Il pagamento di retribuzioni e compensi tra nuovi oneri, tracciabilità e controlli ispettivi [E. Massi]
Parlando delle novità introdotte con la legge n. 205/2017, ho già avuto modo di soffermarmi sui nuovi oneri per i datori di lavoro e sugli obiettivi che il Legislatore si è posto imponendo la tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi: ora, a circa un mese dalla piena entrata in vigore, ritengo necessario tornare sull’argomento cercando che analizzare le questioni di maggiore criticità ed i controlli che gli organi di vigilanza potranno effettuare in relazione a tale nuovo adempimento.
Il 1° luglio 2018 rappresenta una data che è destinata ad incidere in maniera abbastanza profonda sui rapporti tra datori di lavoro e dipendenti, committenti e prestatori: la questione riguarda, innanzitutto, le imprese di piccole dimensioni abituate al pagamento “cash” ma anche quelle di maggiori grandezza che, magari, per prestazioni di breve durata (penso al lavoro “a chiamata” o ai servizi fino a tre giorni nel turismo e nei pubblici esercizi) utilizzano il contante per erogare le retribuzioni o i compensi. Da quel giorno, infatti, con alcune norme inserite nei commi da 910 a 914 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, il Legislatore ha imposto, per qualsiasi prestazione lavorativa sia subordinata che di collaborazione coordinata e continuativa (ma anche per quelle dei soci lavoratori), la piena tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi.
Si tratta di uno strumento positivo che introduce un elemento di chiarezza nello svolgimento dei rapporti di lavoro: esso, indubbiamente, faciliterà il compito degli organi di vigilanza deputati al controllo delle regolarità lavorative anche se, come vedremo, potrà presentare alcune difficoltà operative che dovranno essere dipanate con alcuni chiarimenti amministrativi (al momento, a parte la circolare n. 2/2018 ricognitiva delle novità introdotte con la legge n. 205/2017, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato, in data 22 maggio 2018, soltanto un parere indirizzato al Comando Generale della Guardia di Finanza circa le modalità procedurali per l’applicazione della nuova sanzione).
L’analisi che segue tratterà i contenuti dei singoli commi, correlando i nuovi adempimenti con quelli “vecchi” che rimangono (ad esempio, consegna della busta paga).
Il comma 911 dispone l’assoluto divieto di corrispondere la retribuzione, attraverso il denaro contante direttamente al lavoratore, a prescindere dalla tipologia contrattuale intercorrente. Nel divieto rientrano, a mio avviso, anche gli anticipi sulla retribuzione mensile, prassi abbastanza ricorrente presso molte aziende.
Le nuove disposizioni richiedono un esame attento che, però, deve essere preceduto da alcune riflessioni che scaturiscono da una domanda: questo strumento facilita l’azione di repressione nei confronti di quelle prestazioni ove parte della retribuzione o del compenso viene corrisposta in “nero”?
La risposta è che, difficilmente, aiuterà a scoprire tali situazioni ove una parte della prestazione viene riportata in busta paga e pagata regolarmente, nel rispetto dei minimi contrattuali (e dal 1° luglio risulterà “tracciata”), e la restante “in nero”, previo accordo tacito tra le parti (è il caso, ad esempio, del personale altamente specializzato che opera, per alcuni mesi nel periodo estivo, in complessi turistici o della ristorazione): qui, difficilmente, se non percorrendo altre strade, gli ispettori del lavoro e gli altri organi deputati alla vigilanza riusciranno a portarla alla luce (ovviamente, se ciò dovesse accadere, si applicherà la nuova sanzione e si effettueranno i relativi recuperi contributivi e si irrogheranno le altre sanzioni amministrative correlate).
Piuttosto, la tracciabilità è finalizzata a colpire quei datori di lavoro (che, purtroppo, esistono) i quali, in busta paga, riportano la retribuzione contrattuale ma che, nella sostanza, in contanti, danno al lavoratore una somma minore: anche qui si è ben coscienti che, purtroppo, forme di pressione nei confronti dei lavoratori ci saranno e, magari, attraverso indebite pressioni, con minacce più o meno velate, una parte del dovuto sarà sottratta con evidenti rilievi di natura penale che potranno portare gli organi di vigilanza segnalare il tutto, con prove, all’autorità giudiziaria.
Ma, quali sono, le tipologie contrattuali che rientrano nella previsione normativa?
