GPS: le indicazioni dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro [E.Massi]
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 2 del 7 ottobre 2016, ha fornito le proprie indicazioni operative circa la installazione e la utilizzazione di impianti satellitari GPS ai sensi della previsione contenuta nei commi 1 e 2 dell’art. 4 della legge n. 300/1970 come modificato dall’art. 23 del D. L.vo n. 151/2015. Per oltre un anno (ossia, dalla data di entrata in vigore del predetto art. 23), la competenza ad emanare disposizioni è stata incardinata nell’Amministrazione centrale del Ministero del Lavoro e nulla è stato detto sull’argomento: dall’8 ottobre la competenza, per effetto dell’art. 5 del D.L.vo n. 185/2016, è passata all’Ispettorato Nazionale del Lavoro che è intervenuto, sollecitamente sulla materia dettando alcuni chiarimenti alle articolazioni periferiche (che ancora si chiamano DTL in attesa del pieno funzionamento dello stesso): queste ultime, a diretto contatto con gli utenti, hanno fornito, finora, indicazioni diverse.
La questione alla quale l’Ispettorato cerca di offrire una risposta esaustiva riguarda la corretta interpretazione da fornire al comma 2 del nuovo articolo 4 ove, nella sostanza, se letto unitamente al successivo comma 3, viene meno una storica contrapposizione normativo – ideologica stratificatasi nel corso di oltre 40 anni. Esso stabilisce che l’accordo collettivo o, in alternativa, l’autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato territoriale del Lavoro (che, ancora è, Direzione territoriale del Lavoro), previsti dal comma 1 non sono necessari per quegli strumenti che sono utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione delle presenze e degli accessi in azienda (si pensi ai “pass” installati sulle autovetture che consentono l’ingresso nelle autorimesse di pertinenza aziendale).
Su questo punto, prima della circolare n. 2, si era espressa la Direzione Interregionale del Lavoro di Milano che coordina le Direzioni di Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, con la nota n. 5689 del 10 maggio 2016, indirizzata anche alle Direzioni Generali per l’Attività Ispettiva della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali del Ministero.
Partendo dal concetto secondo il quale l’inciso “per rendere la prestazione lavorativa” portava a considerare strumento di lavoro il mezzo che “serve al lavoratore per adempiere al suo obbligo dedotto in contratto, cioè per eseguire una prestazione lavorativa”, affermava che “se un lavoratore del settore dell’autotrasporto guida il veicolo aziendale dotato di rilevatore GPS per esigenze assicurative e/o per esigenze produttive e/o di sicurezza ed il GPS traccia gli spostamenti del veicolo e, quindi, indirettamente segue gli spostamenti del lavoratore, si poteva ritenere che lo strumento accessorio impiantato sul veicolo rientrasse nella previsione del nuovo art. 4, comma 2, della legge n. 300/1970”, atteso che “l’automezzo ed il GPS servono entrambi, inscindibilmente ed unitariamente, al lavoratore per rendere la sua prestazione lavorativa e, quindi, sono uno strumento di lavoro nella loro unicità”. Stesso discorso andava fatto, ad esempio, per un addetto ad un call center con riferimento ai c.d. “controlli in cuffia” (con cuffie e microfoni assistiti da software che rilevano il grado di stress del lavoratore) o per lo smartphone aziendale assegnato a venditori e dotato di una normale “app” di mappe utili al lavoratore per i suoi spostamenti: si trattava di casi, concludeva la Direzione Interregionale del Lavoro di Milano ove “doveva ritenersi escluso l’obbligo di accordo sindacale preventivo o di alternativa istanza di autorizzazione alla DTL”.
Tale parere che, nell’ottica della semplificazione postulata, sin dal titolo, dal D.L.vo n. 151/2001, eliminava una serie di autorizzazioni amministrative, in quanto, ai fini della utilizzabilità dei dati e delle informazioni, tutto era rimandato a come le stesse potevano essere utilizzate con le cautele e le condizioni previste dal comma 3, è stato “ritirato” nello scorso mese di ottobre, su richiesta ministeriale, dallo stesso Ufficio che lo aveva emanato.
La posizione espressa dall’Ispettorato Nazionale, vincolante per le strutture periferiche anche sotto l’aspetto della sanzionabilità di cui si parlerà tra poco, richiede che, di volta in volta, si debba individuare quando l’installazione della localizzazione satellitare sia strettamente funzionale a “rendere la prestazione lavorativa”, così come afferma il comma 2: di qui la verifica se tali strumenti costituiscono un mezzo indispensabile per rendere la prestazione lavorativa o siano un “elemento aggiunto” agli strumenti di lavoro, non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione della prestazione, ma per rispondere ad esigenze di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza sul lavoro. Se rivestono la qualificazione di “elemento aggiunto”, afferma la circolare n. 2, occorre raggiungere un accordo sindacale all’interno dell’impresa o, in alternativa, chiedere l’autorizzazione preventiva all’Ispettorato territoriale del Lavoro o, qualora interessi più unità produttive, alla sede nazionale dell’Ispettorato, se si ritenga di non interpellare le singole articolazioni locali.
