Le agevolazioni correlate al personale femminile: tra norme legali e ritardi amministrativi

La riflessione che segue non vuol rappresentare una mera critica nei confronti di chi deve predisporre gli adeguamenti amministrativi, ma vuole, soltanto, focalizzare l’attenzione sulle difficoltà operative che si trovano ad affrontare gli operatori (aziende, lavoratrici, professionisti, personale dei patronati e delle associazioni sindacali, ecc.) chiamati a dare pratica attuazione alle norme

Le agevolazioni correlate al personale femminile: tra norme legali e ritardi amministrativi

Si fa un gran parlare sui “media” delle disparità di genere in ambito lavorativo e, in tale contesto, il Legislatore vara alcuni provvedimenti finalizzati a favorire la donna sul lavoro, sia con agevolazioni legate al momento dell’assunzione, sia al rientro dalla maternità, che alla eliminazione o alla riduzione delle disparità di genere.

Spesso, ampio risalto si dà, giustamente, ai provvedimenti approvati dal Parlamento, salvo scoprire, a distanza di mesi, le difficoltà che sono connesse alla loro completa attuazione.

La riflessione che segue non vuol rappresentare una mera critica nei confronti di chi deve predisporre gli adeguamenti amministrativi, ma vuole, soltanto, focalizzare l’attenzione sulle difficoltà operative che si trovano ad affrontare gli operatori (aziende, lavoratrici, professionisti, personale dei patronati e delle associazioni sindacali, ecc.) chiamati a dare pratica attuazione alle norme. 

Assunzioni di “donne svantaggiate”

Ma, andiamo con ordine cominciando dalle agevolazioni per le assunzioni delle donne previste dalla legge n. 178/2020.

Modificando quanto già contenuto nella legge n. 92/2012 e per le sole assunzioni effettuate nel biennio 2021 – 2022, il Legislatore ha previsto sgravi contributivi per le donne c.d. “svantaggiate” per un massimo di 6.000 euro sulla quota a carico del datore di lavoro privato, in caso di assunzione a tempo indeterminato fino a diciotto mesi, o dodici per una assunzione a tempo determinato che, in caso di trasformazione, diventano diciotto. Si tratta, come ben si vede, di un beneficio non strutturale ma limitato al biennio sopra indicato, trascorso il quale, in assenza di ulteriori atti normativi, tornerà, pienamente, in vigore, quello vecchio che prevede una agevolazione pari al 50% della contribuzione a carico del datore.

Le donne, che sono portatrici dell’agevolazione, sono quelle prive di qualsiasi impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi residenti in alcune regioni del nostro Centro Sud che possono ricevere i fondi strutturali della Comunità Europea, oppure assunte in settori, determinati annualmente da un D.M. del Ministro del Lavoro, che presentano una forte disparità di genere, oppure, ovunque residenti e prive di un lavoro regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi. Tale ultima condizione si realizza in favore di chi, nel periodo preso in considerazione, non ha avuto un rapporto di lavoro subordinato di almeno sei mesi o di collaborazione coordinata e continuativa o, comunque, autonomo, che abbia comportato un reddito non superiore nel primo caso a 8.145 euro e nel secondo a 4.800. Ricordo che sono, parimenti, agevolabili, alle stese condizioni le assunzioni delle donne “over 50” disoccupate da oltre dodici mesi

Le condizioni essenziali per la fruizione sono rappresentate:

  1. Dall’osservanza dell’art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006: regolarità contributiva, rispetto degli altri obblighi di legge, rispetto dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni del datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, se esistenti, territoriali ed aziendali;
  2. Dal rispetto delle previsioni contenute nell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015;
  3. Dalla sussistenza per tutto il periodo di fruizione dello sgravio dell’incremento occupazionale, rispetto alla media dei lavoratori occupati nei dodici mesi antecedenti l’assunzione: nel computo non rientrano i dipendenti che sono andati in pensione di vecchiaia, quelli dimissionari, le riduzioni volontarie di lavoro, i recessi per giusta causa.

Su questo e su altri punti l’INPS si è espressa con circolari (n. 32/2021) e messaggi (n. 1421/2021 e n. 3809/2021) a cui rimando per una attenta lettura.

Su tutto questo però, nel momento in cui scrivo questa riflessione, incombe una tegola: la Commissione Europea ha limitato al prossimo 30 giugno, le agevolazioni del Temporary Framework, varato durante la pandemia ed al quale sono “agganciati” gli incentivi per le assunzioni delle donne “svantaggiate”. Se non si troverà il modo di procrastinare al 31 dicembre 2022 l’autorizzazione di Bruxelles ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione (magari agganciandolo alla situazione di crisi derivante dalla guerra tra Russia e Ucraina), le assunzioni effettuate a partire dal 1° luglio, pur rientrando nel dettato normativo, non potranno essere oggetto di sgravio contributivo nella percentuale indicata dalla legge. Ovviamente, i contratti in corso perchè stipulati prima di tale data, non dovrebbero avere alcun problema, nel rispetto delle condizioni richiamate nelle dell’Istituto sopra citate.

