Accordo collettivo con le organizzazioni sindacali: una modalità di gestione delle eccedenze [E.Massi]

Una riflessione sulla questione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e gli accordi sindacali in attesa degli indirizzi amministrativi del Ministero

Accordo collettivo con le organizzazioni sindacali: una modalità di gestione delle eccedenze [E.Massi]

Ho avuto già modo di trattare sul blog l’argomento della sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo alla luce delle previsioni contenute nel D.L. n. 104. Ritengo opportuno tornare sul tema che ora trova le proprie norme di riferimento nel comma 11 dell’art. 12 del D.L. n. 137/2020, attualmente all’esame del Parlamento.

Nel periodo appena trascorso le domande che si sono poste gli operatori sono molteplici e l’obiettivo che mi pongo, con questa breve riflessione, è quello di provare a risolvere le questioni evidenziate, in attesa che il Ministero del Lavoro senta la necessità, per alcuni aspetti che restano “critici”, di fornire i propri indirizzi amministrativi.

Gli accordi collettivi aziendali, e non territoriali, vanno sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Tutto questo significa che:

  • Il datore di lavoro deve convocare, a mio avviso, tutte le sigle sindacali che hanno sottoscritto il CCNL che nel settore di riferimento, è applicato dalla maggior parte delle imprese. La norma sembra escludere la possibilità che un accordo venga sottoscritto con un sindacato minoritario, seppur firmatario di un contratto collettivo applicato nell’impresa, se questo non è espressione delle organizzazioni comparativamente più rappresentative;
  • La norma fa riferimento ad una pluralità di agenti sindacali che posseggono il requisito della maggiore rappresentanza comparativa che va individuata sulla base di indici elaborati anche dalla giurisprudenza come, la consistenza numerica, la presenza significativa sul territorio nazionale, la partecipazione alla stipula di accordi collettivi ai vari livelli, l’intervento nelle controversie individuali e collettive di lavoro, gli esami congiunti per le integrazioni salariali, ecc.);
  • L’invito all’incontro va inviato a tutte le associazioni firmatarie del CCNL: la norma usando la preposizione articolata “dalle” in luogo di quella semplice “da” sembra chiedere la firma di almeno due sigle. Andrà valutato, caso per caso, se la firma apposta è di un solo sindacato: ciò potrebbe essere sufficiente se le altre hanno disertato l’incontro ritualmente convocato (ma su questo aspetto sarebbe gradito un chiarimento del Ministero del Lavoro);
  • La norma, facendo riferimento alla struttura nazionale delle organizzazioni sindacali che possono sottoscrivere gli accordi attraverso le proprie articolazioni territoriali di categoria, esclude un potere, in tal senso, sia delle RSA che delle RSU le quali, tuttavia, possono apporre le proprie firme “ad abundantiam”;
  • L’esclusione delle rappresentanze sindacali cozza però con il fatto che viene meno la preclusione all’apertura, se necessario, della procedura collettiva di riduzione di personale ove, le stesse, unitamente alle strutture territoriali di categoria, sono destinatarie della nota aziendale, prevista dall’art. 4 della legge n. 223/1991, con cui viene aperto l’iter;
  • L’apertura di una procedura collettiva di riduzione di personale ex art. 4 e 24 della legge n. 223/1991 è necessaria, per le imprese dimensionate oltre le quindici unità, in presenza di un ammortizzatore sociale COVID-19, dal fatto che l’azienda intende risolvere i rapporti con almeno cinque dipendenti: sotto tale soglia l’iter non appare necessario. La procedura consente di raggiungere un accordo sui criteri di scelta in relazione ai profili professionali eccedentari (non oppositivi, con adesione volontaria degli interessati entro una determinata scadenza temporale);
  • Gli accordi collettivi non sono strutturali ma hanno una efficacia limitata nel tempo, ossia fino a quando permane la sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo che il D.L. n. 137/2020 fissa al prossimo 31 gennaio: nel disegno di legge bilancio relativo al 2021, attualmente all’esame del Parlamento, la data finale dello “stop” viene individuata nel 31 marzo 2021. Resta da chiarire se il termine finale è da intendersi come data di sottoscrizione dell’accordo, potendo i lavoratori interessati aderire successivamente, o no, atteso che alle loro risoluzioni consensuali è legata la fruizione delle NASPI. A mio avviso, la data ultima si riferisce alla sottoscrizione dell’accordo aziendale, potendo gli interessati aderire successivamente: su questo punto appare indifferibile ed auspicabile un chiarimento del Ministero del Lavoro;
  • Gli accordi collettivi possono definire eventuali somme da corrispondere come incentivo all’esodo, parametrati sull’anzianità aziendale, sul livello professionale, sulla vicinanza ad un trattamento di pensione (vecchiaia, “quota 100, opzione donna, lavori usuranti, ecc.) o di anticipo della stessa quale l’APE, ma possono essere anche di natura diversa, limitandosi ad un verbale ove si dà atto delle eccedenze e si rimanda alla trattativa con il datore di lavoro la quantificazione degli importi “incentivanti”;
  • Gli accordo collettivi, pur nel silenzio della norma, dovrebbero, a mio avviso, fissare un termine entro il quale i lavoratori interessati dovranno aderire ai principi fissati nell’accordo. Appare opportuno che tale adesione avvenga per iscritto, così come capita per gli accordi di ricollocazione ex art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015 dal quale questa norma ha tratto una lontana ispirazione;
  • La norma non parla di alcun deposito telematico presso il Ministero del Lavoro, entro trenta giorni dalla sottoscrizione, degli accordi, come previsto dall’art. 14 del D.L.vo n. 151/2015: di conseguenza, pur essendoci le “altre agevolazioni” alle quali si riferisce la disposizione (ossia la NASPI per i lavoratori che aderiscono), non va fatto, né il Dicastero del Lavoro ha detto alcunchè.

