Insussistenza del giustificato motivo di licenziamento: reintegra obbligatoria per la consulta [Eufranio Massi]
L’INPS, attraverso la circolare n. 30, ha offerto le proprie indicazioni amministrative per la fruizione dell’esonero contributivo previsto dall’art. 1 della legge n. 178/2020, avvertendo, comunque, che, al momento, non c’è alcuna operatività della norma, in quanto si è in attesa dell’autorizzazione della Commissione Europea
Negli ultimi anni la Corte Costituzionale è, più volte, intervenuta sulle disposizioni che nello scorso decennio, hanno cambiato le disposizioni in materia di licenziamento: ne sono palese testimonianza:
- La sentenza n. 194/2018 che è intervenuta sull’art. 3 del D.L.vo. n. 23/2015 (le c.d. “tutele crescenti” applicate a chi è stato assunto a partire dal 7 marzo 2015), affermando che la sola indennità risarcitoria legata all’anzianità aziendale non è un criterio sufficiente per il ristoro a fronte di un recesso illegittimo, dando facoltà al giudice di aumentare l’indennizzo, all’interno delle 36 mensilità previste come tetto massimo, basandosi sulle previsioni contenute nell’art. 8 della legge n. 604/1966;
- La sentenza n. 150/2020 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 4 del D.L.vo n. 23/2015 laddove era riconosciuta una indennità risarcitoria connessa a vizi di motivazione del licenziamento o della procedura ex art. 7 della legge n. 300/1970 riferita all’inciso “di importo pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio”;
- Ora, con il comunicato del 24 febbraio 2021, la Consulta ha preannunciato il deposito di una sentenza con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo alinea (come modificato dalla legge n. 92/2012), laddove viene stabilita, in presenza della mancanza del giustificato motivo oggettivo, la facoltà, per il giudice di scegliere tra la reintegra e l’indennità risarcitoria.
Il deposito della decisione è previsto per la fine di marzo e, in quella sede, conoscendo le motivazioni alla base della sentenza, che diverrà effettiva con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, si potranno fare una serie di considerazioni.
Per ben comprendere ciò che hanno preannunciato i giudici della Corte, credo che sia opportuno ricapitolare i contenuti della riforma del 2012 che ritoccò, fortemente, la formulazione originaria dell’art. 18 della legge n. 300/1970.
Il sistema introdotto con la legge n.92/2012 era finalizzato a ridurre la rigidità del vecchio testo ed il Legislatore pose in essere una serie di tutele “graduate”, correlate alla gravità del comportamento datoriale:
- La tutela “reale” piena in caso di nullità del licenziamento (art. 18, comma 1), con la reintegra nel posto di lavoro, a prescindere dai limiti dimensionali del datore di lavoro e dalla motivazione addotta, con condanna (comma 2) del datore al risarcimento del danno, con il pagamento di una indennità commisurata sull’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorni del licenziamento fino a quello della effettiva reintegra, dedotto “l’aliunde perceptum” in caso di occupazione nel periodo di estromissione. La misura dell’indennità non può essere inferiore alle 5 mensilità ed, inoltre, il datore è tenuto al versamento, per tutta la durata della estromissione, dei contributi previdenziali ed assistenziali. Il lavoratore può rinunciare al posto di lavoro attraverso la corresponsione di una indennità, non soggetta a contributi previdenziali, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La richiesta deve essere effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o dall’invito del datore a riprendere servizio, se antecedente a tale comunicazione;
- La tutela reale “attenuata “ (art. 18, comma 4) per le ipotesi di insussistenza del fatto contestato a fini disciplinari, o perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, con reintegra nel posto di lavoro ed un risarcimento commisurato alle mensilità intercorrenti tra il recesso e la ripresa dell’attività, con un limite massimo fissato a 12 calcolate sull’ultima retribuzione globale di fatto, dedotto, anche in questo caso, “l’aliunde perceptum” e con il pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per tutto il periodo, maggiorati degli interessi legali, senza alcuna sanzione per omissione o tardato versamento. Nel caso di svolgimento, nel periodo di estromissione, di altra attività lavorativa, la contribuzione viene calcolata sul differenziale, con attribuzione d’ufficio della contribuzione alla gestione corrispondente all’attività lavoro svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. Il lavoratore può rinunciare alla reintegra nel posto ottenendo una indennità pari a 15 mensilità, nei limiti e con le condizioni già evidenziate in precedenza sub a);
- La tutela indennitaria pari ad una indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra 12 e 24 mensilità (art. 18, comma 4) per le altre ipotesi in cui “non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo o della giusta causa”;
- La tutela, a discrezione del giudice (la norma contenuta nel secondo alinea del comma 7 dell’art. 18 adopera la parla “Può”), alternativa tra reintegra e risarcimento nei casi in cui si accerti la insussistenza del fatto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La decisione della Consulta trae origine da un remissione operata dal Tribunale di Ravenna che aveva lamentato come il secondo alinea del comma 7 dell’art. 18 fosse in contrasto con una serie di articoli della nostra Costituzione (artt. 3, 24, 41 e 111), laddove viene prevista una discrezionalità del giudice nella scelta tra la tutela reintegratoria e quella risarcitoria. La non manifesta infondatezza della questione costituzionale nasceva dal fatto che, secondo il giudice remittente, a fronte di una parità accertata di illegittimità del recesso per insussistenza del fatto, esisteva una tutela ingiustificatamente diversa tra, ad esempio, il licenziamento per motivi disciplinari (con tutela obbligatoria “attenuata”) e quello per giustificato motivo oggettivo ove l’alternatività tra reintegra e risarcimento, creava una sorta di sistema differenziato, non giustificabile, con conseguente violazione della parità di trattamento sancita dal primo comma dell’art. 3 della nostra Costituzione.
In attesa del deposito e delle conseguenti motivazioni, si può, sin d’ora affermare che con questa decisione la Consulta continua a rettificare la disciplina sui licenziamenti quale si è delineata nel corso degli ultimi anni: questa volta viene chiarito che la tutela obbligatoria, in tutte quelle situazioni in cui trova applicazione l’art. 18 della legge n. 300/1970, va applicata laddove venga accertata la insussistenza del fatto all’origine del provvedimento.
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