Appalti e somministrazione: cosa cambia con il D.L. 19/2024
L'editoriale di Eufranio Massi
I gravi incidenti sul lavoro, spesso mortali, con uno stillicidio giornaliero insopportabile in un Paese civile, i recenti gravi fatti di Firenze, nonché le risultanze degli accessi ispettivi dalle quali emerge che la depenalizzazione del 2016 non ha raggiunto gli effetti sperati, hanno spinto l’Esecutivo a varare norme di urgenza approfittando del primo Decreto Legge utile (quelle relativo ad alcune questioni relative al PNRR) ove, tra le altre cose, è stato previsto un aumento delle sanzioni amministrative e sono state reintrodotte norme di natura penale (arresto con l’alternativa dell’ammenda) nelle ipotesi di appalti non genuini e di somministrazione illecita o fraudolenta. Si tratta, il più delle volte, di contratti che celano una interposizione illecita di manodopera.
La disposizione che contiene questo cambio di indirizzo del Legislatore è contenuta nell’art. 29 del D.L. n. 19/2004.
Appalti
Quest’ultimo, come ricorda l’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003 (ma non bisogna dimenticare anche ciò che afferma l’art. 1655 c.c.), si ritiene genuino allorquando coesistono contemporaneamente i seguenti criteri:
- L’organizzazione dei mezzi, in relazione all’opera o al servizio che sono stati dedotti nel contratto;
- L’esercizio, da parte dell’appaltatore, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori che vengono utilizzati nell’appalto;
- Il rischio d’impresa che deve essere assunto, completamente, dall’appaltatore.
Venendo meno uno o più di questi requisiti si è in presenza di un intermediario di manodopera che mette a disposizione del committente unicamente le prestazioni lavorative dei suoi dipendenti (e tralascio ogni considerazione relativa al fatto che gli stessi siano in nero o in forza con contratti di dubbio contenuto ed in spregio a qualsiasi formazione postulata dal D.L.vo n. 81/2008.
Mancando i requisiti sopra indicati, si è in presenza di uno pseudo appaltatore e di uno pseudo committente il cui unico obiettivo (configurandosi una somministrazione abusiva più che un appalto)) è quello di svolgere un certo tipo di attività lucrando, soprattutto, sui compensi dei lavoratori, come dimostra l’esperienza che scaturisce da innumerevoli accessi ispettivi.
Penali eventuali
Come affermavo pocanzi, il Legislatore ha pensato bene di tornare a prefigurare sanzioni penali, già previste, in origine, dal D.L.vo n. 276/2003, poi depenalizzate nel 2016 per effetto della riforma penale dell’epoca. Ora, la sanzione, ferme restando tutte le altre di natura amministrativa che si possono applicare a fronte di situazioni irregolari, è quella dell’arresto per un mese o, in alternativa, quella dell’ammenda pari a 60 euro al giorno per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata in cui è avvenuta la prestazione: essa viene applicata sia allo pseudo appaltatore che al committente.
La medesima disposizione si applica al distacco, allorquando i requisiti della temporaneità e, soprattutto, dell’interesse del distaccante, non si rinvengono: le problematiche del distacco illecito sono cresciute negli anni, con il moltiplicarsi dei “contratti di rete”, ove nella “catena” delle aziende gli organi di vigilanza si trovano ad esaminare imprese che, al di là di quanto scritto nel patto, si limitano a fornire manodopera alle altre aziende che lo hanno sottoscritto.
Conseguenze
Nei casi appena evidenziati si concretizza una ipotesi di somministrazione illecita che diviene fraudolenta (con un aggravio di pena, susseguente alla cancellazione dell’art. 38-bis del D.L.vo n. 81/2015) come ricorda il nuovo comma 5-ter dell’art. 18 del D.L.vo n. 276/2003: “Quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con la pena dell’arresto fino a 3 mesi o dell’ammenda di 100 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di lavoro”.