Con l’adesione all’accordo collettivo da parte dei singoli lavoratori il rapporto si risolve attraverso una risoluzione consensuale, dimissioni o “licenziamenti non oppositivi” che, ricordo, sono richiamati anche per altri istituti come il contratto di solidarietà difensivo, secondo la dizione operata dall’art. 4, comma 4, del D.M. n. 94033/2016. Per le risoluzioni consensuali o le dimissioni il Legislatore ha previsto, in via eccezionale, la fruizione della NASPI. In ordine a tale ultimo istituto va chiarito che:

  • L’INPS, con circolare n. 111/2020, ha affermato che i lavoratori interessati debbono allegare copia dell’accordo collettivo e la dichiarazione della loro adesione;
  • La NASPI che, in via generale, postula uno stato di disoccupazione involontaria a seguito di licenziamento, dimissioni per giusta causa, dimissioni della donna nel “periodo protetto”, risoluzione consensuale ex art. 7 della legge n. 604/1966, viene riconosciuta, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi e con le modalità previste dal D.L.vo n. 22/2015, anche per le ipotesi susseguenti alla applicazione delle eccezioni previste dal comma 11 dell’art. 12 del D.L. n. 137/2020;
  • Pur se ancora non detto chiaramente, il contributo di ingresso alla NASPI va pagato dal datore di lavoro con la prima scadenza successiva alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Esso (valore 2020) è pari ad un massimo di 1.509,87 euro per una anzianità aziendale pari o superiore a trentasei mesi, essendo di 503,30 euro l’importo per ogni dodici mesi, mentre quello mensile è pari a 41,94 euro. Essendo frutto di accordi collettivi sindacali, è escluso che nelle imprese industriali si debba pagare il ticket moltiplicato tre volte.

Da molte parti ci si è posti il problema di come corrispondere ai lavatori le somme dovute quale “incentivo all’esodo”. Personalmente ritengo che le somme, probabilmente accompagnate dalle altre competenze legate all’intercorso rapporto ancora dovute, saranno corrisposte dai datori di lavoro in “sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc. (commissioni provinciali presso i singoli ITL, sede sindacale, commissioni di certificazione Quasi sicuramente, sarà la c.d. “sede sindacale” ad essere privilegiata, avendo ben presente che, al momento, per le difficoltà presenti legate al COVID-19, presso gli Ispettorati territoriali del Lavoro le procedure avvengono, nella stragrande maggioranza dei casi, “da remoto”. La sottoscrizione dei singoli accordi “in sede protetta”, fa sì che il lavoratore non debba confermare sia la risoluzione consensuale che le eventuali dimissioni seguendo l’iter telematico previsto dal D.M. applicativo dell’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 che, se fatto personalmente e non attraverso gli Enti ed i professionisti a ciò delegati, deve avvenire, unicamente, attraverso lo SPID. Le conciliazioni ex artt. 410 e 411 cpc. Liberano il lavoratore da tale incombenza.

In caso di accordo in sede protetta va assicurato che:

  • Il lavoratore abbia piena conoscenza di ciò che va a sottoscrivere, soprattutto per le somme che vengono riconosciute per l’attività già svolta. Ciò significa che se lo stesso non è convinto, avrà piena ragione a chiedere uno “spostamento” della riunione finalizzato a verificare i conteggi;
  • L’assistenza sindacale, soprattutto se l’incontro avviene ex art. 411 cpc. deve essere piena e partecipe non limitandosi ad una partecipazione “anonima”, accompagnata dalle solite frasi di rito e dalla firma in calce al verbale.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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