Contratti a termine acausali e proroga del limite temporale nella Legge di Bilancio [E.Massi]
Analisi delle misure contenute all’interno della Legge di Bilancio che vanno ad impattare sulla proroga temporale del contratto a termine acausale
È questa l’ultima delle 51 riflessioni che ho scritto nel corso del 2020 per le amiche e gli amici che mi seguono, settimanalmente, su JOB Opinion Leader di Generazione Vincente: con l’occasione intendo rivolgere l’augurio per un 2021 che rappresenti, veramente, una svolta rispetto al tragico anno appena trascorso. Da parte mia, vi posso assicurare che continuerò, con passione, ad esaminare le problematiche che riguardano il mondo del lavoro cercando di offrirvi le mie riflessioni su tutte le questioni che ci troveremo ad affrontare.
Eufranio Massi
CONTRATTI A TERMINE ACAUSALI E PROROGA DEL LIMITE TEMPORALE NELLA LEGGE DI BILANCIO: UN NON AUSPICABILE FLOP ALL’ORIZZONTE
Da molti anni a questa parte nelle leggi di bilancio vengono inserite disposizioni di vario genere e quelle in materia di lavoro subiscono la stessa sorte: ce ne sono alcune i cui aspetti, in prospettiva, sembrano positivi (mi riferisco, alle integrazioni salariali COVID-19, al blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo fino al 31 marzo 2021, con alcune eccezioni, ai contratti di espansione, riveduti e corretti, all’assegno di ricollocazione ampliato nella sfera dei destinatari e con un aumento delle dotazioni economiche , al programma “GOL” – gestione occupabilità dei lavoratori -), mentre altre, pur determinate da buone intenzioni, presentano, da subito, alcune criticità, che potrebbero portare a misure non in linea con quanto pensato dal Legislatore.
Tra queste ultime spicca, a mio avviso, la disposizione che sposta, al prossimo 31 marzo, la possibilità di prorogare o rinnovare per una sola volta ,i contratti a tempo determinato, per un massimo di dodici mesi, fermo restando il limite dei ventiquattro mesi complessivi: tale norma, per effetto della sostanziale piena equiparazione, si applica anche ai contratti di somministrazione a termine.
La disposizione, contenuta nel D.L. n. 104 (art. 8), aveva apportato significativi cambiamenti al testo contenuto nell’art. 93 del D.L. n. 34, e su di esso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro era intervenuto con puntuali e significativi chiarimenti con la nota del 13 settembre 2020.
La legge di Bilancio si limita a lasciare invariato il testo normativo sostituendo, unicamente, la data finale (dal 31 dicembre 2020 al 31 marzo 2021) entro a quale è possibile “muoversi” per una sola volta tra proroghe e rinnovi senza dover inserire una delle causali legali individuate dall’art. 19, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015, come modificato dal D.L. n. 87/2018. Sono, infatti, rimasti inalterati i vincoli normativi relativi:
- Alla durata massima della proroga e del rinnovo fino al un massimo di dodici mesi;
- Alla possibilità di inserire la causale, una sola volta;
- Alla durata complessiva del rapporto che non può superare, anche in sommatoria con precedenti rapporti riferibili allo stesso livello della categoria legale, i ventiquattro mesi complessivi
Cerco, ora, di spiegare perché questa disposizione rischia di avere effetti positivi molto limitati.
Siamo ancora in emergenza pandemica ed i datori di lavoro, a partire dal 15 agosto, approfittando delle timide aperture occupazionali nel settore industriale, in quello commerciale e nei pubblici esercizi, hanno già provveduto a prorogare (magari, addirittura con la quinta proroga, essendo tutto l’art. 21 del D.L. n. 81/2015, “ temporaneamente derogato”) o a rinnovare il contratto a termine o in somministrazione fino alla fine di dicembre 2021, non spingendosi oltre, pur potendolo, avendo a disposizione dodici mesi, per le prevedibili difficoltà legate al COVID-19. Ebbene, questi datori di lavoro che, magari, hanno anche dovuto mettere in integrazione salariale il personale a termine per effetto dei provvedimenti amministrativi emanati dal Governo a partire dalla fine di ottobre 2021 (DPCM 26 ottobre 2020 e successivi D.M. del Ministro della Salute), non possono procedere ad una ulteriore proroga senza condizioni e la conseguenza appare, al momento, una soltanto: il licenziamento dei lavoratori a termine alla scadenza del contratto. Tra l’altro, è bene ricordare le difficoltà che hanno avuto i datori di lavoro a richiedere l’intervento integrativo salariale per i dipendenti assunti dopo il 13 luglio quando l’INPS, in assenza di notazioni normative, aveva affermato che gli ammortizzatori si applicavano soltanto al personale assunto entro la data sopra indicata.
Si dirà: ma la proroga ed il rinnovo, nel rispetto delle modalità previste dall’art. 19, comma 1 e 21 del D.L.vo n. 81/2015 è sempre possibile inserendo le condizioni legali e lo “stop and go”, in caso di rinnovo contrattuale. È vero, ma è anche più vero che le causali previste dal Legislatore, senza alcuna possibilità di deroga affidata alla contrattazione collettiva, sono di difficile inserimento, soprattutto in questo periodo, con la sola eccezione delle c.d. “ragioni sostitutive di lavoratori assenti”.
E’, indubbiamente, una norma che produce, sul piano occupazionale, un effetto altamente limitato, anche perché eventuali contratti a tempo determinato in scadenza nel corso del 2021 (tranne il caso in cui il termine finale sia fissato soltanto alcuni giorni dopo il 31 dicembre) non possono essere rinnovati “ante tempus”, atteso che, in caso di contenzioso, sarebbe abbastanza facile provare il c.d. “intento fraudolento contro la legge”, perché si è anticipata una eventuale proroga senza alcuna ragione tecnico-organizzativa che ne giustificasse l’anticipazione rispetto al termine finale. Il medesimo ragionamento che ho appena fatto per la scadenza del 31 dicembre prevista dal D.L. n. 104, vale per quei contratti che dovessero andare in scadenza ben oltre il termine finale della deroga, fissato per il prossimo 31 marzo.
Una considerazione finale si rende necessaria: le questioni correlate alla normativa sui contratti a tempo determinato, con l’introduzione di causali rigide, senza alcun rinvio alla contrattazione collettiva, tornano, sempre, “a galla”, soprattutto in un momento in cui una possibile ripresa delle attività produttive e commerciali “post pandemia”, spingerebbe i datori di lavoro verso rapporti a termine, propedeutici ad una futura, possibile, stabilizzazione. La deroga del D.L. n. 104 che consente la “non apposizione delle condizioni” una sola volta in un determinato arco temporale che ora, dopo le modifiche della legge di bilancio 2021, va dal 15 agosto 2020 al 31 marzo 2021, è chiaramente insufficiente: non dimentichiamo, infatti, le traversie che hanno accompagnato i rapporti a termine nel corso del 2020 con periodi più o meno lunghi di integrazione salariale COVID-19 che, vanno ad incidere sulla durata complessiva di ventiquattro mesi, oltre i quali non è più possibile andare oltre a meno che non si stipuli un ulteriore contratto “in deroga assistita” presso l’ITL ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015, secondo le indicazioni fornite, a più riprese, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
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