Il datore di lavoro può compensare in busta paga il danno causato dal lavoratore negligente?
E’ un obbligo severo che impone al lavoratore di attenersi, nello svolgimento delle proprie mansioni, al rispetto di una diligenza tecnica analoga a quella richiesta all’appaltatore, al lavoratore autonomo, al libero professionista; quindi di grado superiore rispetto a quella generica, comunemente richiesta al debitore, del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1176, 1 co., c.c.
L’OBBLIGO DI DILIGENZA
Il rapporto di lavoro, secondo la previsione codicistica dell’art. 2104, c. 1, obbliga il dipendente a svolgere l’attività lavorativa con la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta.
E’ un obbligo severo che impone al lavoratore di attenersi, nello svolgimento delle proprie mansioni, al rispetto di una diligenza tecnica analoga a quella richiesta all’appaltatore, al lavoratore autonomo, al libero professionista; quindi di grado superiore rispetto a quella generica, comunemente richiesta al debitore, del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1176, 1 co., c.c.
La diligenza normativamente imposta al prestatore d’opera delimita l’ambito dell’adempimento e costituisce la misura della prestazione dovuta, nel senso che il dipendente è obbligato ad applicarsi con intensità appropriata e a osservare i canoni tecnici di esecuzione della prestazione a regola d’arte, in base al tipo di mansioni svolte.
Tale grado di diligenza rappresenta la direttrice che il lavoratore subordinato deve seguire nell’esplicazione della prestazione lavorativa svolta nell’interesse dell’impresa e il metro di giudizio attraverso il quale sarà valutato il suo comportamento.
1.1 CONSEGUENZA DELLA VIOLAZIONE
In caso di violazione dell’obbligo in esame il lavoratore è tenuto a risarcire il danno provocato in ambito lavorativo, a titolo di responsabilità contrattuale, rispondendone con il suo patrimonio personale ex art. 2740 c.c.
Tale responsabilità può cumularsi oppure sussistere indipendentemente dalla responsabilità di tipo disciplinare, salvo eventuale diversa previsione del contratto collettivo che subordini la possibilità di proporre l’azione risarcitoria alla preventiva adozione di un provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore inadempiente.
LA PROVA DEL DANNO
E’ onere del datore di lavoro provare il danno e il rapporto di causalità fra il danno e la condotta del lavoratore. Su quest’ultimo grava invece l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento, cioè di aver adottato la diligenza normativamente richiesta e, più in generale, la propria assenza di colpa.
LA COMPENSAZIONE PROPRIA
L’istituto della compensazione “propria”, disciplinato dagli artt. 1241 e ss. c.c., è uno dei modi di estinzione dell’obbligazione differenti rispetto all’adempimento che opera quando due persone sono obbligate l’una nei confronti dell’altra, alla luce di due distinti rapporti obbligatori per i quali la prima sia debitrice della seconda e la seconda sia debitrice della prima. I suddetti debiti si estinguono per quantità corrispettive.
LA COMPENSAZIONE ATECNICA
La compensazione propria presuppone l`autonomia dei due crediti, con la conseguenza che quando si tratta di un unico rapporto, ancorché` complesso, la questione – secondo la giurisprudenza prevalente – si riduce a un semplice calcolo di dare e avere, che può essere compiuto anche d`ufficio dal giudice. La fattispecie in esame viene definita “compensazione atecnica o impropria”. La legittimazione di tale operazione è rappresentata dalla giustizia sostanziale che si ravvisa nella possibilità di elidere crediti corrispondenti per le esigenze pratiche degli operatori economici.
AMBITO APPLICATIVO
La compensazione impropria trova principalmente applicazione nel rapporto di lavoro (subordinato, autonomo, parasubordinato) in quanto oltre alle due obbligazioni principali, ossia quella di svolgere l’attività lavorativa e di corrispondere la retribuzione, vi sono molteplici situazioni giuridiche strumentali o accessorie che possono creare crediti reciproci del dipendente e del datore di lavoro.
