DURC: carenze e differenti indirizzi della magistratura amministrativa e di merito [E.Massi]
Un’analisi delle decisioni relative al Documento Unico di Regolarità Contributiva per partecipare alle gare d’appalto da parte della Magistratura amministrativa e di quella ordinaria
Le attenzioni della Magistratura amministrativa e di quella ordinaria correlate al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva, necessario per la partecipazione a gare di appalto, sono ricorrenti e, talora, anche contrastanti: ne sono una palese testimonianza la sentenza n. 1490 del 13 febbraio 2019 del Tribunale di Roma e quella del Consiglio di Stato n. 2313 del 9 aprile u.s..
Ritengo, quindi, necessario effettuare una breve disamina relativa alle decisioni sopra indicate cominciando da quella di tale ultimo organismo citato.
Una impresa con un organico superiore alle duemila unità, si era vista rifiutare il DURC a causa del mancato inserimento del codice fiscale del figlio di una dipendente cosa che aveva comportato una violazione contributiva di lieve entità. Tale documento era necessario per partecipare ad una gara di appalto con un capitolato di diversi milioni di euro.
Già in primo grado il TAR aveva sostenuto la legittimità del mancato rilascio sostenendo come all’interno della previsione relativa all’adempimento degli obblighi previdenziali fossero compresi non soltanto gli adempimenti di natura contributiva, ma anche l’invio delle denunce obbligatorie corrette, atteso che soltanto attraverso queste ultime l’INPS può controllare la correttezza dei contributi versati. A nulla era valsa la puntualizzazione dell’impresa secondo la quale il mancato inserimento del codice fiscale del figlio della dipendente era, sostanzialmente, avvenuto in un momento in cui era cambiato il sistema di invio telematico dei flussi relativi alla contribuzione.
Su tale linea prettamente formalistica si è attestato il Consiglio di Stato che, in sede di appello, ha confermato la decisione del TAR affermando che il mancato rilascio del DURC può discendere anche dal “solo mancato adempimento degli obblighi di presentazione delle denunce periodiche perché tale inadempimento, di per sé, integra violazione contributiva grave, a prescindere dal fatto che, min conseguenza della mancata presentazione delle denunce, sia stato omesso il versamento di contributi” (è secondario se la cifra complessiva sia di lieve entità o meno).
Si tratta, come si vede, di una decisione ove il “formalismo” la “fa da padrone”, nel senso che sembra tenere in secondo piano le “esigenze vere” dell’imprenditore che, a fronte di una lieve mancanza determinata dal cambio delle modalità di invio dei flussi telematici della contribuzione (circostanza, peraltro, non approfondita dal giudice amministrativo), si limita a decidere sulla base di una analisi “fredda” del dettato normativo.
Di diverso avviso, invece, appare la sentenza del Tribunale di Roma n. 1490 del 13 febbraio 2019 con la quale è stato affermato, al termine di una lunga disamina, che l’INPS non può negare il rilascio del DURC sulla base del fatto che il datore di lavoro non ha corretto, nei quindici giorni concessi, una incongruenza concernente una denuncia contributiva. Secondo il giudice di Roma il rifiuto va considerato illegittimo in quanto manca il presupposto normativo ed appare viziato da irrazionalità ed irragionevolezza.
L’antefatto che ha dato origine alla decisione riguardava una società cooperativa che si era visto negare il DURC a causa d’un debito contributivo di 3.284 euro. Tale debito era, però, inesistente in quanto avrebbe dovuto essere compensato attraverso un credito e l’importo effettivo dovuto era, nella sostanza, di pochi euro, saldato, sia pure in ritardo.
In via preliminare il Tribunale ha riconosciuto la propria competenza in quanto secondo l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SS.UU. n. 8111/2017, n. 3169/2011, n. 14608/2010) “le domande di annullamento di DURC negativi appaiono appartenere alla giurisdizione ordinaria perché, come osservato in sede di reclamo cautelare, la legittimità del DURC negativo appartiene di per sé al rapporto previdenziale, mentre il giudice amministrativo ne conosce solo incidentalmente e senza efficacia di giudicato nei rapporti interni nell’ambito della giurisdizione per materia del quale è investito nell’ambito delle controversie in materia di appalti soggetti a procedure di evidenza pubblica, ai fini del sindacato sulla legittimazione a partecipare e ad impugnare”.
Secondo il giudice di merito si può parlare di DURC negativo solo in presenza di irregolarità sostanziali che riguardino la contribuzione e non può riguardare errori commessi nella presentazione delle denunce contributive. Infatti, non esiste alcuna disposizione legale che impedisca il rilascio del documento di fronte ad irregolarità di natura formale laddove il datore di lavoro abbia commesso, nella presentazione, un errore modesto relativo a quanto dovuto, attesochè in tale ipotesi non ci si trova avanti ad una denuncia infedele od omessa.
Il Tribunale di Roma offre una propria lettura dell’art. 3, comma 2, lettere d) ed e) del D.M. 30 gennaio 2015: l’Ente previdenziale può rilevare soltanto le inadempienze già formalmente accertate e comunicate, senza che il datore di lavoro abbia tempestivamente attivato i ricorsi amministrativi o giurisdizionali. Il DURC non può essere negato neanche a fronte di una inadempienza, se su questa si dibatte a livello amministrativo o giudiziale.
Tutto il sistema normativo va letto, secondo il Tribunale di Roma, come un bilanciamento tra la necessità di un accertamento immediato e la necessità del datore di lavoro di non vedersi negato il documento per violazioni inesistenti o non ancora accertate, atteso che le circolari amministrative che, sovente, sono alla base di iniziative dell’INPS, non sono fonti di diritto, come affermato dalla Cassazione con le sentenze n. 10595/2016 e n. 15482/2018.
Da ultimo, il Tribunale di Roma offre una propria interpretazione concernente la natura del DURC che viene definito “attestazione di scienza e non atto autoritativo, nè negoziale produttivo di effetti propri”.
Fin qui le due recenti decisioni del Consiglio di Stato e del Tribunale di Roma che, pur trattando questioni diverse, ma abbastanza simili, sono giunte a conseguenze di natura diversa: ciò, indubbiamente, crea situazioni in cui l’operatore privato, che si deve confrontare ogni giorno con il mercato, ha difficoltà ad orientarsi, sicchè non si può parlare di “certezza del diritto”.
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