesse riverberano sul datore di lavoro), passo ad esaminare il contenuto della nota dell’INL n. 862.

Quest’ultimo parte da una constatazione che riguarda le dimissioni, dopo il primo anno di vita della prole, e fino al compimento dei tre anni: la convalida è stata voluta dal Legislatore per accertare che le stesse (soprattutto con riguardo alla madre) siano state presentate al datore di lavoro senza alcun condizionamento o coartazione della volontà, alla luce del fatto che la tenera età del bambino e la stessa possibilità di fruire dell’astensione facoltativa, possono essere foriere di ripetute assenze dal posto di lavoro.

Il D.L.vo n. 151/2001 non regolamenta l’ipotesi della revoca delle dimissioni alle quali non è minimamente applicabile la procedura della revoca entro sette giorni dalla presentazione, previste  dalla procedura telematiche per altre risoluzioni anticipate del lavoratore o della lavoratrice, in quanto è lo stesso articolo 26, commi 1 e 2, del D.L.vo n. 151/2015 ad escluderla.

Le dimissioni, ricorda l’INL, sono un atto unilaterale di natura ricettizia che, nel caso di specie sono subordinate alla convalida di un organo pubblico che deve, nei limiti del possibile, accertare la libera espressione della volontà. Ciò detto le stesse possono essere, senz’altro, revocate.

Ma fino a quando?

L’Agenzia Ispettorato Nazionale del Lavoro indica due possibili momenti:

  1. Fino a quando non è stato emesso il provvedimento di convalida;
  2. Fino a quando, pur in presenza di un provvedimento di convalida emesso, non si è giunti al termine finale fissato per la fine della prestazione lavorativa;

Si è quindi in un momento che precede l’efficacia della convalida: di conseguenza, verificandosi tale situazione, si potrà anche procedere alla revoca del provvedimento ma, tutto questo è subordinato sia alla conoscenza di tale situazione da parte dell’ITL (vuoi con una comunicazione della diretta o del diretto interessato o anche da una loro dichiarazione rilasciata in presenza)  che ad un nuovo accertamento istruttorio dal quale emerga la consapevolezza che tale decisione di revoca delle dimissioni non sia frutto di una coartazione. Qualora ne sussistano le condizioni si potranno programmare accessi ispettivi, richiesti anche dalle note n. 5296/2019 e n. 5534/2019, finalizzati ad accertare che tale revoca non discenda da comportamenti discriminatori o comunque illeciti posti in essere dall’apparato aziendale.

Da ultimo, l’INL ricorda che in presenza di un provvedimento di convalida o di scadenza del termine ultimo delle prestazioni lavorative, non sarà più possibile revocare le dimissioni ma il rapporto potrà, nuovamente, costituirsi in base al libero incontro delle volontà della lavoratrice o del lavoratore con quella del datore.

Fin qui la nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che, a mio avviso, porta ad effettuare alcune considerazioni su ciò che spetta alle lavoratrici ed ai lavoratori a fronte delle dimissioni “convalidate”.

Se queste ultime avvengono dopo il primo anno dalla nascita del bambino ed entro il terzo anno dello stesso, non spetta alcuno degli emolumenti aggiuntivi previsti dall’art. 55, comma 1, del D.L.vo n. 151/2001.

Se, invece, intervengono nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento, al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 54, la lavoratrice, il lavoratore che fruisce della tutela ex art. 28 e il lavoratore che ha fruito del congedo di paternità con contratto a tempo indeterminato non sono tenuti al preavviso e fruiscono sia dell’indennità di mancato preavviso che del versamento all’INPS del contributo di ingresso alla NASPI, oltre ad eventuali indennità specifiche previste dal contratto collettivo per tale particolare situazione.

Questo afferma la disposizione integrata dalle norme introdotte con il D.L. vo n. 105/2022 e ciò va, senz’altro, bene, come detto, in presenza di rapporti a tempo indeterminato, tra i quali va compreso l’apprendistato.

Ma, a questo punto, mi chiedo: valgono le stesse regole se, ad esempio, a dimettersi è un lavoratore in forza con un contratto a tempo determinato che ha fruito del congedo dì paternità?

Sul punto, non mi risultano chiarimenti da parte degli organi amministrativi ed in passato, l’INL, fornendo le proprie interpretazioni di prassi, non sembra aver affrontato la questione.

La norma richiamata (art. 55, comma 1) dispone che l’interessato sia destinatario delle indennità previste dalla legge e del contratto collettivo in caso di licenziamento.

In Conclusione

Ora, si può affermare che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è possibile per i lavoratori a tempo determinato e che non è previsto un periodo di preavviso, risolvendosi lo stesso con il raggiungimento del termine di scadenza. Di conseguenza, non credo che si possa corrispondere l’indennità di mancato preavviso che è un istituto (art. 2118 c.c.) che trova applicazione, come recita la rubrica dell’articolo, ai contratti a tempo indeterminato e al contempo, non credo che si possa versare il contributo di ingresso alla NASPI, atteso che l’art.  2, comma 31, della legge n. 92/2012 lo riferisce alle interruzioni dei contratti a tempo indeterminato. Se di una indennità si vuole parlare, facendo gravare l’onere sul datore con una inversione dello stesso, questa potrebbe essere, al massimo, relativo alle mensilità mancanti fino alla fine del contratto a termine.

È questa una mia opinione che affido, in mancanza di specifiche indicazioni, alla riflessione degli addetti ai lavori.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 331 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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