Il rispetto delle norme in azienda ed il potere di disposizione degli ispettori del lavoro [E.Massi]

Analisi approfondita della legge n. 120/2020 che ha rivisto il potere di disposizione degli organi di vigilanza degli Ispettorati territoriali in presenza di violazioni di norme in materia di lavoro

Il rispetto delle norme in azienda ed il potere di disposizione degli ispettori del lavoro [E.Massi]

È passata, sostanzialmente, inosservata tra gli addetti ai lavori la norma, contenuta nell’art. 12-bis della legge n. 120/2020 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 76, con la quale il Legislatore, intervenendo sull’art. 14 del D.L.vo n. 124/2004, ha rivisto il potere di disposizione che, durante gli accessi ispettivi, gli organi di vigilanza degli Ispettorati territoriali, possono attivare allorquando si trovino in presenza di violazioni di norme in materia di lavoro e legislazione sociale che non sono supportate da sanzioni di natura amministrativa o penale.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, attraverso la circolare n. 5 del 30 settembre 2020, ha fornito alle proprie articolazioni periferiche le prime indicazioni concernenti i contenuti del potere di disposizione, quale si configura dopo le modifiche introdotte.

Rispetto al passato cambia, a mio avviso, l’approccio, nel senso che la disposizione appare come un mezzo per garantire una tutela sostanziale ai lavoratori che non deve essere, in alcun modo, scambiata come un controllo oppressivo nei confronti dei datori di lavoro. Si tratta, infatti, nei limiti del possibile, di far rispettare le norme sul lavoro e la legislazione sociale anche quando la loro violazione non è accompagnata da alcuna sanzione ma che, non di meno, sono importanti e vanno rispettate: in tale percorso si inserisce la disposizione disciplinata dal nuovo art. 14 del D.L. vo n. 124/2004.

Vale la pena di sottolineare come la giustizia amministrativa abbia riconosciuto tale potere come coerente con il quadro normativo:  di ciò sono palese testimonianza sia la decisione del TAR della Lombardia n. 830 del 28 marzo 2011 che la successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 5801 del 4 maggio 2015, laddove si è riconosciuto perfettamente legittimo l’ordine dispositivo emanato dagli ispettori del lavoro finalizzato ad indicare sul LUL gli orari di entrata e di uscita dal lavoro del personale del personale di una impresa di pulizie, cosa, oltremodo necessaria, per verificare il rispetto degli articoli 7 ed 8 del D.L.vo n. 66/2003 sull’orario di lavoro.

Ma, seguendo il percorso interpretativo delineato dalla circolare n. 5/2020, va sottolineato il raccordo sistematico di  tale norma con un altro potere di disposizione, che è contenuto negli articoli 10 ed 11, del DPR n. 520/1955 che agisce su un piano diverso, che non è stato, assolutamente, toccato e che continua ad esplicare i suoi effetti sanzionatori laddove sia previsto un apprezzamento discrezionale degli ispettori del lavoro in materia di prevenzione infortuni o di inosservanza delle disposizioni impartite in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, con uno specifico apparato sanzionatorio:

  • L’inottemperanza alle disposizioni ex art. 10 continua ad esser punita con una sanzione amministrativa compresa tra 515 e 2.580 euro se riguarda la c.d. “prevenzione infortuni”;
  • La mancata ottemperanza alle disposizioni impartite in materia di igiene e sicurezza sul lavoro continua a comportare la pena dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda fino a 413 euro.

L’art. 14 del D.L. vo n. 124/2004, novellato dal predetto art. 12-bis, rende la disposizione applicabile, come già detto pocanzi, “in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali od amministrative”.

Prima di entrare nel merito delle questioni credo che sia opportuno chiarire cosa sia la disposizione.

