Maxi deduzione fiscale: Un’opportunità per le imprese

L'editoriale di Eufranio Massi

Maxi deduzione fiscale: Un’opportunità per le imprese

La maxi deduzione fiscale per gli incrementi occupazionali

Con un D.M. del Ministro dell’Economia, datato 25 giugno 2024, si è completato il quadro relativo alla c.d. maxi deduzione fiscale correlata all’incremento occupazionale realizzato dai datori di lavoro nell’anno 2024. Con tale provvedimento, che riguarda, essenzialmente, la percentuale ulteriore di agevolazione da assegnare a chi assume a tempo indeterminato lavoratori degni di protezione, sono state fornite una serie di indicazioni operative finalizzate a far fruire, nel corso del 2025, un abbattimento del costo del lavoro ai fini dell’IRPEF o dell’IRES, aumentato del 20% o del 30%.

Normativa di Riferimento

La riflessione che segue si occuperà dei contenuti del D.M., riallacciandosi, comunque, a quanto affermato dalla norma da cui trae origine, ossia l’art. 4 del D.L.vo n. 216/2013.

I datori di lavoro potenzialmente interessati appartengono al settore privato che comprende anche chi esercita arti o professioni (l’ampia declinazione non esclude gli Enti non commerciali – in relazione al reddito di impresa eventualmente conseguito -, le imprese familiari, le società di persone od equiparate): tutti, alla data del 31 dicembre 2023, debbono essere stati attivi per 365 giorni. La disposizione non si applica alle società ed agli Enti in liquidazione ordinaria o assoggettati a liquidazione giudiziale o ad istituti liquidatori previsti dalle norme sulla crisi di impresa o di insolvenza, contemplate dal D.L.vo n. 14/2019.

L’incremento occupazionale dei dipendenti a tempo indeterminato va calcolato confrontando quelli in forza al 31 dicembre 2024 e il numero dei dipendenti a tempo indeterminato, mediamente occupato nel 2023. Il computo, laddove ricorra questa eventualità, va fatto comprendendo le imprese collegate o soggette a controllo, secondo il concetto comunitario di “impresa unica”, presente, dal 2014 nelle Regolamentazione comunitaria.

Tipologie Contrattuali Ammissibili

Le tipologie contrattuali da prendere in considerazione sono:

  1. I contratti a tempo indeterminato, anche part-time, per qualsiasi qualifica, ivi compresi quelli che riguardano i dirigenti (che, ovviamente, debbono essere assunti a tempo indeterminato e non, come normalmente avviene, con contratto a tempo determinato non superiore a cinque anni, sia pure rinnovabile)
  2. Le trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato;
  3. Le assunzioni con contratto di apprendistato che, ai sensi dell’art. 41 del D.L.vo n. 81/2015, è un contratto a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed all’occupazione dei giovani. Ovviamente, la disposizione vale anche per gli apprendisti “over 29”, titolari di un trattamento di NASPI (art. 47, comma 4 del D.L.vo n. 81/2015) o di un trattamento di CIGS per transizione occupazionale che è l’integrazione salariale per un massimo di dodici mesi in deroga (art. 22-ter del D.L.vo n. 148/2015): la tipologia deve essere finalizzata ad una qualificazione o riqualificazione professionale.

Contratti Non Ammissibili

Sono, senz’altro, da escludersi le assunzioni con contratto di lavoro intermittente, sia pure a tempo indeterminato, per la saltuarietà e la episodicità delle prestazioni che non assicurano alcuna stabilità occupazionale e che dipendono, unicamente, dalla “chiamata” del datore di lavoro. Parimenti va escluso, per la peculiarità del rapporto, il contratto di lavoro domestico a tempo indeterminato.

Il D.M.  del Ministro dell’Economia chiarisce, inoltre, che l’incremento occupazionale sopra considerato, ha una propria rilevanza se al termine del periodo di imposta relativo all’anno 2024, il numero dei lavoratori dipendenti, compresi quelli con contratto a tempo determinato, risulta essere superiore al numero medio degli occupati nel periodo d’imposta antecedente.

