NASpI e licenziamenti nulli in periodo di sospensione: i chiarimenti dell’Inps [E.Massi]
I chiarimenti dell’Inps sulla questione del riconoscimento della NASPI in favore di chi è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo in un momento in cui vigeva la sospensione dei licenziamenti
Con il messaggio n. 2261 del 1° giugno 2020, l’INPS, confortato da un parere positivo dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, ha espresso la propria posizione circa la fruizione del trattamento di disoccupazione (NASpI) in favore dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo nel periodo 17 marzo – 17 agosto, durante il quale vige la sospensione dei recessi datoriali, a prescindere dai limiti dimensionali, per effetto dell’art. 46 del D.L. n. 18/2020, come modificato dall’art. 80 del D.L. n. 34. Tale “stop” riguarda anche le procedure collettive di riduzione di personale (articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991), avviate a partire dal 24 febbraio ed il tentativo obbligatorio di conciliazione esperibile, avanti alla commissione di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro, ex art. 7 della legge n. 604/1966 per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 da datori di lavoro dimensionati oltre le 15 unità.
Ho già avuto modo di trattare su questo blog la materia relativa alla sospensione del licenziamenti e ad alle riflessioni già espresse faccio riferimento: ciò che vado ad esaminare, oggi, concerne la questione del riconoscimento della NASPI in favore di un lavoratore, licenziato, comunque, per giustificato motivo oggettivo in un momento in cui, grazie alle misure adottate dal Governo per combattere la pandemia, il recesso datoriale è affetto da nullità.
Prima di entrare nel merito della posizione espressa dall’Istituto credo che sia opportuno, sia pur brevemente, ricapitolare i requisiti necessari per il godimento della indennità di disoccupazione.
Innanzitutto, è necessario lo stato di disoccupazione (art. 19 e 21 del D.L.vo n. 150/2015) che postula una dichiarazione, in forma telematica agli organi preposti, di immediata disponibilità all’attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva: tale “status” deve essere involontario. In esso rientrano non soltanto coloro che non hanno mai lavorato o che hanno lavorato con rapporti di lavoro a termine e che cercano un’occupazione ma anche chi l’ha persa, involontariamente, a seguito di:
- Licenziamento;
- Risoluzione consensuale ex art. 7 della legge n. 604/1966, avvenuta con accordo sottoscritto avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro;
- Risoluzione consensuale avvenuta in ragione di rifiuto di trasferimento ad altra sede aziendale distante oltre 50 Km. dalla propria residenza o raggiungibile in 80 minuti od oltre con i mezzi pubblici;
- Dimissioni per gusta causa (mancato e ripetuto, pagamento della retribuzione, molestie sessuali, mobbing, modificazioni peggiorative delle mansioni, notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione di azienda o ramo di essa (art. 2112 c.c.);
- Spostamento del lavoratore in altra sede senza che sussistano le comprovate ragioni tecniche, produttive ed organizzative;
- Dimissioni rassegnate, a seguito dell’iter previsto dl D.L.vo n. 151/2001, nel c.d. “periodo protetto” della maternità;
- Accettazione del licenziamento a seguito della procedura ex art. 6 del D.L.vo n. 23/2015, come ricordato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 13/2015 e dall’INPS con la circolare n. 142/2015;
Altro requisito necessario per la fruizione del trattamento di NASPI , come ci ricordano le circolari INPS n. 94 e n. 142 del 2015, è il possesso minimo di 13 settimane di contributi nei 4 anni antecedenti la richiesta della indennità, purchè risulti, anno per anno, complessivamente erogata o dovuta una retribuzione non inferiore ai minimali settimanali. Per contribuzione utile, secondo il principio di automaticità delle prestazioni, si intende anche quella dovuta e non versata (art. 2116 c.c.). Vale la pena di sottolineare che se il lavoratore nel quadriennio ha prestato attività sia in settori agricoli (ove vige una forma di assicurazione contro la disoccupazione totalmente diversa) che in settori non agricoli, i periodi sono cumulabili ai fini della NASPI, laddove risulti prevalente la contribuzione non agricola.