La circolare n. 2 lascia aperto uno spiraglio che, riguarda alcune ipotesi nelle quali si potrà far meno dell’accordo sindacale o dell’autorizzazione amministrativa: esso riguarda:
- i casi particolari ove i sistemi di localizzazione siano installati per consentire la concreta effettuazione della prestazione: nella sostanza, essi debbono essere ritenuti indispensabili nel senso che l’attività lavorativa non può essere espletata senza l’uso di tale strumentazione;
- i casi in cui l’installazione del GPS sia richiesta da specifiche norme di natura legislativa o regolamentare come per il trasporto di valori di importo superiore a 1.500.000 euro.
Appare facile pronosticare come, in caso di dubbi e, soprattutto, in assenza di accordo sindacale, aumenteranno le richieste sulle quali le sedi territoriali dell’Ispettorato si dovranno esprimere.
Un caso che, frequentemente, potrebbe presentarsi ed al quale, tenuto conto dell’ampiezza delle ipotesi alle quali può riferirsi, è opportuno fare alcune riflessioni, è quello del contratto di noleggio (più o meno lungo) di autovetture aziendali, di furgoni od altri mezzi di trasporto, senza conducente, dotati di un sistema telematico per la segnalazione di furti o di sinistri. In genere, le imprese del settore rilasciano ai conducenti dei veicoli una informativa relativa al trattamento dei dati ex art. 13 del D.L.vo n. 196/2003 per la quale, in via preventiva, c’è stata una valutazione del Garante per la privacy. In tali situazioni si ritiene che l’impresa utilizzatrice non sia, in alcun modo, tenuta a raggiungere un accordo sindacale o a chiedere l’autorizzazione preventiva all’Ispettorato territoriale del Lavoro in quanto i dati tracciabili del GPS non sono, assolutamente, dalla stessa gestibili, mentre l’azienda fornitrice (che, non li deve, assolutamente, fornire al cliente), peraltro già valutata dal Garante, non ha alcun rapporto di lavoro subordinato con il conducente del veicolo. Una diversa interpretazione appare inconcepibile (basti pensare al caso di una azienda utilizzatrice che dovesse chiedere l’autorizzazione preventiva per un noleggio di pochi giorni con il conseguente provvedimento autorizzatorio che dovesse giungere al termine dei 60 giorni previsti dal DPCM 22 dicembre 2010, n. 275!).
Ma, al di là, di ciò che ha affermato la circolare n. 2, e delle autorizzazioni conseguenti dell’Ispettorato è chiaro che il cambiamento normativo, rispetto al vecchio art. 4 della legge n. 300/1970, appare evidente e che lo stesso si realizza nelle condizioni e con le modalità indicate dal comma 3: oggi una serie di applicativi consentono la tracciabilità di tutto ciò che viene fatto sia nei momenti in cui la prestazione viene svolta, che durante le pause. È sufficiente pensare, a mero titolo di esempio, agli addetti ai servizi portavalori, agli addetti ai servizi di manutenzione e, in genere, a tutti i sistemi installati che sono destinati a prevenire rapine e furti. Qui è il momento di maggiore criticità ed innovazione rispetto al passato in quanto le informazioni raccolte “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”: ma, per far ciò, occorre fornire una adeguata informazione ai lavoratori circa l’uso degli strumenti e delle apparecchiature e le concrete modalità di svolgimento dei controlli nel rispetto delle previsioni contenute nel D.L.vo n. 196/2003 attraverso il quale il Garante è intervenuto, più volte, avendo quale parametro di riferimento, soprattutto, l’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori.
Alcune precisazioni vanno, a questo punto, effettuate.
La prima riguarda l’informazione (che è onere del datore di lavoro) da fornire ai dipendenti e che deve essere adeguata anche circa le modalità dei controlli, nel pieno rispetto della privacy. Questi ultimi debbono essere strettamente correlati all’attività svolta: di conseguenza, se è possibile controllare (previa, informativa adeguata) un lavoratore che si sposta continuamente sul territorio e sul cui automezzo aziendale è stato impiantato un geolocalizzatore (previo accordo sindacale o autorizzazione amministrativa), non appare possibile controllare con le stesse modalità, relativamente agli spostamenti esterni, un impiegato amministrativo che svolge il proprio lavoro all’interno dell’azienda ed al quale sia stato fornito un uguale strumento. Del resto, le informazioni raccolte (precedute da specifiche informazioni personali e non sostituibili con comunicazioni generali inviate, in via impersonale, a tutti i lavoratori), non potranno essere usate in modo indiscriminato: di qui il richiamo al Decreto Legislativo n. 196/2003 in base al quale andranno rispettati i principi della correttezza, della pertinenza, della non eccedenza del trattamento e di forme di sorveglianza che non debbono sfociare in situazioni persecutorie. Ovviamente, per poter utilizzare i dati, le comunicazioni ai singoli dipendenti debbono essere sollecitamente corrette ed aggiornate nel momento in cui la strumentazione o la modalità d’uso cambi.