E’ il comma 912 a fornire la risposta. Essi sono:
- i rapporti di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.: i lavoratori sono prestatori di lavoro subordinato che si obbligano, dietro il pagamento della retribuzione a collaborare nell’impresa, fornendo il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Il successivo art. 2095 c.c. li distingue in dirigenti, quadri, impiegati ed operai. Tali rapporti rientrano, a pieno titolo, nella nuova disciplina a prescindere dalla tipologia e dalla durata (tempo indeterminato, tempo determinato, apprendistato di qualsiasi tipologia, intermittente, part-time, lavoro a domicilio, telelavoro, smart-working, – queste due ultime citazioni rappresentano, ovviamente, una modalità di svolgimento della prestazione subordinata-). Le prestazioni occasionali ex art. 54-bis della legge n. 96/2017 sono, di per se stesse, già tracciate in quanto i pagamenti avvengono attraverso la piattaforma telematica dell’INPS e non necessitano di altro;
- i contratti di collaborazione coordinata e continuativa: essi riguardano il committente ed il collaboratore e si caratterizzano per la prestazione esclusivamente personale, continuativa e le cui modalità di esecuzione ed i tempi di lavoro sono organizzate dal prestatore (e non dal committente) come afferma l’art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 o dove si realizzano le condizioni previste dall’art. 409, n. 3, cpc, come modificato dall’art. 15 della legge n. 81/2017. La disposizione si applica anche alle collaborazioni che esulano dalla rigida disciplina del comma 1 e che sono menzionate nel successivo comma 2 del predetto art. 2. Il Legislatore non cita le forme di lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c. che, pertanto, ritengo siano fuori dall’ambito di applicazione della nuova normativa;
- gli ulteriori contratti di lavoro, oltre il vincolo associativo, qualunque sia la forma prescelta, stipulati dai soci delle cooperative, secondo la previsione contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001.
Restano fuori dall’ambito di applicazione, perché detto chiaramente dal Legislatore, i rapporti instaurati con le Pubbliche Amministrazioni e con i datori di lavoro domestico (comma 913).
Senza aver la pretesa della esaustività della elencazione posso ricordare come per le Pubbliche Amministrazioni (in senso stretto), ci si possa riferire a quelle identificate dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 (Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, Enti locali, le ASL, le Comunità montane, le Istituzioni Universitarie e le scuole di ogni ordine e grado, l’ARAN, le Agenzie ex D.L.vo n. 300/1999, ecc.): per quanto riguarda, invece, il rapporto di lavoro domestico il Legislatore cita sia quelli derivanti dalla legge n. 339/1958 che quelli disciplinati dalla contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La ragione di tali eccezioni appaiono evidenti: la Pubblica Amministrazione, proprio perché tale, non eroga compensi “in nero” e “non tracciabili” (ci sono tutte le norme contabili da rispettare che lo vietano) e nel lavoro domestico l’esenzione viene dettata dalla peculiarità del rapporto che, molte volte, si volge per poche ore. Curiosamente, il lavoro domestico resta “tracciabile” soltanto se il datore di avvale delle prestazioni occasionali attraverso il c.d. “Libretto di Famiglia”, previsto dall’art. 54-bis della legge n. 96/2017, ove le prestazioni, per le quali sussiste un monte ore annuale di lavoro e di compenso, vengono pagate dal’INPS (previa copertura delle stesse da parte del datore domestico utilizzatore) il 15 di ogni mese successivo a quello in cui si è svolta l’attività, attraverso l’accredito bancario, postale o il bonifico.
La tracciabilità non riguarda (come detto in precedenza in quanto la norma non le inserisce nell’obbligo) le prestazioni autonome occasionali ex art. 2222 c.c., ma anche quelle erogazioni che sono frutto di prestazioni non riconducibili all’area del rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione come, ad esempio, l’indennità di partecipazione erogata per l’attività svolta nei tirocini formativi extra curriculari, negli stage, e con le borse di studio: tale esclusione discende direttamente dalla locuzione adoperata dalla legge che parla di “retribuzioni” e “compensi” per i soli rapporti di natura subordinata ed autonoma che sono stati espressamente richiamati. Ovviamente, qualora, in sede di controlli da parte degli organi di vigilanza il rapporto di tirocinio fosse ricondotto nell’alveo del rapporto di lavoro subordinato (anche in applicazione delle direttive fornite dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 8/2018) per i pagamenti effettuati “in contanti” a partire dal 1° luglio 2018 dovrà essere applicata la nuova sanzione compresa tra 1.000 e 5.000 euro.
La previsione normativa parla di “tracciabilità” della retribuzione (ossia di tutte quelle voci continuative ed occasionali che la compongono, ivi comprese le indennità strettamente correlate a particolari disagi o funzioni) e dei compensi concordati tra le parti : essa riguarda anche quella parte di salario che viene corrisposta a titolo di anticipo. Restano, ovviamente, fuori dalla tracciabilità quelle somme di denaro che sono dovute (anche sotto forma di anticipo), ad esempio, a “copertura” delle spese sostenute in trasferta (vitto, alloggio, ecc.), purchè “rendicontate”.
