Le integrazioni salariali per le aziende tessili e la sospensione dei licenziamenti per motivi economici
Con la legge n. 106 viene introdotto un ulteriore periodo di integrazione salariale ordinaria correlata all’emergenza da COVID-19, in favore dei datori di lavoro appartenenti ai settori delle industrie tessili
Le eccezioni alla fine del blocco dei licenziamenti nelle aziende tessili, del settore industria o che possono, comunque, ricorrere, alla CIGO, sono ben evidenziate nell’art. 50-bis del D.L. n. 73 convertito, con modificazioni, nella legge n. 106: recependo, infatti, il contenuto dell’art. 4 del D.L. n. 99, lasciato decadere, la norma, ben chiarita sotto l’aspetto amministrativo dalla circolare INPS n. 125/2021, afferma che viene introdotto un ulteriore periodo di integrazione salariale ordinaria correlata all’emergenza da COVID-19, in favore dei datori di lavoro appartenenti ai settori delle industrie tessili, confezione di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, e fabbricazione di articoli in pelle e simili, motivato da interruzione o riduzione dell’attività lavorativa nel periodo compreso tra il 1 luglio ed il 31 ottobre 2021, per una durata massima di 17 settimane. La platea dei soggetti interessati viene identificata attraverso l’appartenenza delle aziende alle attività economiche Ateco 2007, contrassegnate dai codici 13, 14 e 15.
I datori che rientrano nelle classificazioni Ateco soprariportate non possono procedere fino al 31 ottobre a licenziamenti per motivi economici ex art. 3 della legge n. 604/1966 e, agli stessi è preclusa sia l’attivazione di una procedura collettiva di riduzione di personale ex artt. 4,5 e 24 della legge n. 223/1991 che la eventuale ripresa di quella sospesa il 23 febbraio dello scorso anno che, infine, il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966 avanti alla Commissione provinciale istituita presso ogni sede dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, secondo la previsione dell’ art. 410 cpc.. Tale divieto sussiste pur se l’azienda non ricorre alla integrazione salariale “speciale” (e tra un attimo spiegherò in cosa consiste la specialità) disciplinata dall’art. 50-bis.
L’integrazione salariale ordinaria viene concessa dall’Istituto ai sensi dell’art. 19 del D.L. n. 18/2020 e, inoltre, non è previsto il pagamento di alcun contributo addizionale che, secondo l’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015 sarebbe pari, rispettivamente, al 9%, al 12% ed al 15% sulla retribuzione che sarebbe dovuta essere corrisposta ai lavoratori per le ore di CIGO richieste, a seconda del periodo temporale di fruizione all’interno del c.d. “quinquennio mobile” (primi 12 mesi, secondi 12 mesi ed oltre).
La circolare n. 115 ricorda alcuni passaggi essenziali molto importanti per i datori di lavoro:
- Il conguaglio delle integrazioni corrisposte direttamente ai lavoratori deve essere effettuato, a pena di decadenza, come stabilisce l’art. 7 del D.L.vo n. 148/2015, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento autorizzatorio, se successivo;
- Le quote di TFR maturate durante il periodo di integrazione salariale restano a carico dell’azienda;
- Le imprese soggette al Fondo di Tesoreria, sono tenute a versare le quote maturate dai dipendenti durante il periodo in cui gli stessi hanno fruito del trattamento integrativo.
Ma, chi sono i lavoratori destinatari del trattamento integrativo?
Essi sono tutti quelli in forza alla data del 30 giugno 2021 che non è altro che quella della entrata in vigore del D.L. n. 99, ora abrogato perché “incorporato” nella legge di conversione n. 106.
In caso di trasferimento di azienda o ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c. o qualora si verifichi un cambio di appalto viene preso in considerazione, se necessario, anche il periodo passato alle dipendenze del precedente datore con la conseguenza che per i dipendenti che erano in forza presso quest’ultimo alla data del 30 giugno, può essere richiesta la CIGO.
Tutto questo è particolarmente rilevante, atteso che, come avvenuto per tutti i trattamenti integrativi legati alla pandemia, si individua una data di riferimento e, di conseguenza, viene meno il requisito dei 90 giorni di anzianità nell’unità produttiva che è uno dei cardini su cui poggia la disciplina del D.L.vo n. 148/2015.
La circolare n. 115 non lo dice ma, a mio avviso (sarebbe, in ogni caso, necessario un minimo di chiarimento) per i lavoratori a termine o in somministrazione in forza alla data del 30 giugno, potrebbe essere invocato l’art. 19-bis del D.L. n. 18/2020 che consente, in questo caso fino al 31 ottobre, la proroga o il rinnovo dei rapporti a tempo determinato in scadenza al solo scopo di far fruire del trattamento di integrazione salariale correlato alla pandemia, indirettamente invocata dal Legislatore (art. 50-bis, comma 2) quando afferma che la richiesta avviene ai sensi degli articoli 19 e 20 del D.L. n. 18/2020.
