Sospensione dell’attivita’ imprenditoriale: nuovi importi e modalita’ di ottemperanza [E.Massi]

Sospensione dell’attivita’ imprenditoriale: nuovi importi e modalita’ di ottemperanza [E.Massi]

L’emanazione della circolare del Ministero del Lavoro n. 26 del 12 ottobre 2015, oltre ad aver  chiarito alcune questioni operative relative alla applicazione delle sanzioni in materia di lavoro nero, con la specificazione dell’istituto della diffida e delle modalità di ottemperanza alle violazioni amministrative relative ad alcune violazioni relative alla compilazione del LUL, alla consegna del prospetto di paga ed alla erogazione degli assegni familiari, fornisce le opportune delucidazioni circa il modo in cui può essere assolto dal trasgressore l’onere per la ripresa dell’attività imprenditoriale, sospesa a seguito di un intervento degli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro o delle ASL.

Prima di entrare nel merito delle novità contenute nell’art. 22 del D.L.vo n. 151/2015 credo che sia necessario ricapitolare, brevemente, in quali situazioni, durante un accesso ispettivo, si può procedere a sospendere l’attività dell’azienda.

E’ l’art. 14 del D.L.vo n. 81/2008 ad affermare che tale obbligo può scattare in tutte quelle ipotesi in cui, anche su segnalazione di altre pubbliche amministrazioni, si riscontri un impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria (nella sostanza, dalle comunicazioni telematiche preventive alla instaurazione dei rapporti) in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul posto di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro individuate in via amministrativa dal Ministro del Lavoro (qui la competenza degli ispettori delle Direzioni territoriali è limitata all’edilizia ed a pochi altri settori, mentre quella degli addetti alla vigilanza delle ASL è totale). Ricordo, inoltre, che, avvalendosi della facoltà rilevabile dal fatto che il Legislatore ha utilizzato la parola “possa”, il Ministero del Lavoro ha chiarito che il provvedimento di sospensione non trova applicazione nelle imprese che occupano soltanto un dipendente ove, peraltro, si procede all’allontanamento dello stesso fino a quando non si sia regolarizzata la posizione, anche sotto l’aspetto della sicurezza.

Indubbiamente, il provvedimento di sospensione (che è circoscritto alla parte di attività imprenditoriale interessata), va adottato dagli ispettori tutte le volte in cui presupposti legali vengano accertati, ma un certo potere discrezionale esiste e, in passato, il Dicastero del Lavoro lo ha  posto in evidenza. Si tratta, infatti, di quelle circostanze particolari che spingono verso la “non opportunità” del provvedimento come nel caso in cui occorre evitare un grave danno agli impianti, alle attrezzature o ai beni (si pensi all’allevamento degli animali o alla raccolta della frutta), o nella ipotesi nella quale la sospensione per tutela della salute o della sicurezza vada ad incidere su un’attività di altri lavoratori, mettendoli in pericolo (situazioni rilevabili, ad esempio, nella rimozioni di sostanze nocive).

Gli effetti del provvedimento di sospensione decorrono dalle ore 12 del giorno lavorativo successivo (per esso si intende “giorno di apertura dell’ufficio che ha emanato il provvedimento”), fatto salvo il caso in cui venga registrato un pericolo immanente per i lavoratori o anche per i terzi.

Il provvedimento di sospensione è fuori dalle disposizioni che regolano la materia del procedimento amministrativo e quella dell’accesso (legge n. 241/1990), pur sussistendo un obbligo di motivazione come riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 310 del 5 novembre 2010 e come sottolineato dallo stesso Ministero del Lavoro con la nota dell’8 novembre 2010.

Il provvedimento di sospensione è ricorribile in via amministrativa presso due organi diversi, a seconda di chi lo abbia emanato, pur essendo la procedura identica (30 giorni per il ricorso, 15 giorni dalla notifica, silenzio – accoglimento in caso di mancata decisione). L’istanza va presentata al presidente della Giunta Regionale se l’atto impugnato è stato emesso da un addetto alla vigilanza dell’ASL, mentre nel caso in cui il provvedimento sia stato emanato da un ispettore del lavoro (o da un militare appartenente al Nucleo Carabinieri del NIL) la domanda va inviata al Direttore di una delle quattro Direzioni interregionali del Lavoro (Milano, Venezia, Roma e Napoli). Quando, presumibilmente dal prossimo 1° gennaio sarà pienamente in vigore il D.L.vo n. 149/2015 che farà nascere l’Agenzia unica per l’Ispezione, l’istanza (così prevede l’art. 16 del D.L.vo n. 124/2004, modificato) dovrà essere prodotta al Dirigente dell’Ispettorato territoriale competente.

Una volta effettuata la sospensione incombe, sugli organi di vigilanza un altro onere che è quello di comunicarla  alla c.d. “Authority per la vigilanza sui contratti pubblici” prevista dall’art. 6 del D.L.vo n. 163/2006 ed al Ministero delle Infrastrutture: il tutto, in un’ottica di emanazione di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche, cosa che riguarda l’impresa nel suo complesso.

Come dicevo, per quel che concerne il lavoro nero, la percentuale del 20% va calcolata su tutto il personale, regolare o no, presente nel momento in cui gli ispettori hanno effettuato l’accesso. Si possono ritenere, in linea di massima, irregolari:

  • i lavoratori per i quali non è stata effettuata la comunicazione telematica preventiva di assunzione al centro per l’impiego;
  • i lavoratori, nei casi in cui non è dovuta tale comunicazione, non sia stata presentata la denuncia nominativa all’INAIL;
  • i lavoratori addetti a prestazioni accessorie per i quali non è stata effettuata la comunicazione preventiva alla Direzione del Lavoro ex art. 49, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015 (ma, nel frattempo, in attesa di un provvedimento amministrativo, valgono le vecchie regole, come affermato dal Ministero del Lavoro con una nota del 25 giugno 2015);
  • i tirocinanti per i quali non è stata effettuata la comunicazione preventiva al centro per l’impiego: nei casi in cui tale onere non sia obbligatorio, il rapporto si considera instaurato in maniera corretta allorquando la copia della convenzione e di ciascun progetto formativo e di orientamento sia stato trasmesso alla Regione ed alla DTL;
  • i lavoratori autonomi ex art. 2222 c.c., non ritenuti “genuini” per le modalità di svolgimento del rapporto.