Il D.M. ha chiarito alcuni punti che possono così sintetizzarsi e che servono per comprenderne il testo:

  1. Gli incrementi occupazionali si intendono neutralizzati se gli stessi risultano essere il frutto di trasferimenti di azienda, o di riorganizzazione aziendale come la fusione o la scissione di parti dell’impresa. Andrebbe, poi, chiarito se in caso di cambio di appalto ed assorbimento nell’organico della azienda appaltatrice, in virtù di una clausola sociale, di tutti i dipendenti già in forza presso il precedente appaltatore, si possa parlare di incremento occupazionale o se le nuove assunzioni debbano essere neutralizzate come nel trasferimento di azienda;
  2. Nel calcolo incrementale non rilevano lavoratori assunti a tempo indeterminato e distaccati all’estero per tutta la durata del loro impiego “fuori confini”;
  3. L’incremento occupazionale si realizza anche nel caso in cui, nel corso del 2024, vengano trasformati, come detto in precedenza, contratti a termine in contratti tempo indeterminato;
  4. I lavoratori con contratto a tempo parziale debbono essere computati “pro-quota”, in proporzione all’orario contrattualmente previsto, così come ricorda l’art. 9 del D.L.vo n. 81/2015;
  5. I lavoratori con contratto di somministrazione possono rientrare nel computo dell’incremento occupazionale del datore di lavoro utilizzatore in misura proporzionale alla durata della missione, a condizione che l’Agenzia di Lavoro li abbia assunti a tempo indeterminato;
  6. Nelle società cooperative di produzione e lavoro i soci lavoratori (ossia, coloro che, in data successiva alla costituzione del rapporto associativo, hanno sottoscritto con le cooperative, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, contratti di lavoro subordinato), sono equiparati ai lavoratori dipendenti;
  7. L’incremento occupazionale deve essere considerato al netto delle diminuzioni occupazionali registratesi in società controllate o collegate e facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto. E’ questo il concetto di “impresa unica” al quale si è già accennato che, da ultimo, viene ribadito anche nel Regolamento UE n. 2831/2013 sul “de minimis”, in vigore dal 1° gennaio 2024 e fino al 31 dicembre 2030. Per quel che riguarda anche le condizioni legali in base alle quali si può parlare di impresa controllata o collegata è sufficiente riferirsi alla casistica dell’art. 2359 c.c.

Discrepanze con la Regolamentazione Comunitaria

Alcune riflessioni, a questo punto, si rendono necessarie.

L’art. 4 del D.L.vo n. 216/2013 ed il D.M. applicativo si discostano dalla regolamentazione comunitaria per il calcolo dell’incremento occupazionale. Infatti, quest’ultima, ripresa dal nostro ordinamento (e, in via amministrativa, dall’INPS e dal Ministero del Lavoro), seppur calcolata in termini di U.L.A. (unità di lavoro annuo), esclude, giustamente, dal computo chi ha lasciato l’azienda per raggiungimento dei limiti di età per andare in pensione, chi si è volontariamente dimesso dal proprio posto di lavoro, chi è stato licenziato per giusta causa e chi, infine, ha ridotto volontariamente il proprio orario di lavoro, sottoscrivendo un apposito atto con il proprio datore, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015. Ebbene, di tale “scomputo” non c’è traccia nel D.M., cosa che sarebbe stata opportuna (oltre che coerente con un quadro normativo ove il datore non può interferire sulla volontà dei propri dipendenti).  Per completezza di informazione ricordo che tali regole sono utilizzate per il calcolo delle agevolazioni per chi assume “lavoratrici svantaggiate”, ai sensi dell’art. 23 del D.L. n. 60/2024 e dell’art. 4, commi da 8 a 11, della legge n. 92/2012.

Tale sgavio previsto dall’art. 23 del D.L. n. 60/2024, unitamente a quelli declinati dall’art. 22 per gli “under 35” e per il meridione, per gli “over 35” disoccupati da oltre due anni, non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente ma è compatibile con la sola maxi deduzione fiscale prevista dall’art. 4.

Due parole, inoltre, sulla maxi deduzione fiscale.

