Contratti a termine e somministrazione: cosa cambia tra qualche giorno
La crisi pandemica ha messo in luce le rigidità introdotte attraverso il c.d. “Decreto Dignità” con l’inserimento delle causali legali, che hanno portato ad una riduzione notevole dei rapporti a tempo determinato
La crisi pandemica, accompagnata da altre questioni non secondarie, ha messo in luce un fatto incontestabile: le rigidità introdotte attraverso il c.d. “Decreto Dignità” con l’inserimento delle causali legali e le interpretazioni fornite dal Ministero del Lavoro con la circolare n 17/2018, hanno portato ad una riduzione notevole dei rapporti a tempo determinato senza che, al contempo, ciò fosse foriero di apprezzabili novità sotto l’aspetto occupazionale con la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato e in somministrazione.
Di ciò si era ben reso conto il Governo che, a metà del 2020, con una disposizione più volte reiterata ed in vigore fino al 31 dicembre 2021 aveva stabilito che, nel limite dei 24 mesi complessivi, in deroga all’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015, fosse possibile prorogare o rinnovare senza l’apposizione di alcuna condizione i contratti a tempo determinato (ed in somministrazione, alla quale si applicano, in quanto compatibili, le norme sui contratti a termine), con “azzeramento” dei precedenti rapporti “acausali” a partire dal 26 marzo u.s., alla luce dell’art. 17 del D.L. n. 41.
Sulla scorta del primo provvedimento che risale al 14 agosto 2020 (D.L. n. 104) l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 713 del 16 settembre, aveva fornito una interpretazione amministrativa abbastanza “aperta” alle questioni emergenti dal dettato normativo.
Indubbiamente, va fatta anche una considerazione che, a mio avviso, va a merito del Legislatore: con una norma di interpretazione autentica “un po’ particolare”, ossia l’art 19-bis del D.L. n. 18/2020, sono stati salvati tantissimi contratti a termine ed in somministrazione, consentendo ai datori di lavoro di rinnovare o prorogare i rapporti (che altrimenti sarebbero cessati alla scadenza) al fine di far fruire ai lavoratori le integrazioni salariali, di vario genere, previste per il COVID-19.
In tale quadro complessivo non va dimenticata, inoltre, un’altra disposizione specifica, finalizzata a favorire la somministrazione con un indirizzo già adombrato, in via amministrativa, dalla circolare n. 17/2018 del Ministero del Lavoro (anche qui la norma non è strutturale ma termina alla fine di quest’anno): se il lavoratore è stato assunto dall’Agenzia a tempo indeterminato può essere utilizzato, in più missioni, presso la stessa azienda e, qualora venga superata la soglia dei ventiquattro mesi complessivi, lo stesso non può rivendicare la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di tale ultimo datore di lavoro.
Esaminiamo le ultimissime novità.
Con un emendamento al DL. n. 73 (l’approvazione definitiva dovrà avvenire entro il prossimo 24 luglio), i cui firmatari sono rappresentanti delle forze politiche di maggioranza e di opposizione e rispetto al quale l’Esecutivo ha espresso parere favorevole, è stata approvata in commissione lavoro alla Camera una modifica all’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015 che aggiunge alle c.d. “causali legali” introdotte dal D.L. n. 87/2018 la lettera b-bis, che offre la possibilità di introdurre condizioni in relazione a “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’art. 51”.
L’articolato prosegue, inoltre, con un’altra disposizione inserita dopo il comma 1 dell’art. 19 che recita: “Il termine di durata superiore a dodici mesi, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, di cui al comma 1 del presente articolo, può essere apposto ai contratti di lavoro subordinato qualora si verifichino specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di lavoro di cui all’art. 51, ai sensi della lettera b-bis del medesimo comma 1, fino al 30 settembre 2022”.
Quanto appena riportato postula alcuni chiarimenti e rappresenta una indubbia novità ricordando che, a regime (quindi al di fuori delle eccezioni indicate dall’art. 17 del D.L. n. 41/2021), è soltanto il primo contratto a termine tra datore e lavoratore che può avvenire senza l’apposizione di una causale se la soglia massima è di dodici mesi raggiungibile anche con proroghe.
