Contratti di prossimità e minimali contributivi [E.Massi]

Contratti di prossimità e minimali contributivi [E.Massi]

I contratti di prossimità, previsti dall’art. 8 della legge n. 148/2011, consentono, in presenza di obiettivi di scopo (salvaguardia dell’occupazione, incremento della produttività e del salario, avvio di nuove attività, emersione dal lavoro irregolare, ecc.), di prevedere norme derogatorie alla disciplina della legge o dei contratti collettivi. Ci  è possibile sulla base di accordi raggiunti a livello territoriale od aziendale e le materie che possono essere “toccate” e riformate sono tante e di spessore. Basti pensare alla normativa sui contratti a termine, sull’orario di lavoro, sul tempo parziale, sulle mansioni e sugli impianti audiovisivi,  alla solidarietà negli appalti ed al ricorso alla somministrazione, nonché alle conseguenze del recesso in caso di licenziamento.  Si tratta di materie che nel corso del 2015 sono state oggetto anche di specifici interventi attraverso i decreti attuativi del Jobs act come, ad esempio, i decreti legislativi n. 23, 81 e 151.

Con l’interpello n. 8 del 12 febbraio 2016 il Ministero del Lavoro ha risposto ad un quesito posto dall’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro che ha chiesto di conoscere se i livelli retributivi fissati dai contratti di prossimità possano costituire base imponibile anche in deroga ai minimali contributivi di cui parla l’art. 1 del D.L. n. 338/1989, convertito nella legge n. 389/1989, e se il rispetto dei contratti di prossimità possa essere considerato quel condizione necessaria per l’accesso alle agevolazioni contributive in alternativa al rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale come richiede l’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 e come richiede, ad esempio, l’INPS, ai fini della fruizione dell’esonero contributivo previsto dall’art. 1, comma 118, della legge n. 190/2014 e dall’art. 1, comma 178, della legge n. 208/2015.

Quale è stata la risposta della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva?

Dopo un richiamo alle condizioni legali circa la validità delle sottoscrizioni delle rappresentanze sindacali ( il riferimento è al criterio maggioritario delle stesse, cosa che nel settore delle imprese aderenti a Confindustria significa rispetto dell’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 e per quelle iscritte a Confcommercio rispetto dell’intesa del 26 novembre 2015) viene, chiaramente, affermato che tra le materie di possibile intesa a livello aziendale non viene determinata quella che si riferisce alla determinazione dell’imponibile contributivo ed, inoltre, viene   ribadito che le intese non possono produrre effetti sugli Istituti previdenziali che sono soggetti creditori della contribuzione.

Un chiaro esempio di tale asserzione si rinviene, a mio avviso, anche in eventuali accordi che disciplinino la rinuncia alla solidarietà negli appalti: l’eventuale accordo non pu  incidere sulla parte contributiva ed assicurativa per la quale la responsabilità “in solido” del committente resta piena. L’indirizzo propugnato dal Dicastero del Lavoro trova pieno avallo nella sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 11199/2002 la quale motiva la inderogabilità del minimale contributivo sulla base del fine dello stesso che è quello della realizzazione delle coperture assicurative e previdenziali: una copertura minore per effetto  di una retribuzione imponibile inferiore, porterebbe, necessariamente, a non soddisfare le esigenze per le quali lo stesso è stato ipotizzato.

In relazione al secondo quesito relativo  alla possibile fruizione di benefici legati al rispetto della contrattazione collettiva nazionale (cosa di attualità, attesi i recenti vantaggi contributivi legati alle assunzioni a tempo indeterminato), il Ministero, dopo aver ricordato l’obbligo per l’impresa richiedente di rispettare gli accordi  e la contrattazione nazionale,  e se esistente, anche quelle di secondo livello (regionali, territoriali od aziendali, come il contratto di prossimità) stipulata dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale ( sulla legittimità di tale indicazione normativa consiglio di consultare la sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2015 che l’ha ritenuta pienamente valida), afferma che occorre rispettare anche gli “altri obblighi di legge”. Ci  scaturisce dallo stesso dettato normativo ( art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006), per cui un’azienda che non rispetti i minimali imponibili della retribuzione che fanno riferimento alla contrattazione collettiva nazionale “qualificata” indicati dalle leggi n. 389/1989 e n. 549/1995, non pu , in alcun modo, fruire dei benefici normativi e contributivi.

Da quanto appena detto discende, a mio avviso, una considerazione: gli  accordi di prossimità, per consentire la piena agibilità  delle agevolazioni contributive, normative e fiscali, non possono derogare “in peius” ai trattamenti economici della contrattazione nazionale sui quali, poi, si pagano i contributi previdenziali. Ci  comporta che se si vuol usufruire, ad esempio, dell’esonero contributivo della legge n. 208/2015 lo spazio, peraltro molto ampio e, per certi versi, “nobilitato” dallo stesso Legislatore delegato nell’art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015 che ha messo sullo stesso piano la contrattazione di primo e secondo livello, sia limitato alla parte normativa di una serie di istituti.

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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