Il contratto a termine nel pubblico impiego [E.Massi]
Sul contratto a tempo determinato nelle Pubbliche Amministrazioni, il Legislatore è intervenuto più volte e l’originario testo contenuto nell’art. 36 del D.L.vo n. 165/2001 è stato riscritto più volte, come dimostra l’art. 49 della legge n. 133/2008 e da, ultimo, il D.L. 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, nella legge n. 125/2013. Il Legislatore fa riferimento, a più riprese, al D.L.vo n. 368/2001 (che, ora, va inteso al D.L.vo n. 81/2015) ma, come cercherò di dimostrare, molte sono le disposizioni che non trovano applicazione o che sono difficili da applicare.
E’ proprio partendo dai contenuti dell’art. 4 della legge n. 125, entrato nel “corpus” dell’art. 36, che possiamo capire quale è, al momento, lo “stato dell’arte”.
Negli ultimi anni l’obiettivo che i vari Governi si sono posti, spesso con risultati altalenanti, è stato quello di contenere la spesa pubblica, sia intervenendo sulle assunzioni in pianta stabile con il blocco delle stesse, sia intervenendo con il c.d. “patto di stabilità” sulle spese del personale, sia, infine, cercando di limitare il ricorso a forme contrattuali flessibili.
Per quel che riguarda i rapporti a tempo determinato vengono, ora, stabiliti due punti essenziali ed inderogabili:
- I contratti possono essere instaurati “per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”. Rispetto al vecchio testo è stato aggiunto l’avverbio “esclusivamente” che dovrebbe costituire una remora normativa, finalizzata a far sì che la disposizione non venga aggirata;
- Il contratto a termine deve trovare specifico riferimento in una ben precisa motivazione, pur mancando, nella normativa generale del D.L.vo n. 81/2015, le ragioni giustificatrici: ciò significa che dovranno essere chiaramente riportate e specificate le motivazioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive alla base dell’assunzione che, ovviamente, debbono trovare anche una stretta correlazione con le “esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”. Esse non debbono essere delle “clausole di stile” (che la Giurisprudenza ha, più volte, annullato nel settore privato sotto l’imperio del D.L.vo n. 368/2001), ma debbono avere un contenuto particolarmente esaustivo finalizzato a giustificare quel tipo di assunzione a termine che resta pur sempre eccezionale.
Il D.L. n. 101/2013 non è intervenuto sul comma 5- bis dell’art. 36: da ciò ne discende che l’esercizio del diritto di precedenza per assunzioni a tempo indeterminato che scatta dopo almeno sei mesi di rapporto, quello per lavoro stagionale (entrambi debbono essere esercitati, per iscritto, rispettivamente, entro sei e tre mesi dalla scadenza), è valido unicamente per i contratti sottoscritti a seguito di avviamento a selezione per qualifiche e profili professionali per i quali si chiede, quale titolo, la scuola dell’obbligo. La ragione appare evidente: l’avviamento a selezione (in origine, previsto dall’art. 16 della legge n. 86/1987) fu pensato come sostituto del concorso pubblico, per ovviare alle “lunghezze procedurali” di quest’ultimo.
Il comma 5–ter che è stato aggiunto dal D.L. n. 101/2013 afferma che il D.L.vo n. 368/2001 (ora è da intendersi il D.L.vo n. 81/2015) si applica a tutte le Pubbliche Amministrazioni (che sono quelle individuate dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001) e che il contratto a tempo determinato (al di fuori della ipotesi sopra evidenziata del comma 5-bis) non può essere trasformato a tempo indeterminato.
Ma, quali sono le conseguenze del mancato rispetto di queste disposizioni?
