Il nuovo contratto di solidarietà ed i controlli ispettivi
Con la riforma degli ammortizzatori sociali avvenuta attraverso alcuni commi dell’art. 1 della legge n. 234/2021 intervenuti, con profonde modificazioni, sul “corpus” del D.L.vo n. 148/2015, anche il contratto di solidarietà previsto, dall’art. 21, ha visto accrescere la platea dei possibili destinatari ed ha cambiato i contenuti, pur rimanendo, sostanzialmente, quello già disciplinato dal vecchio testo
Con la riforma degli ammortizzatori sociali avvenuta attraverso alcuni commi dell’art. 1 della legge n. 234/2021 intervenuti, con profonde modificazioni, sul “corpus” del D.L.vo n. 148/2015, anche il contratto di solidarietà previsto, dall’art. 21, ha visto accrescere la platea dei possibili destinatari ed ha cambiato i contenuti, pur rimanendo, sostanzialmente, quello già disciplinato dal vecchio testo.
La platea dei potenziali fruitori ha, come detto, subito un notevole allargamento: alle imprese appartenenti ai settori già individuati dai primi tre commi dell’art. 20, si aggiungono, dal 1° gennaio 2022, i datori di lavoro non coperti dai Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26), da quelli alternativi (art. 27) e dai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano che, nel semestre antecedente la data di presentazione della richiesta di intervento, abbiano occupato, in media, più di 15 dipendenti, secondo un concetto che, per le modalità di computo, rimanda alla vecchia previsione già presente nel nostro ordinamento dal 1981, attraverso l’art. 1 della legge n 223. L’allargamento della base può consentire, ad esempio, alle imprese del commercio, delle agenzie di viaggio, dei pubblici esercizi, degli alberghi o del settore dello spettacolo, anche mediamente piccole, di affrontare crisi di mercato facendo ricorso ad ammortizzatori ad “ampio respiro” come la CIGS per riorganizzazione o la crisi aziendale, o a contratti di solidarietà ove l’obiettivo precipuo è quello di salvaguardare i livelli occupazionali.
Applicazione della normativa sulle integrazioni salariali straordinarie in generale e sul contratto di solidarietà, in particolare, significa anche essere sottoposti ai relativi obblighi contributivi ordinari (0,90% sulla retribuzione imponibile mensile, di cui 2/3 a carico del datore di lavoro ed 1/3 a carico del lavoratore) ed alle addizionali previste dall’art. 5, in caso di fruizione.
Ma cosa afferma, oggi, la disciplina il contratto di solidarietà?
La normativa di riferimento, contenuta nel comma 5 dell’art. 21, è stata completamente sostituita dal 1° gennaio 2022 dalle previsioni inserite nell’art. 1, comma 199, lettera d) della legge n. 234/2021. La durata massima è di 24 mesi, anche continuativi, nel quinquennio mobile e, ricordo, per la parte non eccedente i 24 mesi viene calcolata per la metà, se fruita durante i primi 2 anni del quinquennio.
Il D.M. n. 94033 (che, probabilmente, verrà cambiato in alcune parti, soprattutto con riguardo alle percentuali di riduzione) chiarisce che l’accordo va sottoscritto con le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: a livello aziendale le stesse sono soltanto le “loro” RSA (art. 51 del D.L.vo n. 81/2015) o la RSU.
Esso deve ipotizzare una riduzione di orario con l’obiettivo principale di evitare in tutto o in parte i licenziamenti.
L’attuale regolamentazione prende, in gran parte, lo spunto dalla previsione già contenuta, nella fase emergenziale, nell’art. 40 del D.L. n. 73/2021 ove, con una durata temporalmente ridotta, fu previsto, fino allo scorso 31 dicembre, il contratto di solidarietà per le aziende che nel raffronto tra i fatturati del primo semestre 2019 e 2021 avevano subito un calo di almeno il 50%.