In merito al rapporto di lavoro subordinato, per quanto riguarda la posizione del lavoratore, i suddetti crediti possono concernere la corresponsione del tfr, della retribuzione o di compensi similari. Il datore di lavoro può, invece, vantare un credito indennitario o risarcitorio a causa di un fatto illecito posto in essere dal lavoratore (si pensi al caso in cui il lavoratore alla guida dell’automezzo aziendale abbia commesso un’infrazione stradale che obbliga il datore di lavoro, quale proprietario del veicolo, a pagare la relativa sanzione pecuniaria), oppure relativo a una prestazione negligente (danneggiamento colposo di un bene aziendale), alla presentazione delle dimissioni senza il rispetto del termine di preavviso, alla restituzione di importi indebitamente versati a titolo retributivo, ad assegni familiari, all’indennità di anzianità, all’indennità di trasferta, etc.
Non si rientra, invece, nell’ipotesi di compensazione atecnica nel caso i rispettivi crediti delle parti originino da rapporti autonomi tra loro.
Si supponga, ad esempio, che il lavoratore abbia causato con la propria autovettura, in occasione estranea al rapporto di lavoro, un danno a un bene aziendale. Il datore di lavoro non potrà operare alcuna compensazione in quanto i rispettivi crediti originano da distinte obbligazioni: il contratto di lavoro, da una parte, e la responsabilità extracontrattuale dall’altra.
LA DISCIPLINA DELLA COMPENSAZIONE ATECNICA
La giurisprudenza prevalente ritiene che alla compensazione atecnica, trattandosi di un mero conguaglio di dare e avere siano inapplicabili le regole processuali e quelle sostanziali dettate per la compensazione in senso tecnico.
Il Giudice può procedere d’ufficio all’accertamento contabile del saldo degli opposti crediti, alla luce delle circostanze dedotte in giudizio, anche se le parti a tal fine non hanno formulato eccezione o proposto domanda riconvenzionale.
La compensazione atecnica è anche sottratta alla disciplina prevista dagli artt. 1246 n. 3 c.c. e art. 545 c.p.c.: non trova applicazione l’impignorabilità parziale degli stipendi, dei salari, delle pensioni e delle ulteriori attribuzioni pecuniarie dovute al lavoratore. Il datore di lavoro può, così, detrarre dalle somme dovute al lavoratore l’intero ammontare del credito vantato nei suoi confronti.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4825 del 2019 ha stabilito che la compensazione impropria si sottrae anche alla regola in tema di cessione del credito contenuta nell’art. 1248, 1° co., c.c..
Nel caso una dipendente aveva dato in garanzia il proprio TFR per ottenere un prestito da una società. Quest’ultima, dopo le dimissioni della lavoratrice, aveva chiesto il versamento del TFR al datore di lavoro che, però, aveva rifiutato, eccependo, in parziale compensazione, il suo credito verso la lavoratrice, avente ad oggetto l’indennità di mancato preavviso da essa dovuta perché dimessasi in tronco. La Suprema Corte ha considerato legittima la compensazione effettuata dal datore di lavoro.
La giurisprudenza ha, altresì, rilevato che, fino a quando il giudice effettua il saldo contabile delle opposte partite di dare e avere, i crediti restano separatamente esposti ai relativi fatti estintivi, tra cui la prescrizione. Non opera, pertanto, la regola prevista dall’art. 1242, 2 co., c..c. per la quale la prescrizione non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti.
Accertamento d’ufficio del saldo contabile |
I crediti restano esposti alla prescrizione |
Pignorabilità dello stipendio del lavoratore senza limite del quinto |
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La giurisprudenza in materia di lavoro ha sottolineato che, nel caso in cui i reciproci crediti traggano origine dal medesimo rapporto, siano inapplicabili le norme generali dell’istituto della compensazione propria e sia legittimo compensare crediti e debiti derivanti da un unico rapporto di lavoro.
I profili applicativi della c.d. compensazione atecnica sono esclusivamente frutto dell’elaborazione giudiziale e non mancano di criticità evidenziate da argomentazioni dottrinarie discordanti.
Ad ogni modo, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale si assume legittimo per il datore di lavoro operare in busta paga la compensazione del danno causato dal lavoratore, asseritamente negligente, trattenendo dalla retribuzione netta parte della stessa, senza la limitazione del quinto imposta dall’art. 545 c.p.c.
Pare, tuttavia, necessario che il danno sia stato compiutamente contestato al lavoratore e che questi non abbia proposto azione in giudizio per confutare la pretesa datoriale. Non è, invece, imprescindibile instaurare un procedimento disciplinare ex art. 7, L. 300/70, a meno che non sia un obbligo imposto dal contratto collettivo applicato in azienda.
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