Il terzo requisito essenziale fa riferimento alle giornate di lavoro effettivo che debbono essere almeno 30 (a prescindere dalla durata oraria) nei 12 mesi antecedenti la domanda di disoccupazione. Il periodo viene ampliato di un uguale arco temporale, a fronte di sospensione del rapporto per malattia, infortunio, CIGS, CIGO anche in deroga con sospensione a zero ore, assenze per permessi e congedi.
Per completezza di informazione (art. 4 del D.L. n. 22/2015) ricordo che la NASPI si correla ad una base di calcolo che risulta dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 4 anni, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive quali risultano dall’UniEmens, divisa per il totale delle settimane di contribuzione, indipendentemente dalla verifica del minimale e moltiplicata per il coefficiente 4,33. L’indennità mensile è pari al 75% della retribuzione: per il 2020 il valore massimo da prendere a riferimento è 1.227,55 euro, senza alcun prelievo del 5,84%, come previsto dalla legge n. 41/1986. Se la retribuzione mensile supera tale importo l’indennità è incrementata del 25% della differenza tra la retribuzione mensile ed la predetta somma e, in ogni caso, non può superare 1.335,40 euro. La misura dell’indennità è ridotta del 3% per ogni mese successivo al quarto e la durata è strettamente correlata alla metà del numero delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni, per un massimo di 24 mesi.
Questa breve premessa si è resa, a mio avviso, necessaria, per comprendere la posizione dell’Istituto, supportata dall’Ufficio Legislativo del Dicastero del Lavoro il quale ha precisato che ai fini del trattamento di NASPI non rileva il fatto che il recesso datoriale sia nullo perché in contrasto con una disposizione di legge, in quanto l’accertamento della legittimità o meno del comportamento spetta al giudice di merito. Di conseguenza, non è possibile rifiutare il trattamento di disoccupazione, ma l’Istituto si cautela ed afferma che provvederà alla erogazione con espressa riserva di ripetizione laddove il lavoratore, a seguito di decisione del giudice o di un accordo intervenuto in sede stragiudiziale, dovesse essere reintegrato al lavoro.
Un discorso, del tutto analogo, lo riserva l’INPS alla ipotesi, contenuta nel D.L. n. 34, secondo la quale a fronte della revoca di un licenziamento adottato prima del 17 marzo, in deroga alle previsioni contenute nel comma 10 dell’art. 18 della legge n. 300/1970 ed ai costi ed alle sanzioni ivi stabilite, il datore di lavoro inserisca il dipendente negli elenchi dei lavoratori che fruiscono del trattamento integrativo salariale COVID-19: qui viene stabilito il recupero delle somme già corrisposte come NASPI in considerazione della tutela del trattamento di cassa integrazione che verrà riconosciuto al lavoratore.
I contenuti del messaggio n. 2261 aprono, a mio avviso, diversi scenari in un momento in cui gli ammortizzatori sociali previsti “non coprono” i dipendenti fino al 17 agosto: penso, ad esempio, a quelle realtà aziendali che non riprendono l’attività e che, anzi, la sospendono, definitivamente, riconsegnando anche la licenza di esercizio. Infatti, le 9 settimane, già previste dal D.L. n. 18 e le 4 ulteriori di cui parla, fino al 31 agosto, il D.L. n. 34, non sono sufficienti se la chiusura imposta per il coronavirus è partita prima della metà di marzo.