Si tratta, nella sostanza, di un ordine che, discrezionalmente, possono impartire soltanto gli ispettori del lavoro (e non, ad esempio, quelli degli Istituti previdenziali o la Guardia di Finanza) laddove si ravvisi un comportamento “non regolamentare” nelle materie sopra indicate e che riverbera, direttamente, i propri effetti nel rapporto di lavoro dei singoli dipendenti: si deve trattare, di violazioni non supportate da sanzioni di natura penale od amministrativa.

Come ben si arguisce, il campo di applicazione della disposizione è, potenzialmente, molto ampio allargandosi sia ai dettati legali che a quelli scaturenti dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro. L’INL, giustamente, limita il possibile campo di applicazione della disposizione alle sole fonti scaturenti da leggi o contratto collettivo, escludendo quelle, anche di natura patrimoniale (per le quali la via più favorevole da percorrere, potrebbe essere quella della diffida accertativa o della conciliazione monocratica, ma anche della conciliazione avanti alla commissione di conciliazione ex art. 410 cpc o in altra sede protetta se si tratta di rivendicazioni puramente patrimoniali).

La disposizione non richiede, ovviamente, un comportamento datoriale immediatamente sanzionabile, perché, altrimenti, l’ispettore del lavoro dovrebbe procedere applicando la sanzione prevista dalla norma di riferimento, ma, al contrario, un qualcosa che, pur non essendo sanzionato, non è conforme al dettato normativo. La disposizione si concretizza in un ordine attraverso il quale l’ispettore del lavoro intima al datore di lavoro di ripristinare la regolarità in ciò che è emerso dalla visita ispettiva, concedendo, ai fini del successivo adempimento, un limite temporale che può essere più o meno lungo a seconda della criticità evidenziata. Il provvedimento è immediatamente esecutivo ma se il datore di lavoro ottempera a quanto richiesto ripristinando la regolarità che la norma richiede, il tutto si conclude senza alcuna altra conseguenza.

Ovviamente, il nuovo articolo 14 pone l’accento sul comportamento discrezionale del funzionario ispettivo: ciò significa, a mio avviso, che lo stesso non potrà utilizzare tale potere “ad ogni piè sospinto” ma, con ragionevolezza, nel senso che dovrà valutare l’impatto della disposizione sul complesso del rapporto di lavoro (ma su ciò tornerò più avanti, facendo alcuni esempi). Ovviamente, in tale fase, appare quantomai opportuno che i Capi degli Ispettorati territoriali del Lavoro forniscano, al proprio personale addetto alla vigilanza, linee di comportamento uniformi, finalizzate alla tenuta di un comportamento, sostanzialmente identico, tutte le volte in cui si intenda esercitare tale potere discrezionale.

Ma, quale è il rimedio amministrativo che un datore di lavoro può attivare, una volta ricevuta la disposizione?

L’art. 14 del D.L. vo n. 124/2004 afferma che lo stesso può inoltrare un ricorso al Capo dell’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio entro i quindici giorni successivi alla ricezione dell’atto. Quest’ultimo decide nei quindici giorni successivi e, qualora non si pronunci (cosa che, a mio avviso, per una forma di rispetto nei confronti del cittadino), il ricorso viene respinto sulla base del principio del silenzio-rigetto. L’esecutività del provvedimento non viene fermata dal gravame amministrativo.

Ovviamente, appare sempre azionabile il ricorso giudiziale al TAR competente per territorio, ove potranno essere sollevati, tra le altre cose, le questioni riguardanti i profili di legittimità del provvedimento, rimanendo, a mio avviso, precluso ogni diverso apprezzamento di opportunità.

Come dicevo pocanzi, l’ottemperanza all’ordine dispositivo con il ripristino della regolarità normativa, non genera alcun tipo di sanzione ma, la mancata ottemperanza entro il tempo congruo concesso dall’ispettore del lavoro per l’adempimento, comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa compresa tra 500 e 3.000 euro, non diffidabile ex art 13 del D.L.vo n. 124/2004, cosa che comporta una sanzione minima pari a 1.000 euro.

