La Cigs per la crisi aziendale
L'editoriale di Eufranio Massi sulla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria
L’integrazione straordinaria per crisi aziendale non è mutata sia nei requisiti che nella procedura rispetto al testo originario del D.L.vo n. 148/2015: l’importanza della stessa, tuttavia, è di particolare rilievo in un momento, come l’attuale, ove molte aziende potrebbero risentire fortemente delle sanzioni adottate contro la Russia, soprattutto se queste dovessero avere una durata abbastanza lunga.
Rispetto alla norma originaria, le modifiche introdotte con la riforma contenuta nella legge n. 234/1991 riguardano, unicamente, l’ampliamento del campo di applicazione della normativa che, a partire dal 1° gennaio 2022, comprende tutte le imprese che, mediamente, nel semestre antecedente la richiesta occupano più di 15 dipendenti, purché non siano “coperti” dai Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26), alternativi, (art. 27) e da quelli anche di natura intersettoriale previsti dall’art. 40 come, ad esempio, quelli delle Province Autonome di Trento e di Bolzano. Per completezza di informazione ricordo che il numero minimo di dipendenti non è richiesto (art. 20 comma 3 ter e art. 25 –bis):
- Per le imprese del trasporto aereo e di gestione aeroportuale e società da queste derivate, nonché imprese del sistema aeroportuale;
- Per i partiti ed i movimenti politici e le loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali, a condizione che risultino iscritti nel registro previsto dall’art. 4, comma 2, del D.L: n 149/2013 convertito, con modificazioni, nella legge n. 13/2014;
- Pe le imprese editrici e stampatrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa a diffusione nazionale ove, però, a differenza degli altri settori la crisi aziendale ha una durata di 24 mesi, anche continuativi, e comprende i casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa anche in costanza di fallimento (art. 25 bis, comma 2, lettera b):
Prima di esaminare i contenuti della causale, mi preme sottolineare che:
- Le imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGS sono tenute (art. 23) a corrispondere un contributo mensile sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali pari allo 0,90% ((0,60% a carico del datore di lavoro e 0,30% a carico del dipendente). Per il corrente anno l’aliquota è pari allo 0,27% (sempre con la ripartizione di 2/3 ed 1/3);
- Le imprese debbono avere una media nel semestre antecedente di almeno 16 dipendenti. Ciò significa che occorrerà effettuare ogni mese il calcolo e dopo la sommatoria dei 6 mesi, per ottenere il risultato, occorrerà dividere per 6 il numero ottenuto. Nel computo sono compresi anche i dirigenti ed i lavoratori con rapporto di apprendistato.
Fatta questa breve premessa entro nel merito della CIGS per crisi aziendale.
L’ipotesi prevista dall’art. 21, comma 1, lettera b) relativa alla crisi aziendale fa riferimento a due ipotesi diverse.
La prima riguarda una situazione involutiva dell’impresa e richiede un piano di risanamento destinato a fronteggiare una serie di squilibri (produttivi, finanziari, gestionali, di mercato): esso deve contenere interventi per il raggiungimento dell’obiettivo finalizzato, da un lato alla continuazione dell’attività aziendale ed alla salvaguardia, anche parziale, dell’occupazione.
La seconda concerne la richiesta di CIGS per crisi aziendale dovuta ad un evento improvviso ed imprevisto (si pensi, ad esempio, a misure di “embargo” nelle esportazioni e nelle importazioni verso uno Stato estero disposte dagli Organismi Comunitari come, ad esempio, verso la Russia a seguito della guerra con l’Ucraina).
Entrambe le ipotesi prevedono che la eventuale concessione non possa avere una durata superiore ai 12 mesi.
Nel primo caso occorre presentare un piano che, magari è frutto dell’esame congiunto con le RSA o le RSU, nonché con le organizzazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative a livello nazionale che, obbligatoriamente, va organizzato, dopo la specifica informativa, ai sensi dell’art. 25 e che ha tempi certi (25 giorni complessivi per le aziende con un organico superiore alle 50 unità, ridotti a 10 in quelle dimensionate sotto tale numero). Ovviamente, nell’esame congiunto saranno esaminate una serie di altre situazioni come, non ultima, quella legata alla rotazione tra i dipendenti in CIGS.
