I nuovi contratti misti del Collegato Lavoro: Normativa e criticità
L'editoriale di Eufranio Massi
I nuovi contratti misti previsti nel Collegato Lavoro
La fantasia del Legislatore italiano non ha limiti: un nuovo contratto, denominato “contratto misto”, si aggiunge alla vasta tipologia presente nell’ordinamento lavoristico. Esso è previsto dall’art. 17 del c.d. “Collegato Lavoro” la cui approvazione definitiva da parte del Senato è data per imminente.
Ma, di cosa si tratta?
Le principali caratteristiche del contratto misto
Uno stesso soggetto potrà prestare la propria attività per lo stesso datore di lavoro in parte come lavoratore subordinato ed in parte come lavoratore autonomo.
L’analisi che segue intende essere una prima riflessione su questa nuova tipologia contrattuale per la quale viene meno la causa ostativa prevista dal comma 57, lettera d-bis della legge n. 190/2014, che esclude il regime fiscale forfettario in favore delle, persone fisiche che svolgono, in prevalenza la loro attività di lavoro autonoma nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro.
Chi può accedere al contratto misto?
La norma trova applicazione nelle imprese che occupano più di 250 dipendenti, calcolati alla data del 1° gennaio dell’anno al quale si riferisce l’assunzione. Si ha motivo di ritenere che il computo del personale in forza segua le regole tradizionali che, nella sostanza, possono, così riassumersi:
- I lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, compreso il personale con qualifica dirigenziale e quello a domicilio, vengono calcolati, ciascuno per una unità;
- I lavoratori a tempo parziale vengono considerati “pro quota” secondo le indicazioni fornite dall’art. 9 del decreto legislativo n. 81/2015;
- I lavoratori con contratto a tempo determinato vengono computati secondo la previsione dell’art. 27 del decreto legislativo n. 81/2015;
- I lavoratori con contratto di lavoro intermittente rilevano in base alle ore lavorate nell’ultimo semestre, come previsto dall’art. 18 del decreto legislativo n. 81/2015;
- I lavoratori assenti vengono computati, a meno che nel calcolo non siano inseriti i loro sostituti;
- I lavoratori con contratto di apprendistato non rientrano nel computo, come previsto dall’art. 47, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2015;
- I lavoratori somministrati non vanno calcolati, in quanto dipendenti in forza presso l’Agenzia per il Lavoro che li ha inviati in missione.
I requisiti per lavoratori autonomi e subordinati
Il lavoratore, afferma il comma 1, deve essere una persona fisica iscritta in albi o registri professionali e che esercita attività libero-professionali, comprese quelle di collaborazione ordinata e continuativa di cui parla l’art. 409, n. 3, cpc.
Il lavoratore deve essere assunto con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con un orario part-time che non può essere inferiore al 40% e superiore al 50% dell’orario previsto settimanalmente dal contratto collettivo applicato. Contestualmente, va stipulato un contratto di lavoro autonomo o professionale ed il lavoratore deve eleggere il proprio domicilio professionale in un luogo diverso da quello del datore di lavoro con cui ha in essere anche un rapporto di lavoro subordinato.
La certificazione obbligatoria del contratto misto
Il contratto misto (comma 3) deve essere obbligatoriamente certificato da uno degli organi previsti dall’art. 76 del decreto legislativo n. 276/2003 (commissione di certificazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro, commissioni istituite presso le Università e le Fondazioni universitarie autorizzate, commissioni di certificazione presso gli ordini provinciali dei consulenti del lavoro, commissioni istituite presso gli Enti bilaterali previsti dai CCNL, ecc.): dall’atto deve risultare la non sovrapposizione delle ore e delle giornate dedicate alla prestazione di lavoro subordinato con quella autonoma o libero professionale.
Il comma 2 prevede, poi, che la possibilità di svolgere prestazioni di lavoro autonomo sia possibile anche per chi non è iscritto ad alcun albo, o registro professionale ma, in questo caso, la contemporaneità tra lavoro subordinato a tempo indeterminato e lavoro autonomo è rimessa ad un accordo di prossimità ex art. 8 del D.L. n. 138/2011, cosa che comporta l’individuazione di un obiettivo di scopo tra quelli indicati dal Legislatore, indispensabile per la legittimità del contratto che va stipulato con le rappresentanze sindacali presenti in azienda.
Le criticità del contratto misto: sovrapposizione e orari di lavoro
Fin qui la norma che, ad un primo esame, presenta alcune criticità.
La prima è, senz’altro, quella di non far sovrapporre le due prestazioni in favore dello stesso datore di lavoro, con un lavoratore che dovrà, necessariamente, sdoppiarsi: è pur vero che la disposizione richiede che le due attività non siano coincidenti nello stesso giorno o nelle stesse ore, ma tra l’affermare un principio e la realtà dei fatti, sussiste, sovente, una forte differenza.
Contributi previdenziali: come gestire il doppio regime contributivo
Il rapporto di lavoro subordinato è a tempo indeterminato e parziale e le sue regole sono, essenzialmente, dettate oltre che dal contratto dagli articoli sul rapporto part-time disciplinati dal decreto legislativo n. 81/2015. Questo rapporto appare, a prima vista, un po’ zoppo, nel senso che, ad esempio, non sembra facilmente applicabile la disposizione sul lavoro supplementare se questo dovesse coincidere con l’impegno di lavoro autonomo all’interno dell’impresa.
Ci sarà, poi, da verificare l’impatto di questo doppia prestazione sul rispetto del decreto legislativo n. 66/2003 in materia di orario di lavoro e, soprattutto, sui riposi giornalieri e settimanali che si applicano al lavoratore subordinato. Cosa succede se lo stesso lavoratore, in qualità di professionista (per il quale non ci sono limitazioni di orario per l’espletamento della sua attività), “invade” il periodo di riposo che deve rispettare come lavoratore subordinato tra una prestazione e l’altra (11 ore)?
E, poi, altra questione: se il datore di lavoro ritiene di non riferirsi più al lavoratore autonomo iscritto all’alba professionale perché non soddisfatto della sua prestazione, sarà in grado di tenere distinto tale rapporto con quello di lavoratore subordinato prestato per parte dell’orario di lavoro?
Per quel che riguarda, infine la contribuzione, ferma restando quella relativa al rapporto di lavoro subordinato, quella per le prestazioni autonome dovrà essere versata dal lavoratore alla cassa di previdenza dell’ordine al quale risulta iscritto, mentre se la collaborazione viene svolta da un lavoratore non iscritto ad un ordine o un registro professionale (ipotesi prevista dal comma 2) occorrerà versare la contribuzione alla gestione separata dell’Inps, qualora nell’anno si superino i 5.000 euro: su tutto ciò, sicuramente, al momento opportuno l’INPS fornirà le proprie indicazioni operative.
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