I contratti a termine posti in essere sono nulli e determinano responsabilità erariale (comma 5-quater). Quest’ultimo concetto fa sì che, da un punto di vista economico, il lavoratore va retribuito per le prestazioni effettuate (con i relativi oneri contributivi), ma chi “paga” è il Dirigente responsabile per il quale viene espressamente richiamato l’art. 21 (mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanza delle direttive che possono comportare anche l’impossibilità del rinnovo dell’incarico dirigenziale, con posizionamento “fuori ruolo” o, nei casi più gravi, con la risoluzione del rapporto, previa contestazione disciplinare). Sotto l’aspetto prettamente pratico, la norma ricorda che al Dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile (quindi, non soltanto, il contratto a tempo determinato ma anche quello di somministrazione o le prestazioni accessorie, rivisti nelle forme e nei contenuti dal D.L.vo n. 81/2015), non può essere erogata la retribuzione di risultato.
L’applicazione integrale della normativa sui contratti a termine, ora disciplinati non più dal D.L.vo n. 368/2001, ma dagli articoli compresi tra il 19 ed il 29 del D.L.vo n. 81/2015, significa verificare anche sino a che punto, sono utilizzabili taluni istituti come la proroga e l’ulteriore contratto a tempo determinato dopo il raggiungimento del tetto massimo dei 36 mesi.
Premesso che dell’ulteriore contratto ne parlerò al termine di questa riflessione, andiamo a verificare come, in che termini, e con quali limiti si possa parlare della proroga nei contratti a termine nella Pubblica Amministrazione.
L’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015, proseguendo nella semplificazione già portata avanti con la legge n. 78/2014, ha previsto un massimo di 5 proroghe nell’arco temporale di 36 mesi, ha ipotizzato che in caso superamento del limite massimo il contratto si considera a tempo indeterminato a partire dalla sesta proroga, ha tolto il riferimento “alla stessa attività”, lasciando, ovviamente, la manifestazione del consenso alla prosecuzione da parte del lavoratore e considerando che, per effetto dell’art. 3, il lavoratore può essere adibito a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
Ebbene, a mio avviso, questi principi non sono facilmente trasportabili per le seguenti considerazioni:
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Nel settore privato, il datore di lavoro, a fronte di esigenze lavorative che egli stesso valuta e delle quali non deve rispondere a nessuno, decide di prorogare il contratto come crede. Nel settore pubblico ciò non è così semplice, nel senso che il Dirigente deve verificare se le esigenze temporanee ed eccezionali (che debbono essere esclusive) sussistono ancora (e per quanto) e se sussiste la copertura economica (contributiva e salariale), derivante dall’impegno finanziario previsto: si tratta di passaggi importanti che, se non rispettati, potrebbero portare anche ad una responsabilità di natura erariale;
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Nel settore privato, il datore di lavoro se “sbaglia” il computo delle proroghe vede il rapporto trasformato a tempo indeterminato a partire dalla sesta ed è lo stesso a “pagarne” le conseguenze. Nel settore pubblico, invece, non c’è la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, attesa la previsione dell’art. 97 della Costituzione, ed il Dirigente risponde, personalmente, del danno economico (legato alle prestazioni svolte dal lavoratore) qualora il proprio comportamento sia dovuto a dolo o colpa grave.
Le nuove disposizioni sui contratti a termine esplicano anche i propri effetti sull’art. 7, comma 6, della legge n. 125/2013, che consente la stipula di contratti a termine o di collaborazione, anche di natura occasionale, per esigenze rispetto alle quali non possono far fronte con il “normale organico”. Senza andare nello specifico (cosa che ci porterebbe lontano dalla nostra riflessione, atteso che si tratta di un fenomeno molto abusato per gli uffici di diretta collaborazione del personale politico di “vertice”), si ricorda che il comma 3 (con la non erogazione del premio di risultato per il Dirigente responsabile) si applica anche a tali ipotesi e, fermo restando il divieto della trasformazione a tempo indeterminato, trovano applicazione le disposizioni del comma 5-quater dell’art. 36 (nullità del contratto, responsabilità erariale e responsabilità dirigenziale).
