Ferie non godute dei dirigenti privati del settore industria: cosa afferma l’Accordo Collettivo [E.Massi]
Ferie non godute dei dirigenti privati del settore industria dopo la modifica contrattuale il cui obiettivo principale è quello di ridurre il rischio di contenziosi giudiziali
Il rapporto di lavoro del personale con qualifica dirigenziale del settore privato, da sempre, viene regolamentato da disposizioni legali e contrattuali diverse (comprese le ferie) da quelle che si applicano agli altri lavoratori dipendenti: tutto questo scaturisce dalla particolare autonomia e fiducia che, all’interno della organizzazione aziendale, gode tale personale.
Un esempio di tale assunto si riscontra, paradossalmente, nella stessa normativa sulle “tutele crescenti” prevista dal D.L.vo n. 23/2015: la normativa specifica sui licenziamenti individuali per i rapporti iniziati a partire dal 7 marzo 2015 (peraltro, riformata sulla parte risarcitoria dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018), trova applicazione nei confronti degli operai, degli impiegati e dei quadri ma non dei dirigenti per i quali continua ad applicarsi l’art. 18 della legge n. 300/1970, sia pure con i limiti individuati dalla contrattazione collettiva: e la stessa cosa si può dire per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale ove la procedura è del tutto analoga a quella ex art. 4 della legge n. 223/1991 ma sotto l’aspetto meramente risarcitorio, in caso di violazione dell’iter o dei criteri di scelta, trova applicazione l’art. 16 della legge n. 161/2014 con un tetto indennitario che può arrivare fino a ventiquattro mensilità, fatto salvo un trattamento di miglior favore previsto dalla pattuizione collettiva.
Anche in materia di disciplina relativa all’orario di lavoro va ricordato come l’art. 17, comma 5, del D.L.vo n. 66/2003 escluda l’applicabilità ai dirigenti della disciplina legale in materia di orario normale di lavoro di durata massima, di lavoro straordinario, di riposo giornaliero, di pause e di durata del lavoro notturno: tutto questo non comporta una disparità di trattamento rispetto agli altri dipendenti in quanto la retribuzione è in relazione non alla quantità ed alla durata giornaliera o settimanale, ma alla qualità, pur dovendo rientrare nei parametri di proporzionalità e sufficienza fissati dall’art. 36 della Costituzione.
Chiusa questa breve parentesi, vado ad affrontare l’argomento di questa riflessione che trae origine da una modifica contrattuale (il nuovo art. 7, comma 4, dell’accordo di rinnovo del 30 luglio 2019 per i dirigenti del settore industriale) il cui obiettivo principale è quello di ridurre il rischio di contenziosi giudiziali che, sovente, escono al termine di rapporti di lavoro abbastanza lunghi e dove la risoluzione del contratto, lascia qualche “strascico”.
La vecchia disposizione imponeva un obbligo di monetizzazione relativo ai giorni eccedenti le quattro settimane: esso scattava entro il mese di luglio dell’anno successivo a quello nel quale veniva a scadere il termine per il godimento del periodo feriale previsto dalla legge.
Ovviamente, è bene sottolinearlo anche se appare superfluo, la monetizzazione non riguarda le quattro settimane annuali di ferie obbligatorie previste dall’art. 10 del D.L.vo n. 66/2003.
Il nuovo comma 4 dell’art. 7 afferma che, a partire dal 1° gennaio 2019, anche le ferie eccedenti le quattro settimane, ossia 11 giorni, atteso che le giornate riconosciute sono 35 e le quattro settimane corrispondono a 24 giorni lavorativi, debbono essere fruite entro i due anni successivi dalla fine di quello in cui sono maturate: scaduto tale periodo non possono più essere fruite, né monetizzate.
La disposizione, però, pone in capo alla proprietà aziendale o a chi la rappresenta un onere ben preciso: il dirigente deve essere invitato formalmente (immagino, via PEC o lettera raccomandata) a fruire di tali ferie entro i 24 mesi, con la specifica che la mancata fruizione non sarà in alcun modo indennizzata. Se il datore di lavoro non adempie a tale onere, scatta una norma di tutela nei confronti del dirigente: a partire dal primo mese successivo alla scadenza dei 24 mesi, ha diritto a vedersi riconosciuta una indennità sostitutiva.
Ovviamente, l’accordo collettivo, tenuto conto della particolarità del rapporto dirigenziale, lascia ampio spazio alla contrattazione individuale di regolamentare in modo diverso la gestione delle ferie eccedenti le quattro settimane: si tratta di un principio che trova spazio in una decisione della Suprema Corte, la n. 26464/2016.
Il nuovo comma 4 pone, a mio avviso, un problema interpretativo: viene fissato un termine per l’invio della nota con la quale si invita il dirigente a fruire dei giorni di ferie eccedentari?
L’accordo collettivo non dice nulla: di conseguenza credo che la disposizione contrattuale vada interpretata nel senso che la comunicazione debba essere inviata entro un termine ragionevole che consenta di fruire le ferie entro la fine dell’anno di maturazione e, comunque, entro l’anno successivo.
Ma, perché, le parti hanno deciso di cambiare questa norma contrattuale: come detto “en passant” in precedenza, l’obiettivo è quello di ridurre il contenzioso giudiziale che vede contrapposti dirigenti, magari con qualifica apicale e grande autonomia operativa, e proprietà aziendale che è poco disposta a riconoscere l’indennità appellandosi al fatto che, durante il rapporto, gli stessi godevano di ampia autonomia e discrezionalità per la determinazione del periodo feriale.
Sul punto, la Cassazione con la sentenza n. 23697 del 10 ottobre 2017, confermando la decisione di merito della Corte di Appello di Trieste, ha avuto modo di affermare, sulla base di un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cass., n. 7883/1996, n. 12226/2006), che un dirigente, in ragione della posizione apicale ricoperta, possiede il potere di autoattribuirsi le ferie: se non lo esercita, non ha diritto alla indennità sostitutiva, a meno che non provi che il mancato godimento sia dovuto a necessità eccezionali, oggettive ed indifferibili dell’impresa.
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