Nell’accordo collettivo l’esubero di personale va quantificato e motivato: il contratto di solidarietà non è applicabile all’edilizia in caso di fine lavoro o fase lavorativa e, quindi, in tale specifico settore se l’accordo riguarda i “lavoratori permanenti” (per lo più appartenenti agli uffici tecnici ed amministrativi) questi vanno riportati nominativamente nel testo, distinguendoli da quelli di cantiere. Il contratto di solidarietà non è previsto per i lavoratori con contratto a termine legati ad esigenze stagionali ed è ammissibile per i c.d. “lavoratori a tempo parziale” strutturali nella organizzazione del lavoro: per costoro risulta ipotizzabile la ulteriore riduzione di orario. In caso di minore ricorso alla solidarietà, per sopravvenute esigenze lavorative, il datore di lavoro, ricorda il D.M. n. 94033, deve darne notizia sia alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali ed Incentivi all’Occupazione che all’INPS: nell’ipotesi di una maggiore riduzione occorre, invece, un nuovo accordo.
Ai fini della gestione complessiva del contratto si ricorda che, in via generale, i lavoratori in solidarietà non possono effettuare prestazioni straordinarie.
In base alle nuove disposizioni la riduzione di orario media aziendale programmata su base giornaliera, settimanale o mensile può arrivare fino all’80% con punte, correlate al singolo lavoratore pari al 90% (prima le percentuali erano, rispettivamente al 60% ed al 70%). Il trattamento salariale perduto a seguito di riduzione oraria va calcolato al netto degli aumenti retributivi intervenuti a seguito di accordi collettivi aziendali raggiunti nei 6 mesi antecedenti la richiesta (ciò per evitare un possibile uso capzioso della norma), mentre non rilevano gli aumenti derivanti dal rinnovo del CCNL. Nell’accordo collettivo vanno individuate le modalità, in presenza di un aumento del lavoro, di aumento dell’attività svolta con orario ridotto: tutto ciò comporta una riduzione corrispondente del trattamento di integrazione salariale.
Il contratto di solidarietà può essere stipulato dalle parti interessate anche in una azienda che, in procedura concorsuale, sia stata ammessa alla continuazione dell’attività: ovviamente, dopo aver verificato la sussistenza dei requisiti richiesti.
Le quote di accantonamento del TFR concernenti la retribuzione persa a seguito della riduzione di orario sono a carico della Gestione INPS relativa agli interventi assistenziali e di sostegno (art. 37 della legge n. 88/1989) con una eccezione, derivante dalla abrogazione della legge n. 464/1972, che riguarda i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale, avvenuti entro 90 giorni dal termine del periodo integrativo, o entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione di un ulteriore trattamento integrativo straordinario (ad esempio, CIGS per crisi aziendale) concesso entro 120 giorni dal termine del trattamento precedente (tutto questo è scritto nel nuovo comma 5 dell’art. 21). Ciò, tuttavia, non accade se il recesso avviene, entro gli stessi termini, in caso di trattamento integrativo salariale derivante da cassa integrazione, attesa la esplicita abrogazione della norma che la prevedeva.
Il contratto di solidarietà difensivo postula che per tutta la durata i licenziamenti collettivi restino “bloccati” ma il Dicastero del Lavoro, da tempo, ha ammesso la possibilità che durante lo stesso possano essere previsti anche con accordo sindacale “licenziamenti non oppositivi” paragonabili, nella sostanza, a risoluzioni consensuali (per le quali non viene riconosciuta la NASPI) o a “licenziamenti accettati” (per i quali è dovuta, invece, l’indennità di disoccupazione).
Indubbiamente, tra tutti gli ammortizzatori straordinari possibili (riorganizzazione o crisi aziendale), il Legislatore preferisce di gran lunga il contratto di solidarietà. Ciò si evince da diversi elementi:
- Dalla durata complessiva che può arrivare fino a 36 mesi, in quanto, nel calcolo del quinquennio mobile, se esso viene usufruito nei primi due anni, viene computato per la metà;
- Dal fatto, citato pocanzi, secondo il quale le quote di TFR, maturate durante la fruizione della integrazione salariale straordinaria, restano a carico dell’INPS (a differenza delle altre integrazioni straordinarie ove restano a carico dell’impresa), in presenza delle condizioni pocanzi riportate;
- Dalla circostanza che qualora l’imprenditore decida di ricorrere alle causali di “riorganizzazione” o di “crisi aziendale” deve spiegare, in un certo senso, la motivazione per la quale non è stato possibile ricorrere alla solidarietà (art. 24, comma 4).