La normativa italiana che esclude nel settore pubblico la trasformazione (il D.L.vo n. 81/2015 non parla più di “conversione”) a tempo indeterminato dei contratti a termine per violazione delle disposizioni che li regolano, è stata oggetto anche di una pronuncia della Corte Europea di Giustizia il 7 settembre 2006, nella causa C – 180/04. Nel dispositivo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 28 ottobre 2006, si afferma che “l’accordo quadro sul lavoro a termine, del 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP su lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico”.
C’è, poi, la questione della contribuzione: le Amministrazioni Pubbliche non debbono pagare il contributo aggiuntivo dell’1,40% su tutti i contratti a termine (le eccezioni riguardano anche i c.d. “contratti sostitutivi”, quelli stagionali e frutto di avvisi comuni, e l’apprendistato, nella sola ipotesi nella quale è considerato contratto a termine – settore del turismo in ambito stagionale – atteso che si tratta di un contratto a tempo indeterminato): lo afferma, espressamente, l’art. 2, comma 29, della legge n. 92/2012. All’atto della cessazione del rapporto a tempo determinato il lavoratore ha diritto al trattamento di NASpI secondo le modalità, gli importi e la temporalità fissati dal D.L.vo n. 22/2015.
Due parole, inoltre, legate agli adempimenti burocratici: tutte le Pubbliche Amministrazioni debbono adempiere alle comunicazioni obbligatorie telematiche nei confronti del centro per l’impiego entro il 20 del mese successivo a quello nel quale è avvenuto l’evento, attraverso il modello “Unilav”: ciò riguarda sia le instaurazioni che, le proroghe, che, infine, le cessazioni. Per quel che riguarda il contratto a tempo determinato se, all’atto della comunicazione di avvenuta assunzione è già stato fissato il termine finale, la comunicazione di cessazione non va effettuata.
Il mancato assolvimento di tali oneri comporta l’irrogazione, per ogni violazione di una sanzione amministrativa compresa tra 100 e 500 euro, diffidabile ex D.L.vo n. 124/2004 e sanabile con il pagamento in misura minima, nei termini consentivi, pari a 100 euro oltre alle spese di notifica.
Va, poi, ricordato come la Corte Europea di Giustizia con la sentenza del 26 novembre 2014 (C-22/2013) relativa al personale a tempo determinato della scuola, abbia stabilito alcuni punti importanti che debbono valere anche per altri comparti pubblici: la reiterazione dei contratti a termine oltre il limite massimo di 36 mesi finalizzata a coprire le carenze di organico, senza alcuna previsione di procedura concorsuale, è contraria alla Direttiva comunitaria 1999/70 CE.
Quanto appena detto mi offre la possibilità di trattare l’ultimo argomento relativo alla stipula di un ulteriore contratto a tempo determinato, secondo la previsione contenuta nell’art. 19, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015.
Vi sono delle oggettive difficoltà per la stipula di un ulteriore contratto a termine per la durata massima di dodici mesi sottoscritto avanti al funzionario della Direzione territoriale del Lavoro competente per territorio: se il nuovo contratto va a coprire carenze di organico, sia pure “mascherate” con altre motivazioni, è senz’altro contrario alle Direttiva comunitaria ma, al contempo, pur se non lo fosse, dovrebbe trovare una oggettiva giustificazione nelle motivazioni già alla base del contratto (esigenze di natura esclusivamente temporanea ed eccezionale alle quali non si può far fronte con il normale organico). In tale ipotesi sarebbe opportuno acquisire “a priori” un parere dell’ufficio legale dell’Ente e, magari, se possibile, ottenere una sorta di avallo preventivo degli organi di controllo, finalizzato a certificare che le ragioni eccezionali (ad esempio, eventi sismici) che lo hanno determinato non sono ancora terminate.
Il rischio di una richiesta di danno erariale da parte degli organi di controllo della Corte dei Conti (che potrebbe riguardare anche il funzionario della Direzione del Lavoro che ha siglato l’accordo sottoscritto dalle parti) appare estremamente possibile.