Sarà l’ispettorato Nazionale del Lavoro, con le indicazioni amministrative ai propri organi di vigilanza, a chiarire la portata della disposizione che, in ogni caso, dovrebbe confermare quanto già affermato con la circolare n. 3/2019 con la quale furono individuati una serie di elementi sintomatici come, ad esempio, il non rispetto dell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 338/1989 sulla quantificazione degli imponibili contributivi, sui casi di divieto della somministrazione (art. 32 del D.L.vo n. 81/2015), sui limiti quantitativi della stessa (art. 31), sui distacchi transnazionali illeciti (art. 3 del D.L.vo n. 136/2016) o su quelli “farlocchi” ex art. 30 del D.L.vo n. 276/2003.
Norma sugli appalti
La norma prevede alcune circostanze aggravanti che determinano un aumento degli importi come allorquando afferma che le sanzioni previste ex art. 18 del D.L.vo n. 276/2003, in caso di recidiva nel triennio per i medesimi illeciti, siano aumentate del 20%, con l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda sestuplicata allorquando venga accertato lo sfruttamento di minori. Probabilmente, nel corso dell’esame parlamentare, occorrerà puntualizzare alcuni passaggi della norma, soprattutto nel caso della somministrazione fraudolenta, ove sembra che ci si sia dimenticato della aggravante specifica sopra riportata.
Va, in ogni caso aggiunto che il comma 5-quinquies dell’art. 18 del D.L.vo n. 276/2003, nel testo entrato in vigore con il D.L. n. 19, stabilisce che le sanzioni ex art. 18 non possano essere inferiori a 5.000 euro e superiori a 50.000 euro, cosa che, porterà a ridurre l’effetto deterrente scaturente dalla introduzione dei reati penali, sol che si pensi che, in caso di pagamento, nei termini previsti, della ammenda a seguito di prescrizione obbligatoria, il trasgressore, potrà sborsare ¼ del totale e, quindi, al massimo 12.500 euro.
Trattandosi di reati, gli ispettori del lavoro non potranno fermarsi avanti a contratti certificati secondo le procedure previste dagli articoli 75 e seguenti del D.L.vo n. 276/2003, dovendo, nella loro qualità di Ufficiali di polizia giudiziaria, relazionare la Procura della Repubblica ex 347 c.p.p. .
Ulteriori chiarimenti
E’ stato introdotto all’interno dell’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003 il comma 1-bis con il quale si stabilisce che negli appalti (e nel subappalto) di opere e servizi, deve essere riconosciuto ai lavoratori un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi maggiormente applicati nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto.
La formula prescelta dal Legislatore è ampia e comprende non soltanto i lavoratori impiegati direttamente negli appalti ma anche i somministrati e quelli utilizzati da eventuali subappaltatori presenti in virtù di specifici contratti.
Dalla lettura della disposizione sembra che il parametro adottato sia ben diverso ad esempio, da quello previsto dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015 che richiama i contratti collettivi di lavoro sottoscritti, anche a livello territoriale od aziendale, dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che si applica, tra le altre cose, anche ai lavoratori somministrati inviati in missione dalle Agenzie di Lavoro.
La norma sembra dire alle aziende che possono applicare il contratto che vogliono, adeguando soltanto i trattamenti economici a quelli previsti dagli accordi di riferimento, qualora gli stessi siano inferiori, nulla dicendo sulla parte normativa.
Individuazione dei trattamenti
Occorre individuare sia il settore “strettamente connesso” che la zona: si tratta di criteri nuovi che andrebbero meglio specificati, non potendo, caso per caso, riferirsi alla casistica del CNEL o ai dati della rappresentatività sindacale (discorso molto futuribile e difficile da interpretare). Dovrebbe essere condotta una analisi (e già prefiguro un possibile forte contenzioso) sia riferita alla individuazione del settore “strettamente connesso” che alla “zona” (quest’ultimo criterio, del tutto nuovo e molto generico parcellizza, oltre misura, l’ambito di riferimento, e sembra superare quello in uso correlato della territorialità, cosa che mi lascia alquanto perplesso).
Speriamo che ciò sia chiarito in sede di conversione e che, le indicazioni di prassi dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro possano aiutare il personale addetto alla vigilanza anche nella eventuale procedura di diffida accertativa per crediti patrimoniali ex art 12 del D.L.vo n. 124/2004.
Bologna, 14 marzo 2024
Eufranio Massi
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