L’obbligo scaturente dal comma 910 riguarda tutti i datori di lavoro ed i committenti che operano nel nostro Paese e, quindi, anche coloro che, pur appartenenti alla UE, ma anche extra-comunitari, distaccano personale in Italia, ai sensi del D.L.vo n. 136/2016. Esso imporrà ai datori di lavoro ed ai committenti di corrispondere quanto dovuto al proprio personale o ai prestatori attraverso uno dei seguenti mezzi:
- bonifico sul conto corrente identificato dal codice IBAN dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento si intende comprovato allorquando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale del lavoratore purchè di età non inferiore ai 16 anni. Appare chiaro come, al di fuori di tale casistica, l’impossibilità a ricevere l’assegno debba essere provato, in caso di contenzioso anche con gli organi di vigilanza. Per quel che concerne la delega è ipotizzabile una forma semplice con delega sottoscritta dal lavoratore interessato e con copia del documento contenente gli estremi dello stesso.
Una breve riflessione sulle modalità di pagamento ove si potrebbe registrare una certa difficoltà laddove il lavoratore o il prestatore non ha un conto corrente bancario o postale, o uno strumento di pagamento elettronico e le retribuzioni da pagare sono “limitate” nell’importo (si pensi ai contratti a termine fino a tre giorni per servizi particolari nei settori del turismo e dei pubblici esercizi, a lavori “a chiamata” di breve durata o ai “riders” che consegnano i pasti a domicilio). In assenza di chiarimenti amministrativi si ritiene che le modalità più semplici per adempiere all’obbligo legale siano quelle che si realizzano con la consegna di un assegno non trasferibile o con il pagamento in contanti presso uno sportello ove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.
Il comma 912 afferma che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Non è questo, assolutamente, un concetto nuovo in quanto, secondo l’insegnamento della Cassazione, la sottoscrizione “per ricevuta” non comporta, in modo univoco, l’effettivo pagamento della somma indicata non avendo efficacia di quietanza (Cass., n. 6267/1988; Cass. n. 7310/2001). Tale espressione, ricordano i giudici di Piazza Cavour, “non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche ad ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 c.c. e seguenti”. Tale concetto è stato maggiormente “sviscerato” sempre dalla Suprema Corte con le sentenze n. 24186/2008 e n. 14411/2011, laddove è stato chiarito che la consegna della busta paga (o prospetto paga), pur se accompagnata dalla sottoscrizione del dipendente “per ricevuta”, non è sufficiente a dimostrare l’avvenuto pagamento della retribuzione, ma concorre, insieme ad altri elementi, a fornire una presunzione dell’avvenuta estinzione dell’obbligazione retributiva.
Per completezza di informazione, ricordo che il cedolino paga può essere trasmesso attraverso un messaggio di posta elettronica su un indirizzo del lavoratore munito di password (interpello del Ministero del Lavoro n. 1/2008): esso può essere inviato anche dal consulente del lavoro delegato all’assistenza del datore che, in ogni caso, resta responsabile della consegna, ricadendo sullo stesso l’onere della prova. Ciò vale anche per la società capogruppo all’interno dei gruppi societari (interpello Ministero del Lavoro n. 8/2010). L’obbligo della consegna del cedolino può essere adempiuto anche collocando il prospetto paga su un sito web, dotato di un’area riservata, con accesso consentito al solo dipendente interessato (interpello Ministero del Lavoro n. 13/2012).
La violazione dell’obbligo della tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa (comma 913) compresa tra 1.000 e 5.000 euro. Nulla di più afferma il Legislatore e, quindi, in attesa dei chiarimenti che, sicuramente, perverranno dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ritengo che non possa essere applicato l’istituto della diffida ex art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 124/2004 (l’illecito non mi sembra materialmente sanabile) ma soltanto il pagamento in misura ridotta secondo le regole in uso stabilite dall’art. 16 della legge n. 689/1981. La sanzione, a mio avviso, va intesa per ogni violazione commessa e per ogni lavoratore, atteso che la disposizione non sembra offrire una lettura diversa.
Ma, gli organi di vigilanza potrebbero essere costretti, prima della irrogazione della sanzione, a verificare anche altre situazioni che portano ad un comportamento elusivo del datore di lavoro o del committente.
Mi riferisco a quelle ipotesi in cui il pagamento è avvenuto, formalmente, attraverso un bonifico (ed in azienda si rinviene l’ordine di pagamento alla banca), ma lo stesso è stato revocato entro il periodo consentito dall’istituto di credito o l’assegno emesso è annullato prima dell’incasso. Qui, è vero che si potrà chiedere al datore l’estratto conto dei mesi interessati (“depurati”, per il rispetto della riservatezza, dei dati non pertinenti) ma sarà, comunque, necessario, in presenza di possibili ostacoli, avere una collaborazione da parte degli Istituti bancari o di quelli postali cosa che, difficilmente, il singolo ispettore potrà ottenere: di qui la necessità, anche nell’ottica della previsione contenuta del comma 913, di protocolli sottoscritti dagli organi ministeriali e dall’Ispettorato nazionale del Lavoro che lo consentano (ovviamente, nel rispetto delle disposizioni sulla “privacy”).