Sulla deduzione che, in via normale per l’IRPEF e per l’IRES, è del 100% sul costo del lavoro (retribuzione, contributi, quota del trattamento di fine rapporto, ecc.), viene applicato un coefficiente di maggiorazione pari al 20% o al 30% per le assunzioni riferite a soggetti degni di protezione compresi in un elenco allegato al D.L.vo n. 216/2023.  A tal proposito, il comma 3 dell’art. 4 stabilisce che:

 

  1. Il costo riferibile all’incremento occupazionale è pari al minor importo tra il costo effettivo relativo ai nuovi assunti e l’incremento complessivo del costo del personale risultante dal conto economico rispetto a quello relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2023;
  2. Per i soggetti che in sede di redazione di bilancio non adottano lo schema del conto economico si assumono le corrispondenti voci di costo del personale.

 

Si era parlato nel comma 5, della possibilità di prevedere coefficienti di maggiorazione diversi (tra il 21% ed il 30%) tra le varie categorie di lavoratori meritevoli di maggiore tutela: molto opportunamente il D.M. ha attribuito la stessa percentuale (30%) a tutti.

 

Nella categoria dei lavoratori svantaggiati rientrano una serie di categorie individuate dal Legislatore in un allegato al D.L.vo n. 216/2023. Esso comprende:

  1. Soggetti ”molto svantaggiati”, come individuati dal Regolamento UE n. 651/2014 e successive modificazioni, fatti propri dal D.M. 17 ottobre 2017 del Ministro del Lavoro, come, ad esempio, i soggetti che da oltre ventiquattro mesi non hanno un lavoro regolarmente retribuito (ma ci sono anche altre situazioni di disagio che sono le più disparate e per le quali appare sufficiente leggere il D.M. del Ministro del Lavoro sopra riportato;
  2. Persone con disabilità, come individuate dall’art. 1 della legge n. 68/1999, persone svantaggiate ex art. 4 della legge n. 381/1991, ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, soggetti in trattamento psichiatrico, tossico dipendenti, alcoolisti, minori in età lavorativa che presentano situazioni di difficoltà familiari, persone detenute od internate nelle carceri, condannati ed internati ammessi alle misure alternative alla detenzione ed al lavoro all’esterno, ex art. 21 della legge n. 354/1975;
  3. Donne di qualsiasi età con almeno due figli di età inferiore ai diciotto anni o prive di un lavoro regolarmente retribuito da almeno sei mesi residenti in regioni ammissibili al finanziamento nell’ambito dei Fondi strutturali comunitari e nelle aree individuate ex art. 2, numero 4, lettera f) del Regolamento n. 651/2014, individuate, annualmente, con D.M. del Ministro del Lavoro “concertato” con quello dell’Economia;
  4. Donne vittime di violenza, inserite nei percorsi di protezione certificati dai centri antiviolenza ex art. 5-bis del D.L. n. 119/2013, da cui sia derivata la deformazione o lo sfregio permanente del viso accertato dalle competenti commissioni mediche di verifica. Tale norma, a mio avviso, va cambiata in quanto il solo riferimento alle donne che hanno subito uno sfregio permanente al viso esclude quelle che lo hanno avuto in altra parte del corpo o che hanno subito una fortissima violenza psicologica;
  5. Giovani ammessi agli incentivi per l’occupazione giovanile ex art. 27, comma 1, del D.L. n. 48/2023 (si tratta degli “under 30” c.d. “NEET” e che sono registrati nel Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani);
  6. Lavoratori con sede di lavoro situata in Regioni che nel 2018 presentavano un prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75% della media EU27 o, comunque, compreso tra il 75% ed il 90%, e un tasso di occupazione inferiore alla media nazionale;
  7. Ex percettori del reddito di cittadinanza decaduti dal beneficio per effetto dell’art. 1, commi da 313 a 318, della legge n. 197/2022 e che non presentino i requisiti necessari per l’accesso all’assegno di inclusione.

In conclusione

Da ultimo, sottolineo come, né l’art. 4 del D.L.vo n. 216/2023 né il D.M. 25 giugno 2024, pur trattando di venefici in favore degli incrementi occupazionali attraverso la leva fiscale, non facciano alcun cenno ai c.d. “pre-requisiti” alle assunzioni agevolate. Si tratta degli articoli 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 (regolarità contributiva, rispetto delle norme in materia di lavoro, rispetto del trattamento previsto dagli accordi, anche di secondo livello, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale) e dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015. Personalmente ritengo che debbano essere rispettati.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 337 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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