La seconda concerne la utilizzabilità dei dati rilevabili, in via generale (qui il discorso va oltre l’argomento affrontato nella circolare n. 2). Un uso scorretto degli strumenti aziendali (ad esempio, siti web, estranei all’attività lavorativa, consultati durante l’orario di lavoro) può, senz’altro, essere utilizzato a fini disciplinari con possibili forti conseguenze, soprattutto, per i dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015 ai quali si applica, in caso di licenziamento, il D.L.vo n. 23/2015 e, segnatamente, il comma 2 dell’art. 3, ma anche ai fini della corresponsione di premi di produttività. Con l’introduzione della previsione contenuta al comma 3 viene superato un ostacolo che, in passato ha vietato, sulla base di precisi indirizzi giurisprudenziali, la raccolta dei dati da parte del datore di lavoro attraverso l’accesso ai terminali informatici.
Da quanto appena detto discende la constatazione che un controllo da parte dell’imprenditore è possibile nei limiti in cui lo stesso sia destinato ad accertare l’uso dello strumento di lavoro coerente con gli obiettivi alla base di un corretto svolgimento del rapporto e nell’ottica della buona fede, senza alcun controllo indiscriminato e “massivo”, alla luce del rispetto dei principi di privacy ampiamente tutelati dal Legislatore: tutto ciò comporta che i dati raccolti attraverso la strumentazione aziendale debbano essere trattati nel rispetto del D.L.vo n. 196/2003. Da qui discende che va posta grande importanza ad una corretta informativa al dipendente, come si è detto pocanzi.
La terza riguarda le conseguenze di natura sanzionatoria in caso di installazione degli strumenti di controllo senza accordo collettivo o senza autorizzazione preventiva (cosa che riguarda anche le ipotesi trattate nella circolare n. 2), nonché in caso di utilizzazione dei dati acquisiti senza preventiva informazione dei lavoratori: viene richiamato l’art. 38 della legge n. 300/1970, dopo la modifica dell’art. 171 del D.L.vo n. 196/2003. La fattispecie di illecito ipotizzata dall’art. 4, comma 1, si concretizza nella sussistenza di due elementi come la installazione di apparecchiature atte a controllare, a distanza, l’attività dei lavoratori, senza accordo sindacale o autorizzazione preventiva, e la finalità oggettiva di assoggettamento al controllo “a distanza” dei lavoratori, secondo le due possibili accezioni spaziali e temporali (verifica dei dati raccolti in un momento successivo). Per la configurazione del reato è sufficiente il verificarsi della prima ipotesi, non apparendo necessaria una partecipazione dolosa ma essendo sufficiente un rilievo colposo (ad esempio, impianti installati ma non ancora attivati). Per l’installazione illegittima il Legislatore ha previsto una ammenda da 154 a 1.549 euro o l’arresto da 15 giorni ad un anno, salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Nei casi più gravi arresto ed ammenda sono irrogati congiuntamente ed il giudice, in relazione alle condizioni economiche del trasgressore, ha la facoltà di aumentare l’ammenda fino a cinque volte, ordinando anche la pubblicazione della sentenza ex art. 36 del codice penale. Su tale impianto normativo si inserisce la prescrizione obbligatoria ex art. 15 del D.L. vo n. 124/2004: l’ispettore, ricorrendo l’ipotesi più lieve, prescrive l’immediata cessazione della condotta illecita e, attraverso l’ottemperanza, l’importo da pagare si riduce a ¼ del massimo. È ammessa, fatti salvi i casi più gravi, la possibilità di estinguere il reato attraverso l’oblazione ex art. 162 – bis del codice penale.
Da ultimo, un chiarimento che riguarda il modello, presente sui siti del Ministero del Lavoro e della Direzioni del Lavoro con il quale il datore di lavoro chiede all’Ispettorato territoriale l’autorizzazione alla installazione del GPS: vi si afferma che lo stesso non li utilizzerà come “strumenti per seguire o monitorare il comportamento o gli spostamenti di autisti o di altro personale”. Siamo sicuri che tale dichiarazione “messa in bocca” al datore di lavoro utente rispetti la previsione del comma 3, secondo il quale “le informazioni raccolte ai sensi del comma 1 (e tra queste ci rientrano anche quelle rilevabili dai GPS concordati con il sindacato o autorizzati dall’Ispettorato) e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto di quanto disposto dal D.L.vo n. n. 196/2003”?
Forse, sarebbe il caso di riformularlo, atteso che una eventuale rinuncia alle prerogative previste dal comma 3 dovrebbe avvenire esplicitamente attraverso la sottoscrizione di un accordo sindacale o mediante una rinuncia individuale, anche implicita e non, surrettiziamente, con una frase inserita nel modello di richiesta che il datore è tenuto a sottoscrivere per attivare il procedimento amministrativo e neanche con una dichiarazione apposta dall’Ispettorato territoriale del Lavoro, in calce all’autorizzazione, cosa che risulta già avvenuta presso qualche Direzione del Lavoro dopo l’entrata in vigore del D.L.vo n° 151/2015.
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