La “ratio” della disposizione appare evidente: si vuole togliere il lavoratore da un possibile stato di soggezione (che, purtroppo, come detto, continua ad esserci in determinati contesti) e, in tal modo, si vuole sottolineare il principio che l’unica attestazione dell’avvenuto pagamento della retribuzione è rappresentata dalla “traccia” lasciata in uno dei quattro modi per pagare indicati dal Legislatore.
Tutto questo, è bene sottolinearlo, non incide sugli adempimenti relativi alla busta paga fissati dalla legge n. 4/1953.
Il datore di lavoro deve consegnare al proprio personale un prospetto paga siglato o con proprio timbro contenente i dati del lavoratore, il periodo al quale si riferisce la retribuzione, gli elementi della retribuzione comprensivi dell’assegno per il nucleo familiare e le trattenute. Le annotazioni in busta paga debbono corrispondere a quanto riportato sul LUL: le inesattezze e le omissioni continuano ad essere sanzionate secondo la previsione contenuta nell’art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133/2008. Nel caso in cui l’obbligo della consegna della busta paga avvenga attraverso copia delle scritturazioni effettuate sul LUL, cosa ammessa dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 23 del 30 agosto 2011, le sanzioni (trattandosi di un prospetto paga errato) sono quelle appena sopra definite (art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008) e non quelle specifiche cui fanno riferimento l’art. 5 della legge n. 4/1953 e l’art. 22, comma 7, del D.L.vo n. 151/2015.
Ma, le nuove disposizioni in materia di tracciabilità come si correlano con la previsione contenuta nell’art. 2099, comma 3, c.c. secondo la quale l’erogazione della retribuzione può avvenire in tutto o in parte con partecipazione agli utili, ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura?
Ci sono, come si vede, diverse ipotesi da considerare…
Il pensiero corre, innanzitutto, a tutte quelle prestazioni, legate alla produttività o alla innovazione, frutto di accordi di secondo livello, ove parte del salario di produttività, che è misurabile, nei limiti reddituali previsti dalla norma (da ultimo, dalla stessa legge n. 205/2017), viene trasformato in benefit.
Ebbene, si ritiene che per gli stessi, come per i fringe benefit, nulla cambi: essi continuano ad essere erogati come benefici in quanto rientrano nella logica che presiede alla formulazione di queste disposizioni che è rappresentata dalla tracciabilità del compenso, in quanto l’utilizzazione delle somme, ad esempio, per l’acquisto di libri o per prestazioni sanitarie, rientrano nelle ipotesi appena considerate.
Parimenti, si ritiene possibile continuare a corrispondere la retribuzione, in tutto o in parte come partecipazione agli utili che, tuttavia, dovranno essere corrisposti con una modalità “tracciabile” scelta tra quelle individuate dal Legislatore. Lo stesso discorso vale anche per il pagamento attraverso provvigioni.
C’è, poi, la questione che sovente ricorre nei condomini o in alcune sedi di aziende ove, come parte della retribuzione, viene concesso al custode l’alloggio di servizio.
A mio avviso, nella logica della tracciabilità, ciò potrà continuare ad essere riconosciuto. C’è infatti un contratto di affitto registrato, c’è un valore catastale dell’appartamento che rappresentano “una via tracciata”, seppur diversa da quella individuata dal Legislatore: ovviamente, la retribuzione in natura dovrà essere riportata in busta paga nella misura in cui determina un incremento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali e fiscali, come ebbe a dire il Ministero del Lavoro con la circolare n. 119 nel lontano 20 ottobre 1953.
Il comma 914 affidava all’Esecutivo un onere da adempiere entro la fine dello scorso mese di marzo (ma non si hanno notizie che ciò sia accaduto): esso consisteva nella stipula di una convenzione con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale (qui non si usa l’avverbio “comparativamente”, presente in numerose disposizioni in materia di lavoro emanate negli ultimi anni), con l’Associazione Bancaria Italiana e con Poste Italiane SpA, finalizzata ad individuare gli strumenti idonei a promuovere la conoscenza e la corretta attuazione delle disposizioni introdotte. A tale scopo erano state previste apposite campagne informative sui principali mezzi di comunicazione, finanziate, per l’anno 2018, con 100.000 euro ma, al momento (siamo a 30 giorni dall’entrata in vigore della “tracciabilità”) non c’è alcun segnale di quanto appena detto.
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