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43 Commenti
Paola
Gennaio 31, 10:37È possibile prorogare una graduatoria a tempo determinato di tre anni ad altri tre anni ? Graduatoria per operatori scolastici del comune di Rimini. Grazie
Eufranio Massi
Gennaio 31, 17:42Cara Paola,
Il settore degli Enti locali è sempre un po’ disordinato: tuttavia, ritengo che dopo l’art. 4 del D.L. n. 101/2013 ed i chiarimenti forniti a suo tempo dal Ministero dell’interno, Dipartimento degli Affari interni e territoriali ( nota n. 2304 del 13 febbraio 2014) non possano effettuare alcuna proroga ma debbano attingere alle graduatorie del tempo indeterminato: se non le hanno debbono accordarsi con altre Amministrazioni che ne dispongano.
Qualora ne voglia sapere di più ritengo che possa avanzare un quesito al Dipartimento della Funzione Pubblica.
Pasquale
Dicembre 28, 23:02Salve pongo alla vs. Cortese attenzione il seguente quesito: è possibile per un comune assumere da 4 anni una unità con funzioni di vigile da gennaio a novembre di ogni anno e poi riassumere dal gennaio successivo? Grazie per la cortese risposta
vincenzo
Dicembre 13, 15:16Salve,
ho un contratto trasmesso l’unilav di categoria b3 , ma sulle buste paga e di categoria b1.
Posso fare un ricorso?
La ringrazio in anticipo della sua disponibita.
Eufranio Massi
Dicembre 14, 09:47Caro Vincenzo,
Ritengo che si tratti di un mero errore formale che non ha effetti pratici.
Luca
Novembre 18, 14:35Salve,
le scrivo per avere chiarimenti in merito alla possibilità di poter far ricorso per un risarcimento del danno economico, nel caso di un contratto a termine presso una PA (comune) della durata complessiva di un anno (contratto di sei mesi + n. 2 proroghe). Fermo restando l’impossibilità da parte del lavoratore di ottenere una conversione del rapporto di lavoro da contratto a termine a contratto a tempo indeterminato nella eventualità si sforino i 36 mesi, perché trattasi di pubblico impiego, vorrei capire se è necessario per legge (art. 36, comma 5, del D.l.vo n. 165/2001) aver superato sempre i 36 mesi di rapporto di lavoro, per poter avanzare una richiesta di risarcimento danno economico o meno!?
La ringrazio in anticipo e rimango in attesa di un suo gentile riscontro. Enrico
Eufranio Massi
Novembre 30, 11:00Caro Luca,
personalmente ritengo che una ipotesi di risarcimento del danno potrebbe essere intentata soltanto nella ipotesi in cui il datore di lavoro pubblico, per effetto di più contratti e proroghe per mansioni riferibili allo stesso livello contrattuale di inquadramento, superi la soglia dei 36 mesi.
Sabrina
Ottobre 26, 17:07Salve! Il mio nome è Sabrina. Ho lavorato presso una Azienda Sanitaria Locale con avvio a selezione ex art. 16 L. 56/87 per il reclutamento di addetti inserimento dati inizialmente per soli tre mesi con successive 2 proroghe per un totale di 7 mesi e mezzo (il bando prevedeva 12 mesi) poichè vi erano le procedure di mobilità in corso; infatti il 30/09/2015 (data scadenza ultima proroga) l’Ente mi comunicava via e-mail che quella data era da considerarsi come ultimo giorno lavorativo. Lo stesso giorno prorogava i contratti degli interinali (con lo stesso profilo) che avevano sostituito colleghi che avevano rinunciato alla proroga o personale in mobilità che non avevano ottenuto il nullaosta/rinuncia. Inoltre ad una collega reclutata con la stessa procedura è stato proroga il contratto fino al 31/12/2016. A settembre c.a., venuta a conoscenza di quanto sopra, per mezzo di un legale ho fatto richiesta di un nuovo contratto poichè è per me inaccettabile che dopo aver sostenuto una prova a dir di molti di complessa difficoltà io sono a casa disoccupata. La risposta dell’Ente è stata negativa. Mi chiedevo se Lei potesse darmi un consiglio se allo stato dei fatti posso continuare ad insistere nel chiedere il reintegro o debba fermarmi qui.