Entrando nel merito di quanto affermato dalla circolare n. 26, ricordo come venga ricordato come l’art. 22 abbia arrotondato l’importo delle somme aggiuntive dovute per la revoca del provvedimento: a partire dal 24 settembre 2015 essa è di 2.000 euro per il lavoro “nero” (prima era 1.950 euro) e di 3.200 (prima era di 3.250) nel caso in cui la sospensione sia stata determinata da gravi e reiterate violazioni in materia di salute e sicurezza.

La novità introdotta dal Legislatore delegato consiste, ora, nella possibilità di chiedere, nel rispetto delle altre condizioni, la revoca del provvedimento attraverso il  versamento immediato del  25% di quanto dovuto a titolo aggiuntivo (500 od 800 euro a seconda della causale di sospensione), con l’impegno ad onorare l’importo residuo, maggiorato del 5%, entro i sei mesi successivi che decorrono dal giorno nel quale è stata presentata l’istanza di revoca (le somme residue, comprensive della maggiorazione, sono, rispettivamente, 1.575 e 2.520 euro).

Ma perché è stata introdotta la possibilità di rateizzazione delle somme aggiuntive propedeutiche alla ripresa dell’attività?

La risposta è che, sicuramente, su tale scelta del Legislatore hanno inciso fatti particolarmente pesanti presso l’opinione pubblica come quelli accaduti, nel corso del 2014, in provincia di Napoli.

Ma cosa succede se l’imprenditore non onora integralmente il debito?

La risposta della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva è stata la seguente:  il provvedimento di accoglimento, insieme al provvedimento di revoca della sospensione, costituisce un “unicum” e, nella ipotesi della inottemperanza, diviene titolo esecutivo.

Da ciò discende che nel provvedimento di revoca  (che può essere firmato debbono anche da un ispettore diverso rispetto a quello che aveva ordinato la sospensione) debbono essere indicati i seguenti elementi:

  • l’importo versato che a seconda del tipo di sospensione (per lavoro nero o per gravi violazioni in materia di sicurezza) sarà, rispettivamente, di 500 od 800 euro;
  • l’importo residuo maggiorato del 5%, ossia 1.575 o 2.520 euro;
  • il termine di sei mesi, con l’indicazione del giorno finale, entro il quale il trasgressore è tenuto a dimostrare il pagamento dell’importo residuo;
  • le conseguenze correlate al mancato o parziale versamento dell’importo residuo.

Tra le condizioni necessarie per la revoca del provvedimento, oltre al pagamento della somma dovuta, a titolo di acconto, occorre verificare, nel caso in cui se ne presentino gli estremi, cosa che, di frequente, avviene in edilizia, l’avvenuta ottemperanza agli obblighi di formazione, informazione e sorveglianza sanitaria, richiesti espressamente dal D.L.vo n. 81/2008, previa prescrizione obbligatoria, trattandosi di obblighi puniti penalmente.

Il datore di lavoro è tenuto, altresì, a regolarizzare i lavoratori in nero applicando le tipologie contrattuali di lavoro subordinato richiamate nell’art. 22 le quali, sono, sì verificabili, entro i 120 giorni successivi alla notifica ai fini della applicazione dell’istituto della diffida con il mantenimento del rapporto per almeno tre mesi (con problemi che la circolare n. 26 ha solo in parte risolto), ma debbono costituire, intese come regolarizzazioni, il presupposto per la revoca della sospensione. Ricordo, per inciso, che queste ultime possono avvenire con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sia pure part-time ma, in questo caso, la riduzione oraria non può essere superiore al limite del 50% dell’orario pieno previsto dal contratto collettivo o, in mancanza, dal D.L.vo n. 66/2003 (40 ore) o a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi e nel pieno rispetto delle modalità e dei limiti fissati, anche con riferimento alla percentuale, dal D.L.vo n. 81/2005.

Ovviamente, la posizione dei lavoratori extra comunitari privi del permesso di soggiorno e quella dei minori che non posseggono i requisiti per prestare un’attività lavorativa non può essere regolarizzata: tuttavia, fermo restando il pagamento della somma aggiuntiva ai fini della revoca, afferma la circolare n. 26, occorre procedere al versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi secondo la previsione contenuta nell’art. 2126 del codice civile, laddove si afferma che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.

Una riflessione necessaria al  termine di questo breve scritto: la rateizzazione delle somme aggiuntive in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale è, senz’altro, una buona cosa. Tuttavia, tenuto conto che, molte volte, il provvedimento si “cala” su realtà produttive “marginali” che operano, continuamente, ai limiti della legalità (si pensi, ad esempio a laboratori tessili semi clandestini gestiti da etnie straniere o in edilizia, ove agiscono aziende “mordi e fuggi”), c’è il rischio che si accresca il lavoro degli uffici legali e del contenzioso delle Direzioni territoriali del Lavoro (e, dal prossimo anno, degli Ispettorati territoriali competenti) e di Equitalia, senza un apprezzabile riscontro in termini di introiti (sovente, questi trasgressori “scompaiono” e si “riciclano” sotto altre forme).

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

Vedi tutti gli articoli di questo autore →