Patto di stabilità: il lavoratore deve essere compensato?
Roberto Camera risponde alle domande degli utenti
È obbligatorio pagare il lavoratore perché non si dimetta prima di un determinato periodo?
Nel mondo del lavoro, è sempre più frequente la stipula di accordi volti a garantire una certa stabilità occupazionale tra datore di lavoro e dipendente. Tra questi, rientra il cosiddetto patto di stabilità, che vincola il lavoratore a non dimettersi prima di un determinato periodo. Ma cosa comporta davvero questo tipo di accordo? È previsto un compenso?
Cos’è il patto di stabilità?
Il patto di stabilità è un accordo volontario con cui il lavoratore si impegna a non presentare dimissioni per un periodo di tempo prestabilito, successivo all’assunzione. Restano escluse, ovviamente, le dimissioni per giusta causa, che non fanno venir meno i diritti del lavoratore.
È obbligatorio un compenso?
Sì, qualora venga sottoscritto un patto di stabilità, il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un compenso economico al dipendente. Questo importo ha lo scopo di indennizzare l’impegno assunto dal lavoratore e può essere:
- erogato mensilmente;
- corrisposto in un’unica soluzione alla fine del periodo stabilito.
Trattamento fiscale e contributivo
Il compenso previsto dal patto di stabilità è a tutti gli effetti una voce retributiva aggiuntiva. Pertanto:
- è soggetto a imposizione fiscale;
- concorre alla base imponibile contributiva;
- va indicato correttamente in busta paga.
Si tratta, dunque, di un costo aggiuntivo che il datore di lavoro deve considerare attentamente prima di stipulare tale accordo.
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