Con tale disposizione si riconosce alle organizzazioni sindacali la possibilità – cosa che mi sembra più che giusta – di individuare specifiche esigenze di settore o aziendali che giustificano il ricorso ai contratti a termine o alla somministrazione. Tali esigenze, che ovviamente debbono essere indicate nell’accordo collettivo, possono essere riferibili anche alla ordinaria attività aziendale, in quanto la disposizione non richiama affatto le sole “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria” e quelle connesse a “incrementi temporanei, significativi e non programmabili” di cui parlano le lettere a) e b) del comma 1.
Da chi va sottoscritto l’accordo?
Qui la risposta è stata ampia, nel senso che l’emendamento prevede che con la dizione “contratti collettivi” si intendono sia quelli nazionali, che territoriali, che, infine, aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i meri contratti aziendali sottoscritti dalle “loro” RSA (ossia, unicamente, dei rappresentanti sindacali nominati ex art. 19 della legge n. 300/1970 da tali organizzazioni) o dalle RSU (che sono gli eletti dai lavoratori che possono ben prescindere dall’appartenenza alle sigle comparativamente più rappresentative): questo è il contenuto del richiamato art.51. L’ampia dizione fa sì che, a livello di impresa, ove le esigenze, effettivamente, possano essere valutate in stretto raccordo con la realtà aziendale, si potrebbero raggiungere accordi di una certa soddisfazione per entrambe le parti (datori e lavoratori).
Quando la norma sarà definitivamente approvata si porrà, a mio avviso, il problema riferito ad accordi collettivi anche nazionali, in corso di validità, che prevedano “l’apposizione di condizioni” (come risulta da CCNL o integrativi aziendali o di settore antecedenti la metà del 2018): essi sono pienamente validi e, quindi, immediatamente applicabili, senza la necessità di un ulteriore accordo confermativo.
Aprire la possibilità, alla contrattazione collettiva, di prevedere causali apponibili sia ai contratti a tempo determinato che alla somministrazione a termine comporterà, comunque, per i datori di lavoro che vi facessero ricorso, il richiamo, nella lettera di assunzione, alla fattispecie contrattuale che, comunque, per evitare contenziosi giudiziari, sarà opportuno che sia ben esplicitata nei contenuti.
Passo, ora, ad esaminare la seconda novità che si sostanzia nel comma 1.1 ove, nel rispetto dei ventiquattro mesi complessivi (la norma non cita la possibile durata superiore dei contratti a tempo determinato “figli” della contrattazione collettiva che, invece, sono fatti salvi dal comma 2), è possibile stipulare un contratto a termine di durata superiore a dodici mesi, con causali dettate dalla contrattazione collettiva, fino al 30 settembre 2022 (ovviamente, non credo che possa essere esclusa, alla luce della lettera b-bis del comma 1, la possibilità di sottoscrivere un contratto di durata inferiore).
Cosa significa tutto questo?
La disposizione non ha carattere strutturale ma è limitata nel tempo, quasi che il Legislatore voglia, da un lato, accompagnare il fenomeno dei contratti a tempo determinato o in somministrazione, per verificarne sia la qualità che il numero, in questo momento di possibile ripresa dell’economia (gli indicatori sembrano mostrare un aumento della produzione, cosa che, in genere, viene accompagnata in primis da un aumento di rapporti a termine) e, dall’altro, “focalizzare” la bontà degli accordi collettivi a “normare” la materia (e qui, probabilmente, si è in presenza di una forte ostilità di parte della politica a cambiare la norma legale).
La fissazione di una data ultima per la stipula (30 settembre 2022) va, a mio avviso, intesa quale ultimo giorno per la stipula di un contratto con “causale dettata da accordo sindacale”, potendo il rapporto dispiegarsi oltre tale limite, in analogia con quanto affermò, in via amministrativa, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota del 16 settembre 2020 relativa ai rinnovi ed alle proroghe senza condizioni previste dal D.L. n. 104.
Ci sarà modo e maniera per tornare sull’argomento nel momento in cui, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la disposizione diverrà pienamente applicabile: ciò che ho voluto sottolineare con questa primissima riflessione è che nuovi spazi si aprono nella normativa sui rapporti a termine. Sta alla sensibilità dei datori di lavoro e delle parti sociali cogliere, al volo, le opportunità.
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