Le materie riguardanti il possibile intervento degli ispettori del lavoro appaiono molto vaste e, ritengo, che la discrezionalità che il Legislatore ha riconosciuto debba essere usata con accortezza avendo ben presente il quadro complessivo. La stessa circolare n. 5 indica, come esempio, la via della disposizione anche alla luce della economizzazione dei tempi relativi all’accertamento, allorquando le inosservanze normative o di contratto collettivo riguardino il trattamento di una pluralità di lavoratori.

Ovviamente, la casistica è ampia e, tanto per comprendere la portata della norma, si possono portare molteplici esempi. Per ovvi problemi di brevità strettamente correlati alla presente riflessione mi limito a farne solo alcuni:

  • La disposizione è applicabile laddove l’organo di vigilanza accerti che la pausa di almeno dieci minuti, dopo sei ore di lavoro in mancanza di previsione diversa della contrattazione collettiva, prevista dall’art. 8 del D.L.vo n. 66/2003, non sia stata dai lavoratori: infatti, nella normativa di riferimento non si rinviene alcuna disposizione sanzionatoria;
  • La disposizione è applicabile in tutte le ipotesi previste dall’art. 2103 c.c. in materia di mansioni del lavoratore, in quanto che le norme, cogenti, ivi previste non sono accompagnate da alcuna sanzione amministrativa. Ovviamente, l’emanazione del provvedimento (che, ripeto, ha natura discrezionale) postula la necessità che gli ispettori si siano ben resi conto, ad esempio, della concreta violazione del comma 1 che prevede che il dipendente sia adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle conseguite durante il percorso professionale o a mansioni riferibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte e che non si sia in presenza delle ipotesi derogatorie previste dai successivi commi 2 e 4 o che sia stato adibito a mansioni superiori per il periodo previsto dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi, fatto salvo il caso della rinuncia o della sostituzione di altro lavoratore assente;
  • La disposizione è applicabile laddove, dalla documentazione reperita, risulti che il lavoratore è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo prima del prossimo 31 dicembre, in assenza delle esimenti previste dal comma 3 dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020. Tale provvedimento, attesa la nullità del provvedimento, in quanto contrario ad un divieto imposto dalla legge, poteva, fino allo scorso 14 ottobre, contenere l’invito al datore di lavoro a ritirare il provvedimento e ad inserire il lavoratori in uno degli ammortizzatori sociali COVID-19, ai sensi della previsione contenuta nel successivo comma 4: ora, tale norma non c’è più in quanto il comma 4 è stato soppresso dalla legge di conversione n. 126. Rispetto alla ipotesi sopra indicata ritengo che la disposizione non possa applicarsi nel caso in cui sia intervenuta tra le parti una conciliazione “in sede protetta”. Penso, al contempo, che sia inibita all’ispettore (tale compito appartiene soltanto al giudice) la valutazione relativa ad un recesso che, sostanzialmente, è per giustificato motivo oggettivo ma che, formalmente, risulta essere “disciplinare”, con una procedura ex art. 7 della legge n. 300/1970 di dubbia regolarità;
  • La disposizione è applicabile nel caso in cui un datore di lavoro non abbia richiamato nella lettera di assunzione di un lavoratore con contratto a tempo determinato, il diritto di precedenza, come prevede il comma 4 dell’art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 ed entro il termine in cui lo stesso, dopo la cessazione del rapporto, lo può esercitare: ovviamente, se pur in mancanza di tale richiamo il lavoratore dovesse aver, comunque, esercitato il diritto, verrebbe meno la motivazione alla base del provvedimento;
  • La disposizione è applicabile, sulla scorta degli orientamenti espressi dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 2/2020, nei confronti dei datori di lavoro che non applicano i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi “leader” o, comunque, non riconoscono trattamenti equivalenti: il tutto, secondo la previsione del comma 1175 dell’art. 1, della legge n. 296/2006 che correla le agevolazioni di natura contributiva al rispetto di una serie di norme contenute anche nell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015.

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Eufranio Massi
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E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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