Ferma restando la criticità della situazione (il lavoratore può sempre rifiutare l’incontro) è possibile, magari in sede sindacale ex art. 411 cpc, o avanti alla commissione di conciliazione degli ordini provinciali dei consulenti del lavoro (non penso, in questo momento, a quella istituita presso l’ITL ove le convocazioni, a causa del COVID-19, vanno a rilento) sottoscrivere un accordo, magari incentivato, nel quale il lavoratore accetta il licenziamento? A mio avviso, è possibile, atteso che non sta scritto da alcuna parte che lo stesso debba, per forza, impugnare il licenziamento, affrontare delle spese ed attendere le decisioni del giudice circa la non sussistenza del giustificato motivo oggettivo. Tale tesi è confortata dai contenuti dell’interpello n. 1/2014 del Ministero del Lavoro con il quale, rispondendo ad un quesito di Confindustria, in merito alla validità di una conciliazione, conclusa in sede sindacale, nella quale il lavoratore rinunci al diritto ad impugnare il licenziamento, anche nella ipotesi in cui lo stesso sia stato effettuato in assenza del rispetto della procedura di tentativo obbligatorio prevista dall’art. 7 della legge n. 604/1966. Secondo il Ministero, che cita diverse decisioni della Corte di Cassazione (Cass. n. 22105/2009; Cass., n. 13134/2000; Cass., n. 5940/2004; Cass., n. 304/1998; Cass., n. 4780/2003), “non sembrano sussistere motivazioni di ordine giuridico per ritenere che per un vizio di natura procedimentale non sia ammissibile adire alla disciplina civilistica dell’art. 2113 c.c., con i conseguenti corollari in ordine alla efficacia degli atti transattivi conclusi in tale sede”.
La soluzione inserita nel messaggio n. 2261 dovrebbe far venir meno quelle situazioni, presenti in passato, ove l’Istituto, a fronte di accettazione del licenziamento, effettuava, comunque, accertamenti in ordine al fatto che dietro tale assenso si nascondessero “dimissioni consensuali” (ovviamente, al di fuori di quelle previste dall’art. 7 della legge n. 604/1966), con un forte connotazione di un “intento simulatorio” al fine di fruire il trattamento di NASPI. Probabilmente, a fronte di casi particolarmente evidenti, ciò resterà ma il campo di indagine si dovrebbe restringere anche perché, lo sottolineo ancora una volta, non sussiste alcun obbligo per un lavoratore, anche a fronte di un licenziamento che potrebbe essere affetto da nullità, di impugnare il provvedimento e di affrontare le spese del giudizio.
Da ultimo, l’INPS ricorda che aveva chiesto all’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro di esprimersi in ordine alla sospensione dei licenziamenti anche nel settore domestico ed alla risoluzione del rapporti di collaborazione coordinata e continuativa per i quali ultimi sussiste il diritto all’indennità di disoccupazione DIS-COLL.
La risposta del Ministero è stata facile e, in un certo senso, prevedibile.
Infatti, il rapporto di lavoro domestico ha una propria peculiare disciplina e rientra nel campo della c.d. “libera recedibilità”, con la conseguenza che la sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo non trova applicazione ed il lavoratore, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi ai quali si è fatto cenno pocanzi, può fruire della NASPI.
Discorso del tutto analogo (nel senso che i lavoratori possono fruire della DIS-COLL) riguarda la risoluzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 2 del D.L.vo n. 81/2015): qui la sospensione non sussiste in quanto l’art. 46 si applica, unicamente, ai rapporti di lavoro subordinato e non a quelli di natura autonoma.
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19 Commenti
Mario
Novembre 24, 16:30Gent.Mo Dott. Massi,
sono stato licenziato in data 09/11/2020 per giustificato motivo oggettivo. In data odierna mi sono visto negare la naspi in quanto non è stato concluso un accordo con le organizzazioni sindacali. So che vige il divieto di licenziamento ma è possibile che mi venga negata la naspi?
La ringrazio e porgo cordiali saluti
Eufranio Massi
Dicembre 09, 17:38La naspi non può essere negata come ricorda il messaggio Inps n. 2261 del 1 giugno 2020.
Dott. Eufranio Massi