Il richiamo all’art. 20 del D.L. n. 18/2020 offre la possibilità alle imprese del settore tessile che sono in trattamento di integrazione salariale straordinaria ex art. 21 del D.L.vo n. 148/2015 (riorganizzazione o crisi aziendali sono le causali richiamate) di chiedere la sospensione del provvedimento autorizzatorio in corso e di presentare istanza per la CIGO per un massimo di 17 settimane per il periodo compreso tra il 1° luglio ed il 31 ottobre p.v.. L’iter procedimentale da seguire è sempre quello già oggetto di chiarimento da parte dell’Istituto attraverso la circolare n. 47/2000: la domanda va presentata alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro che deve adottare un provvedimento di sospensione della CIG. A seguito di ciò l’Istituto autorizza l’istanza di integrazione salariale ordinaria per i periodi stabiliti nel decreto direttoriale del Dirigente Generale della predetta Direzione del Ministero.
Per quel che riguarda i tempi della procedura di consultazione delle organizzazioni sindacali, prioritari rispetto alla presentazione della istanza di CIGO valgono le regole più “veloci e dinamiche” già sperimentate per le istanze del periodo pandemico, non trovando specifica applicazione quelle individuate dall’art. 14 del D.L.vo n. 148/2015, mentre per l’invio telematico della domanda il termine limite resta fissato nella fine del mese successivo a quello nel quale ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di attività.
Queste integrazioni salariali hanno un tetto: il comma 6 dell’art. 50bis stabilisce che per il 2021 non si può andare oltre i 185,4 milioni di euro e, come già avvenuto in casi analoghi, sull’INPS grava l’onere del monitoraggio. Qualora, anche in via prospettica, emerga il raggiungimento del tetto, l’Istituto è tenuto a non accogliere le ulteriori domande che dovessero pervenirgli.
Fin qui gli interventi integrativi: ma, come detto, pur se l’impresa non ricorre agli ammortizzatori, le resta preclusa la via dei licenziamenti per motivi economici siano essi, individuali, plurimi o collettivi: però, anche in questo caso, restano fuori dalla previsione (art. 50-bis, comma 5) alcune ipotesi (che, poi, sono sempre le stesse ripetute in ogni provvedimento normativo a partire dalla seconda metà del 2020) e che, per completezza di informazione vado a ripetere, pur se già ho affrontato il tema su questo blog:
- Cambio di appalto con la riassunzione del personale da parte dell’azienda subentrante nel rispetto di un obbligo di legge (ad esempio, art. 50 del codice degli appalti pubblici), di contratto collettivo (ad esempio, l’art. 4 del CCNL multiservizi) o di una clausola contenuta nel contratto di appalto o nel bando di gara;
- Licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa, conseguenti anche alla messa in liquidazione della società, a meno che non si configuri una cessione totale o parziale dell’azienda, nel qual caso scatta la tutela dell’art. 2112 c.c. per ogni lavoratore interessato, con la conseguente illegittimità dei recessi;
- Accordo collettivo aziendale stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in sostanza, con le organizzazioni territoriali di categoria, ma non con le RSA o le RSU che, tuttavia, possono aggiungere la propria firma “ad abundantiam”), limitatamente ai lavoratori che aderiscono. Questi ultimi hanno diritto alla NASPI, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal D.L.vo n. 22/2015, secondo le indicazioni fornite dall’INPS con diverse note, tra cui la circolare n. 111/2020 (richiesta del trattamento di disoccupazione con accordo allegato e assenso espresso dal singolo lavoratore richiedente l’indennità): l’Istituto si accontenta anche di un verbale sottoscritto anche da una sola sigla sindacale tra quelle individuate dal Legislatore. Il datore di lavoro è tenuto al pagamento contributo di ingresso alla NASPI nella misura ordinaria. Nell’accordo collettivo che va sottoscritto entro il periodo di scadenza del “blocco dei licenziamenti” (qui la data “limite” entro la quale vanno definite anche le singole risoluzioni consensuali, è il 31 ottobre 2021), le parti individuano i profili eccedentari e possono (non è un obbligo) quantificare le somme che saranno corrisposte a titolo di incentivo all’esodo. Quest’ultimo può essere diversificato in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato anche attraverso le procedure del contratto di espansione che, per il 2021, riguarda le imprese con un organico superiore alle 100 unità, come previsto dal D.L. n. 73 (quest’ultima è una procedura abbastanza complessa, con costi da quantificare per i singoli aderenti, che “vede in campo” anche il Ministero del Lavoro). Nell’accordo, si può stabilire che i singoli atti di risoluzione siano firmati “in sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc, cosa che evita al lavoratore la procedura telematica di conferma della risoluzione consensuale o delle dimissioni attraverso l’iter individuato dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo. L’accordo collettivo può avvenire anche a seguito di procedura collettiva di personale (criterio delle risoluzioni consensuali ex art. 5 della legge n. 223/1991) che, è possibile in quanto prevista come eccezione alla regola generale: in tale quadro, sempre come eccezione, possono essere riprese anche le procedure obbligatorie individuali ex art. 7 della legge n. 604/1966, innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro e che riguarda i lavoratori dipendenti da aziende con un organico superiore alle 15 unità, assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015;
- Fallimento, nel caso in cui non vi sia una prosecuzione, anche parziale dell’attività, magari autorizzata dall’autorità giudiziaria: in caso di prosecuzione parziale dell’attività i lavoratori ad essa addetti non possono essere oggetto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
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