La ringrazio in anticipo e nell’attesa Le porgo i miei più distinti saluti. Sabrina.
Eufranio Massi
Ottobre 27, 09:51Cara Sabrina,
La aiuterei molto volentieri ma ritengo che la cosa sia abbastanza complicata e, forse, un legale, con tutta la documentazione in mano, saprà come consigliarLa. In ogni caso non potrà avere un contratto a tempo indeterminato atteso che ciò comporta l’espletamento di una apposita selezione o concorso pubblico per l’immissione in ruolo. Forse, potrebbero esserci gli estremi per una rivendicazione di natura risarcitoria, ma bisognerebbe verificare il tutto
Fabrizio Buso
Ottobre 14, 16:46Salve
in caso di part time verticale il periodo non lavorato rientra nel computo dei 36 mesi? Grazie della gentile risposta
Eufranio Massi
Ottobre 17, 09:27Caro Fabrizio, a mio avviso, vanno calcolati i mesi in cui c’è stata la effettiva prestazione lavorativa
Fabrizio Buso
Gennaio 12, 17:18Di nuovo buongiorno
mi scuso se scrivo dopo qualche mese dal mio primo quesito. Tuttavia mi sono accorto di non aver spiegato che il mio è un part time misto (20 ore a settimana per 3 settimane ogni mese). Perciò il periodo non lavorato è di circa 10 giorni ogni mese. Vale lo stesso la risposta da Lei fornita in precedenza? La ringrazio per la comprensione e porgo cordiali saluti.
Fabrizio Buso
milena
Ottobre 03, 11:48Buongiorno, avrei un quesito:
ho avuto due contratti a tempo determinato per la stessa amministrazione (comune), ma da due graduatorie diverse. Volevo sapere se i 36 mesi da non superare sono per ente o per graduatoria?
Grazie
Milena Tarducci
Eufranio Massi
Ottobre 03, 12:22Cara Milena,
I 36 mesi richiamati nel pubblico impiego dal decreto legislativo n. 165/2001 fanno riferimento, come oggi afferma il decreto legislativo n. 81/2015, alle mansioni riferibili allo stesso livello legale di inquadramento e non a graduatorie o enti.
Susanna Forte
Settembre 02, 12:06Buongiorno,
Le pongo due quesiti in materia di assunzione presso la pubblica amministrazione (Regione autonoma). A seguito dell’approvazione della graduatoria di merito in esito ad una procedura concorsuale che prevede l’assunzione di personale a tempo indeterminato, l’amministrazione ha proposto ai candidati idonei – successivamente all’entrata in servizio dei vincitori – delle assunzioni a tempo determinato. Tale modalità era prevista dal bando. Ciò che il bando non prevedeva, almeno espressamente, era la possibilità di proporre dei contratti a tempo determinato a tempo parziale. Di fatto è accaduto che, scorrendo la graduatoria, ad alcuni candidati è stato proposto un contratto a tempo determinato con orario pieno mentre ad altri è stato proposto un contratto a tempo determinato con orario parziale. Il problema nasce qui: alle persone assunte a tempo determinato parziale è stato detto che in base ad un regolamento di accesso all’impiego, emanato dalla stessa amministrazione, non sarebbero state richiamate per eventuali successive assunzioni a tempo determinato con orario pieno, ma che l’amministrazione avrebbe scorso la graduatoria di merito considerando disponibili i candidati collocati in posizioni successive, ovvero, non in servizio in quel momento. Il riferimento di legge è il seguente “i candidati in servizio a tempo determinato, per tutta la durata del contratto, non vengono considerati disponibili per altre assunzioni a tempo determinato nella medesima categoria e profilo professionale, al fine di garantire la continuità dell’attività già iniziata presso un determinato ufficio.”
