Parliamo adesso degli orientamenti giurisprudenziali in materia. In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO), su richiesta dalla giurisprudenza, una delle verifiche preliminari è l’aver valutato la ricollocazione del lavoratore all’interno della propria struttura.
Tale obbligo è infatti preventivo alla procedura espulsiva, non deriva da norme legali o contrattuali ma da una regola di condotta voluta, appunto, dalla giurisprudenza che, soprattutto negli ultimi anni, è intervenuta con varie sentenze di legittimità che hanno incardinato questo elemento nel procedimento di licenziamento dei dipendenti per giustificato motivo oggettivo.
Ricollocazione del lavoratore: gli obblighi per il datore di lavoro
Secondo quanto dichiarato dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 1386 del 18 gennaio 2022), la previa verifica del reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, per quanto inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere effettivo della scelta del datore di lavoro, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. Il licenziamento sarà dunque propedeutico alla verifica riguardo la possibilità di ricollocare il lavoratore in posizioni compatibili con le proprie mansioni e capacità.
Nel caso in cui non si proceda a tale verifica, la motivazione posta a giustificazione del licenziamento sarà ritenuta non valida.
Come si svolge il tentativo di ricollocazione
Come già chiarito, il primo tentativo di ricollocazione dovrà riguardare mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento. La rimodulazione delle mansioni potrà avvenire anche senza alcuna condivisione con il lavoratore, infatti, il datore di lavoro potrà scegliere liberamente il cambio degli incarichi.
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