I controlli degli ispettori del lavoro sui contratti di solidarietà
Un discorso complessivo sui contratti di solidarietà non può non comprendere i controlli che gli organi di vigilanza degli Ispettorati del Lavoro possono mettere in atto, adempiendo a ciò che la norma loro impone: al momento, in attesa di eventuali nuovi chiarimenti amministrativi che dovessero pervenire dalla Direzione Generale degli Ammortizzatori e della Formazione del Ministero del Lavoro, credo che la prassi di riferimento non possa essere che quella indicata nella circolare n. 27/2016, ovviamente aggiornata con i valori delle nuove aliquote di riduzione.
Come detto pocanzi, il contratto di solidarietà richiede il raggiungimento di un accordo sindacale che, tuttavia, può avvenire soltanto con organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, territoriale o con le “loro” RSA o la RSU, secondo la chiara dizione contenuta nell’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015. Qui sarebbe opportuno verificare se i soggetti firmatari avevano il titolo “legale” per siglare l’accordo
Prima di entrare nel merito delle cose che gli ispettori del lavoro debbono verificare, è opportuno ricapitolare i punti essenziali del contratto di solidarietà il cui obiettivo principale è quello di scongiurare, in tutto o in parte, licenziamenti collettivi attraverso una riduzione dell’orario che nella media, per i soggetti interessati, non può essere superiore all’80% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile con punte del 90% per i singoli lavoratori ma intese come media di riduzione nell’arco dell’intero periodo. Gli accordi collettivi, come detto in precedenza, debbono specificare le modalità di ricorso ad una maggiore prestazione lavorativa, durante la solidarietà, determinata da un aumento delle commesse o della produttività: ciò comporta una corrispondente riduzione del trattamento integrativo.
In linea di massima, durante la solidarietà non sono possibili nuove assunzioni a meno che le stesse non riguardino lavoratori in possesso di professionalità non disponibili nell’organico aziendale: tale principio è stato richiamato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 21 dell’11 agosto 2016 a proposito della possibilità di assumere un apprendista con contratto professionalizzante.
Ma cosa debbono verificare gli ispettori del lavoro?
Innanzitutto che il contratto di solidarietà, inteso come riduzione oraria programmata, sia stato rispettato: ciò potrà accadere incrociando i dati del Libro Unico del Lavoro e delle timbrature, con le dichiarazioni dei lavoratori interessati.
Una particolare attenzione va posta all’orario di lavoro, nel senso che prestazioni superiori a quelle concordate nell’accordo possono essere giustificate soltanto se previste dal contratto stesso, comportando una riduzione della integrazione. In tale logica va visto il lavoro straordinario che non è, assolutamente, ammesso per i lavoratori interessati, fatte salve ipotesi del tutto eccezionali che debbono essere giustificate e motivate.
Un’ultima verifica riguarda la possibilità che sia stata aperta una procedura di riduzione collettiva di personale, oppure, che ci siano state offerte datoriali per la risoluzione di rapporti di lavoro in essere: ebbene, il D.M. n. 94033 prevede, in linea di continuità con un indirizzo espresso negli anni passati, che riduzioni di personale ci possano essere ma che esse debbano avvenire con la “non opposizione” dei lavoratori (volontarietà quale criterio nella procedura collettiva, dimissioni, risoluzioni consensuali). Da ciò discende che nel caso in cui si sia verificata questa eventualità, gli organi di vigilanza dovranno controllare gli atti che hanno portato alla risoluzione dei singoli rapporti di lavoro.
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