Stante la premessa e considerando che comunque la posizione in graduatoria viene mantenuta agli effetti della futura assunzione a tempo indeterminato, ecco i quesiti:
1) può l’amministrazione, in base al sopra citato regolamento, di fatto escludere i candidati che ha assunto a tempo determinato con orario parziale dalle assunzioni successive a tempo determinato pieno, proponendo ed avviando con contratti a tempo determinato pieno candidati idonei che si sono posizionati in graduatoria successivamente? Di fatto si è creata questa situazione: un candidato posizionato in 30ma posizione ha avuto un contratto economicamente più vantaggioso rispetto ad uno posizionato in 20ma.
2) …”per tutta la durata del contratto” significa per la durata del contratto stipulato (2 anni) o per la durata effettiva dello stesso? Mi spiego meglio, se la persona si dimette dal contratto a tempo determinato con orario a tempo parziale ritorna ad essere considerata disponibile dalla data delle dimissioni per le successive assunzioni a tempo determinato (con orario pieno) nella medesima categoria e profilo professionale?
Grazie
simona
Settembre 26, 11:48Buongiorno, dr.ssa Susanna Forte, in riferimento ai suoi quesiti
sarei interessata a sapere come ha risolto la problematica esposta in particolare il primo quesito, inoltre le chiedo cortesemente il seguente riferimento di legge riportato nello stesso:
“i candidati in servizio a tempo determinato, per tutta la durata del contratto, non vengono considerati disponibili per altre assunzioni a tempo determinato nella medesima categoria e profilo professionale, al fine di garantire la continuità dell’attività già iniziata presso un determinato ufficio”
Cordiali saluti
Mario Parmentola
Luglio 05, 12:47Salve,
una domanda rispetto ai rinnovi contrattuali nella sanità (parliamo di dirigenti medici) e le procedure concorsuali. Mia moglie ha attualmente un contratto a tempo determinato in un ospedale pubblico in scadenza alla fine dell’anno e come lei tante colleghe. Al momento hanno partecipato ad un concorso la cui graduatoria varrà 3 anni e che verrà utilizzata tanto per contratti a tempo determinato che contratti a tempo indeterminato. Mi chiedevo: laddove uno di questi contratti a tempo determinato scadrà (diciamo a settembre), sarà possibile effettuarne il rinnovo, oppure esistendo la graduatoria concorsuale, è una procedura illegale? Non so se è rilevante o meno ma alcune di queste colleghe sono state assunte (sempre a tempo determinato) a fronte di altri concorsi mentre altre per chiamata diretta (credo a fronte di manifeste necessità).
Grazie mille
Eufranio Massi
Luglio 05, 17:50Caro Mario,
la materia delle assunzioni a termine nel settore pubblico (ed in particolare presso le ASL) e’ particolarmente scivolosa ed intricata. In ogni caso, applicando l’art. 36 del decreto legislativo n. 165/2001, il contratto, seppur prorogato, non può superare i 36 mesi.
Detto questo, Le consiglio di visionare il bando e di chiedere informazioni ai servizi per l’impiego della sua città.
Dott. Eufranio Massi
lino
Aprile 06, 19:30Salve,una domanda nel caso in cui una pubblica amministrazione, un comune in particolare, faccia piu volte contratti a tempo determinato e senza che oltrepassano i 10 o 20 giorni previsti, non puo esserre condannato a trasformare il contratto a tempo indet?
Eufranio Massi
Aprile 07, 14:41Caro Lino,
La trasformazione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato per una delle ipotesi di violazione della normativa prevista dal decreto legislativo n. 81/2015 ( ad esempio, per il mancato rispetto dello “stop and go”) non è possibile in quanto nella pubblica amministrazione si entra a tempo indeterminato nei ruoli soltanto a seguito di procedura concorsuale. Ciò è detto, chiaramente, nell’art. 36 del decreto legislativo n. 165/2001 ritenuto costituzionale dalla Consulta. L’interessato, qualora ne ricorrano le condizioni, può chiedere un risarcimento del danno che, se riconosciuto, viene poi imputato al dirigente che ha sbagliato come danno erariale.
Dott. Eufranio Massi