Contratti a termine e somministrazione dopo il Decreto Lavoro

L'Editoriale di Eufranio Massi

Contratti a termine e somministrazione dopo il Decreto Lavoro

Si è molto parlato, scritto e discusso nei giorni passati sui contenuti del c.d. “Decreto Lavoro”, varato dall’Esecutivo, in due diversi provvedimenti, il 1° maggio u.s. ma il cui contenuto finale, al di là di diverse bozze fatte circolare, non è dato conoscere, fintanto che non apparirà in Gazzetta Ufficiale.

I due provvedimenti varati sono un Decreto Legge ed un Disegno di Legge incentrato, soprattutto, sulle politiche attive e che, tra le altre cose (il condizionale è d’obbligo) disciplina la durata del periodo di prova nei contratti a tempo determinato e la soluzione del problema delle dimissioni (art. 26 del D.L.vo n. 151/2015) nei casi in cui il dipendente si allontana dal lavoro senza effettuare la procedura telematica.

In ogni caso, fermo restando che su questo ed altri argomenti (penso al cuneo fiscale) saranno necessari approfondimenti, ritengo opportuno focalizzare l’attenzione sulle novità relative ai contratti a tempo determinato ed alla somministrazione.

Ma, andiamo con ordine.

Le nuove causali del contratto a tempo determinato

Per quel che concerne i contratti a tempo determinato (che, ovviamente, riflettono, tenuto conto dell’impostazione della norma, i propri effetti anche sui contratti di somministrazione a termine), il Decreto Legge del Governo si è limitato ad intervenire sulle causali che, inserite, nel c.d. “Decreto Dignità”, erano apparse, sin da subito, di difficile applicazione, fatta salva la condizione relativa alla sostituzione dei lavoratori assenti.

Ora, ferma restando la norma che consente, per i primi dodici mesi di rapporto, la stipula di un contratto senza l’inserimento di alcuna causale, il nuovo comma 1 dell’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015 afferma che le condizioni apponibili sono quelle individuate:

a. Nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51;

b. In assenza della previsione della contrattazione collettiva di cui alla lettera a), per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti, e in ogni caso entro il 31 dicembre 2024;

c. In sostituzione di altri lavoratori.

Il successivo comma 2 che riguarda, “in primis”, la Pubblica Amministrazione, le Università pubbliche e quelle private, gli Istituti di ricerca ed altri Enti, afferma che per i contratti a tempo determinato continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 87/2018 (ossia prima del 13 agosto 2018).

La prima nuova causale individuata fa riferimento alla casistica individuata dalla contrattazione collettiva nazionale, territoriale od aziendale (è questo il significato del richiamo all’art. 51) da parte delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle loro articolazioni territoriali od aziendali (RSA o RSU). Di conseguenza, un datore di lavoro dovrà verificare se il contratto del settore che fa riferimento a tali organizzazioni abbia disciplinato ipotesi specifiche e se non lo già ha fatto può benissimo, impostare una trattativa, con le loro sigle, a livello aziendale per disciplinare una possibile casistica d’impresa.

Ma se la contrattazione collettiva nulla afferma in proposito, il datore può individuare (la norma dice “le parti” ma, francamente, ritengo che il lavoratore non possa avere la capacità di individuare le causali previste dalla lettera b) le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva che riguardano la propria azienda. Si tratta di una norma non strutturale, ma a tempo, destinata a cessare il 31 dicembre 2024.

Per questa causale, ma anche per la prima, si pone, a mio avviso, la necessità di declinare le casistiche e le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva: il rischio, infatti, è quello di incorrere, in caso di contenzioso giudiziale, nell’annullamento del contratto a termine e nella sua conversione in contratto a tempo indeterminato. L’esperienza delle decisioni che si verificarono sotto la vigenza del D.L.vo n. 368/2001 è sotto gli occhi di tutti gli operatori. Di conseguenza, nel momento in cui si sceglie di inserire una specifica condizione, sarà necessario chiarire per iscritto, in modo chiaro e comprensibile, le ragioni che si ravvisano per l’apposizione della causale.

Per quel che riguarda, invece, l’ultima casistica individuata, la disposizione afferma che è possibile in sostituzione di altri lavoratori: “norma larga” che consente il contratto a termine in sostituzione di un lavoratore assente, per qualsiasi ragione.

Con un comma, inserito in sede di approvazione in Consiglio dei Ministri, era stato previsto che, con l’eccezione delle attività stagionali, un lavoratore a termine con un contratto di 24 mesi, stipulato dopo l’entrata in vigore della norma, il cui rapporto non viene trasformato a tempo indeterminato, riceve dal datore di lavoro un bonus “una tantum” a titolo di welfare, pari a 500 euro. Tale importo era ridotto (ma la bozza non diceva nulla sull’importo) se la durata era inferiore a 24 mesi, mentre non veniva corrisposto per i rapporti inferiori ai 12 mesi. Tale disposizione sembra che sia stata tolta dal testo finale.

Per il resto, occorre ricordare che:

a. Fatta salva una diversa previsione della contrattazione collettiva (anche aziendale), il contratto a tempo determinato per mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento, non deve superare limite dei 24 mesi. Un ulteriore contratto, per una durata massima di 12 mesi, può essere stipulato avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, competente per territorio;

b. Le proroghe possibili, in un arco temporale di 24 mesi, restano 4;

c. La possibilità, legittima, dello “sforamento” del termine finale del contratto resta: essa è pari a 30 giorni per i rapporti fino a 6 mesi e di 50 giorni per quelli che hanno una durata superiore. Ovviamente, l’impegno ulteriore va remunerato con un aumento della retribuzione pari al 20% fino al decimo giorno e del 40% per quelli successivi;

d. Nulla è cambiato per quel che concerne i contratti stagionali le cui attività sono individuati dal D.P.R. n. 1525/1963 (per il quale, pur essendoci una specifica previsione normativa dal 2015 che invita il “Ministro del Lavoro pro-tempore” a prevederne uno nuovo, non è stato fatto nulla) e dalla contrattazione collettiva, anche aziendale;

e. Nulla è cambiato in ordine alla percentuale massima di contratti stipulabili e delle eccezioni previste;

f. Nulla è cambiato per quel che riguarda l’apparato sanzionatorio.

Somministrazione

In assenza di un testo che sarà inserito nel Disegno di Legge, non resta che riferirsi al comunicato del Governo. Le nuove norme si inseriscono all’interno delle c.d. “politiche attive del lavoro”.

Verranno eliminati i limiti percentuali relativi alle assunzioni con contratto di apprendistato in regime di somministrazione e quelli quantitativi se l’assunzione avverrà a tempo indeterminato per alcune specifiche categorie (ad esempio, lavoratori disoccupati non del settore agricolo).

L’esenzione del rispetto dei limiti quantitativi nell’utilizzo di personale in somministrazione, già prevista per altre fattispecie, si estenderà all’ipotesi in cui tale personale sia assunto in somministrazione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Ne parleremo durante il Webinar gratuito del 15 maggio: iscriviti subito! 

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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