Ma, se l’autorizzazione della Commissione non sarà prorogata, si potrà utilizzare, per le nuove assunzioni, il beneficio previsto dalla legge n. 92/2022 che, come detto in precedenza, ha natura strutturale ma che, risulta sospeso per gli anni 2021 e 2022 perché sostituito da quello del 100% della legge n. 178/2020? A mio avviso, per renderlo possibile, ci vorrebbe un provvedimento di natura normativa, magari anticipato da un messaggio dell’INPS, “concordato” con il Dicastero del Lavoro. In ogni caso, sarebbe oltre modo disdicevole, lasciare nel dubbio gli operatori.

 Donne che rientrano dalla maternità obbligatoria

Il secondo tema sul quale intendo soffermarmi riguarda una misura contenuta nel comma 137 dell’art. 1 della legge n. 234/2021 che afferma: “In via sperimentale, per l’anno 2022, è riconosciuto nella misura del 50% l’esonero per un anno dal versamento dei contributi previdenziali a carco delle lavoratrici madri dipendenti del settore privato, a decorrere dalla data del rientro nel posto di lavoro dopo la fruizione del congedo obbligatorio di maternità e per un periodo massimo di un anno a decorrere dalla data del predetto rientro. Resta fermo l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche”. Tale disposizione non presenta effetti negativi sul futuro pensionistico dell’interessata in quanto sarà lo Stato a coprire il minor gettito contributivo.

La norma che esclude, espressamente le dipendenti pubbliche, i cui datori di lavoro sono, in gran parte, elencati nell’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 e che, se attuata, comporta un aumento della retribuzione delle donne interessate dal momento che la contribuzione a loro carico è ridotta per dodici mesi del 50%, ha avuto una certa eco sulla stampa nel momento in cui è stata prima annunciata e, poi, approvata, ma non è operativa perché mancano le indicazioni amministrative dell’INPS a distanza di quattro mesi dalla sua entrata in vigore. Tale lasso temporale rappresenta ¼ del periodo di vigenza che è, al momento, di dodici mesi.

Indubbiamente, posso immaginare che sussistano problemi applicativi come, ad esempio, la data del rientro al lavoro della dipendente (se al termine del periodo di astensione dal lavoro o anche dopo), la fruizione dell’astensione facoltativa successiva al rientro in azienda se o in che modo interrompa lo sgravio o se la rinuncia all’astensione facoltativa costituisca un passaggio obbligatorio per il godimento dell’agevolazione, ma mi chiedo: non è possibile risolvere, sollecitamente, tali questioni concordando una soluzione univoca con il Ministero del Lavoro che, indubbiamente, in sede di approvazione della legge di bilancio, ha avallato la norma, soppesando (almeno credo) tutte le questioni correlate?

 Certificazione sulla parità di genere

La terza questione che intendo affrontare riguarda la parità di genere e gli sgravi contributivi in favore di quelle aziende che hanno ottenuto la certificazione alla luce della legge n. 162/2021 che è intervenuta nel “corpus” del D.L.vo n. 198/2006.  Qui, l’ottenimento della certificazione relativa all’anno 2021, consente, tra le altre cose, di fruire per il solo 2022, di uno sgravio contributivo sulla quota dovuta da ogni singola azienda privata, pari all’1%, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche: il tutto, recita l’art. 5, comma 2, nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato ed applicato su base mensile. Di conseguenza, lo “sconto” per le imprese che sono in possesso della certificazione, può raggiungere i 5.000 euro. Per quel che riguarda gli anni successivi, una eventuale conferma dell’agevolazione o la possibilità, per chi ne fosse escluso di ottenerla, passa attraverso nuovi provvedimenti legislativi.

Ricordo che il rapporto biennale sulla parità di genere e sulla eliminazione delle discriminazioni basate sul sesso, in origine riguardava, unicamente, i datori dimensionati oltre i cento dipendenti: ora, l’obbligo, dopo la legge n. 162/221, riguarda anche chi occupa oltre cinquanta lavoratori.

Le riflessioni sulla parità di genere sono limitate allo sgravio contributivo che, ripeto si ottiene attraverso la certificazione: il personale femminile ne è, in un certo senso, il “motore”, atteso che, attraverso la eliminazione delle discriminazioni, di ogni tipo, nei suoi confronti, consente al datore di lavoro privato di fruire di un agevolazione contributiva che riguarda la quota a suo carico per tutti i lavoratori in organico. A fronte di tale quadro normativo che ha necessitato di ulteriori interventi attraverso appositi Decreti Ministeriali, appare singolare rimarcare come sia dall’INPS che dal Ministero del Lavoro non siano ancora giunti chiarimenti operativi finalizzati a fruire lo sgravio dell’1% sul monte dei contributi previdenziali dovuti dall’azienda privata fornita di certificazione positiva che, è bene ricordarlo, può essere, materialmente, goduto soltanto per l’anno in corso.  

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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