DIMISSIONI E NASPI: UN PROBLEMA SEMPRE APERTO
L'Editoriale di Eufranio Massi
Una recente sentenza del Tribunale di Torino, la n. 429 del 27 aprile 2013, rappresenta l’occasione per focalizzare le questioni legate alla fruizione della NASPI, in presenza di tutti i requisiti legali già individuati dal D.L.vo n. 22/2015.
La decisione ammette la legittimità del godimento della indennità di disoccupazione in tutte le ipotesi nelle quali il lavoratore rinuncia al posto di lavoro presentando le proprie dimissioni, in quanto il datore di lavoro, per esigenze, tecniche, produttive od organizzative, lo ha trasferito presso un’altra unità produttiva dell’impresa distante più di 50 Km. dalla residenza. La NASPI deve essere riconosciuta, secondo il giudice, senza valutazione di ulteriori requisiti, ritenendo illegittimo (perché non previsto dalla norma di riferimento) quanto sostenuto dalla sede locale dell’Istituto che l’aveva subordinata alla esistenza delle ragioni sopra evidenziate. Secondo la sentenza non sussiste alcun obbligo per il dipendente di produrre documentazione dalla quale risulti la propria volontà di resistere attraverso la presentazione di denunce, diffide o volontà di procedere in giudizio.
Come dicevo, pocanzi, la sentenza in argomento, rappresenta l’occasione per riepilogare le casistiche nelle quali è prevista dalla norma la corresponsione del trattamento di disoccupazione ordinaria (qui non si parla della disoccupazione agricola e della DIS-COLL che presentano regole diverse).
Lo stato di disoccupazione involontaria che postula l’assenza di qualsiasi lavoro e la dichiarazione, in forma telematica, al sistema informativo unitario, di immediata disponibilità alla attività lavorativa (DID) ed alla partecipazione a misure di politica attiva del lavoro, deve permanere per tutto il tempo in cui si fruisce l’indennità, come ricorda la circolare INPS n. 194/2015).
Di conseguenza, il trattamento spetta in tutte le ipotesi in cui ci si trova di fronte ad un licenziamento, sia esso “ad nutum”, che per giusta causa, che per giustificato motivo oggettivo, che soggettivo, con il pagamento da parte del datore di lavoro del contributo di ingresso alla NASPI che varia a seconda dell’anzianità aziendale, con un tetto massimo fissato a 36 mesi di anzianità aziendale, con esclusione dei licenziamenti per maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia o per la c.d. “isopensione” (art 4, commi da 1 a 7-ter della legge n. 92/2012). Il datore di lavoro, al momento, è tenuto a versare il contributo anche in presenza di un lavoratore che, allontanatosi dall’azienda e non presentando le dimissioni nella forma telematica prevista dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015, non ha dato più notizia, costringendo il datore a procedere al licenziamento.
Per la verità, sul punto, il Governo ha dato notizia di una norma, inserita in un disegno di legge, secondo il quale si avrebbero “dimissioni di fatto” allorquando un lavoratore si assenta, senza giustificazioni e senza dare proprie notizie, per cinque giorni consecutivi dal posto di lavoro: al momento, non essendo stata approvata, la situazione è rimasta tale e quale al passato. Per completezza di informazione ricordo che, una sentenza del Tribunale di Udine, la n. 20 del 27 maggio 2022, la quale fa testo, unicamente, tra le parti, ha affermato, con motivazioni puntuali ed approfondite, la piena ammissibilità delle dimissioni “per facta concludentia” e non telematiche, esonerando il datore dal pagamento del contributo di ingresso.
Ma la possibilità della fruizione della NASPI non si ferma qui, atteso che la disposizione individua una casistica nella quale nello stato di disoccupazione, sussiste una volontà del lavoratore, sia pure susseguente ad un comportamento datoriale. Mi riferisco:
- Alla risoluzione consensuale del rapporto avvenuta con un accordo raggiunto in sede di commissione provinciale di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro, nell’ambito della procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo previsto dall’art. 7 della legge n. 604/1966 nelle imprese dimensionate oltre le 15 unità, concernente lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015;
- All’accordo, facoltativo, raggiunto tra le parti sul licenziamento secondo le procedure previste dall’art. 6 del D.L.vo n. 23/2015, come ricordato dall’interpello n. 13/2015 del Ministero del Lavoro e dalla circolare INPS n. 142/2015);
- Alle dimissioni per rifiuto del trasferimento in una unità distante più di 50 Km. dalla residenza o raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici alle quali si è fatto cenno commentando la sentenza del Tribunale di Torino;
- Alle dimissioni per mancato pagamento della retribuzione. Si tratta di dimissioni per giusta causa (è attivabile l’ITL sia per una conciliazione monocratica ex art. 11 del D.L.vo n. 124/2004 che per una diffida accertativa per crediti patrimoniali) ove il lavoratore, oltre a non dover corrispondere l’indennità di mancato preavviso, può fruire del trattamento di disoccupazione, in presenza dei requisiti legali previsti dal D.L.vo n. 22/2015;
- Alle dimissioni per molestie sessuali sul posto di lavoro;
- Alle dimissioni per un peggioramento significativo delle condizioni di lavoro;
- Alle dimissioni per mobbing;
- Alle dimissioni per notevoli variazioni delle condizioni di lavoro susseguenti alla cessione di azienda o di un ramo di essa (art. 2112, comma 4, c.c.);
- Alle dimissioni per spostamento da una sede all’altra in assenza delle comprovate esigenze tecniche, produttive od organizzative (art. 2103 c.c.);
- Alle dimissioni, in sede protetta presso l’ITL, della donna nel periodo di gravidanza, che va da 300 giorni prima della data presunta del parto, e fino al compimento di un anno di età del bambino. La stessa regola (art. 28 del D.L.vo n. 151/2001) vale per il padre, fino all’anno di nascita del bambino, nel caso in cui abbia sostituito “in toto” la madre (perché morta, perché malata grave, perché unico affidatario a seguito dell’allontanamento della madre). Le stesse regole valgono in caso di adozione o affidamento;
- Alle dimissioni in sede protetta, presso l’ITL, del padre (entro l’anno dalla nascita del bambino) che ha fruito del congedo di paternità (art. 27-bis del D.L.vo n. 104/2022) nel periodo compreso tra il settimo mese della gravidanza e fino al quinto mese dopo il parto.
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