Su ogni richiesta di CIGS è previsto dalla norma (art. 25, comma 5) un controllo da parte degli ispettori dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente per territorio che deve avvenire nei 3 mesi antecedenti la conclusione del periodo integrativo autorizzato: così dispone la circolare del Ministero del Lavoro n. 27/2016 che fornisce alcuni spunti per gli accertamenti degli organi di vigilanza.
Questi ultimi dovranno valutare se il datore di lavoro ha rispettato sia i tempi che i contenuti del programma di risanamento: ciò significa che vanno acquisiti e verificati documenti di natura amministrativa, fiscale, contabile e commerciale, necessari per avere un quadro d’insieme. Quest’ultimo va valutato anche in rapporto all’andamento involutivo dell’ultimo biennio (bilanci “in rosso”) ed al ridimensionamento (o, quantomeno, la “stasi”) dell’organico: non è che le nuove assunzioni siano “vietate” ma, certo, a meno che non si tratti di profili professionali non presenti in azienda e assolutamente necessari per la produzione, le stesse sono viste con “sospetto” (e andrebbero “motivate” agli ispettori), soprattutto, se accompagnate da benefici di natura contributiva o fiscale.
Normalmente, il programma di risanamento è accompagnato da un piano di gestione degli esuberi, cosa che può avvenire ipotizzando modalità diverse di cui, quella più comune, è, senz’altro, quella che prevede il ricorso alla procedura collettiva di riduzione di personale, alle risoluzioni consensuali, magari con incentivi all’esodo. Gli ispettori non debbono entrare nel merito di questa casistica ma debbono verificare se il programma di ridimensionamento degli organici è avvenuto o meno: non entrare nel merito significa, a mio avviso, astenersi da qualsiasi valutazione che riguardi l’iter procedimentale per la quale il Legislatore prevede, attraverso altri strumenti (ricorso giudiziale), la possibilità della impugnativa.
Per quel che riguarda, invece, la crisi aziendale dovuta ad un evento improvviso ed imprevisto, esterno alla gestione aziendale, come ricorda il D.M. n. 94033/2016, il datore di lavoro deve rappresentare l’imprevedibilità dell’evento, la sua rapidità con la quale quest’ultimo ha prodotto gli effetti negativi e la completa autonomia rispetto alle politiche di gestione aziendale.
In questo caso, per gli ispettori del lavoro incaricati della verifica non ha senso la verifica del biennio antecedente: qui va, “in primis”, valutato se l’evento che ha dato origine alla richiesta ed alla successiva concessione, presenta proprio le caratteristiche sopra evidenziate e, successivamente, se il piano di risanamento prospettato (ad esempio, ricerca di nuovi mercati) ha avuto attuazione. Il ridimensionamento della struttura aziendale non è una caratteristica necessaria ed obbligatoria di questa causale: tuttavia, se è stata prevista, occorrerà verificarne l’attuazione.
In via generale, occorre sottolineare come il D.M. n. 94033/2016 affermi che non sono prese in esame dalla Direzione Generale degli Ammortizzatori le richieste presentate da aziende che:
- Abbiano iniziato l’attività produttiva nel biennio antecedente la CIGS;
- On abbiano effettivamente avviato l’attività produttiva;
- Abbiano subito significative trasformazioni societarie nel biennio antecedente la richiesta di CIGS, salvo che tali trasformazioni siano avvenute tra imprese che presentano assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, con la preminente finalità del contenimento dei costi di gestione, nonchè laddove, pur in presenza di assetti proprietari non coincidenti, le trasformazioni comportino, per le imprese che sono subentrate azioni volte al risanamento aziendale ed alla salvaguardia occupazionale.
La CIGS per crisi aziendale potrebbe ora riflettersi anche sull’uso di altri strumenti previsti dal D.L.vo n. 148/2015 come, ad esempio, l’accordo di transizione occupazionale (art. 22 ter) ove, a determinate condizioni, potrebbero essere riconosciuti, qualora si sia esaurito il “plafond” delle integrazioni a disposizione, ulteriori periodi di integrazione salariale straordinaria per un massimo di 12 mesi, non prorogabili, che dovrebbero facilitare la rioccupazione del personale eccedentario.
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