Dimissioni per fatti concludenti nel collegato lavoro 2024: Novità e impatti

Dimissioni per fatti concludenti nel collegato lavoro 2024: Novità e impatti

Le dimissioni per fatti concludenti (presto) torneranno nel nostro ordinamento

Il disegno di legge, comunemente chiamato “Collegato Lavoro alla legge di bilancio 2024” è stato approvato dalla Camera dei Deputati ed, ora, per essere varato, attende che si esprima anche il Senato.

I contenuti sono molteplici e riguardano norme in materia di sicurezza sul lavoro, modifiche alle tipologie del contratto a tempo determinato, della somministrazione e dell’apprendistato (nella c.d. “forma duale”), la creazione di un nuovo contratto di lavoro, il c.d. “contratto ibrido, e tanto altro ancora.

Nella riflessione che segue, però, intendo soffermarmi sui contenuti dell’art. 19 che, intervenendo sulla formulazione dell’art. 26 del decreto legislativo n. 151/2015, reintroduce, nel nostro ordinamento, le dimissioni di fatto in una formulazione ben diversa da quella che, nel 2012, era stata introdotta attraverso l’art. 4 della legge n. 92.

La procedura telematica per le dimissioni: Obblighi e Eccezioni

Prima di entrare nel merito delle novità che, a breve, entreranno in vigore, ricordo che le dimissioni dal lavoro nel nostro Paese (con le dovute eccezioni di quelle confermate nel rispetto del decreto legislativo n. 151/2001 correlate alla maternità ed alla paternità ed a quelle rese avanti alle commissioni di conciliazione ex art. 410 e 411 cpc in sede anche di risoluzione consensuale) debbono avvenire attraverso la procedura telematica creata dal Ministero del Lavoro.

Per la verità, nel 2022 il Tribunale di Udine ritenne, con motivazioni condivisibili, praticabile la via delle dimissioni di fatto, ma la Cassazione, con la sentenza n. 27331/2023, aveva ritenuto che l’unica strada percorribile per proporre le dimissioni fosse soltanto quella delineata dall’art. 26 del decreto legislativo n. 151/2015 e dal successivo D.M. applicativo.

Nuove disposizioni per assenze ingiustificate e ruolo dell’Ispettorato del Lavoro

La disposizione attualmente in vigore consente al lavoratore di allontanarsi dal posto di lavoro senza seguire la procedura specifica nella speranza che il datore, per risolvere il rapporto di lavoro, operi un licenziamento disciplinare con il conseguente pagamento del ticket di ingresso alla NASPI, necessario per l’ex dipendente per fruire del trattamento di NASPI.

Ora, il Legislatore re-interviene sulla materia aggiungendo all’art. 26 un ulteriore comma il 7-bis con il quale si dispone che in caso di assenza ingiustificata protratta oltre i termini previsti dal CCNL o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a quindici giorni ne dà comunicazione all’Ispettorato territoriale del Lavoro che ha facoltà di effettuare accertamenti, ed il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e senza applicazione della procedura telematica. La risoluzione del rapporto non avviene se il lavoratore dimostra l’impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro. La disposizione in via di emanazione, a mio avviso, presenta alcune criticità che potrebbero essere risolte attraverso emendamenti da introdurre in fase di discussione al Senato.

Possibili criticità della nuova norma: Il punto di vista del legislatore

La comunicazione all’ITL che ha facoltà (e non obbligo) di verificare la situazione legata alle dimissioni appare, nella sostanza, una formalità priva di riscontri effettivi: cosa deve fare, se ritiene di intervenire, l’organo di vigilanza?

Deve cercare il lavoratore per accertarsi che le sue dimissioni, non effettuate con la usuale procedura, sono state rese volontariamente? E, nel caso in cui accerti, soprattutto nelle piccolissime realtà che è rimasto a casa perché il datore di lavoro, a voce, gli ha detto di non andare in azienda, quale potere ha per ricostituire il rapporto (ovviamente, al di fuori dei casi protetti dalla legge)? Deve consigliare al lavoratore di impugnare la risoluzione del rapporto come licenziamento orale? Deve consigliare il lavoratore ad effettuare un tentativo di conciliazione sul licenziamento orale in sede di Commissione ex art. 410 cpc?

Cosa aspettarsi per il futuro delle dimissioni per fatti concludenti

Dal momento che è stato chiamato in causa, probabilmente si doveva prevedere un obbligo di intervento munito di particolari poteri correlati ad un ripristino diretto del rapporto qualora si riscontrasse un atteggiamento di tal genere da parte del datore. Ovviamente, siccome l’onere della prova relativa al fatto imputabile al datore è a carico del lavoratore, questo, ora, andrà dimostrato in sede giudiziale.

Con la dimissioni per fatti concludenti ecco cosa avverrà:

  • Il datore di lavoro pagherà più il contributo di ingresso alla NASPI dovuto soltanto in caso di licenziamento, per qualsiasi motivo, di dimissioni per giusta causa, di dimissioni entro l’anno dalla nascita del bambino e di risoluzione consensuale;
  • Il datore di lavoro potrà trattenere, all’atto della erogazione delle competenze di fine rapporto, l’indennità di mancato preavviso se, appunto, non è stato lavorato
  • Il lavoratore, essendo dimissionario e non licenziato, non potrà fruire del trattamento di NASPI che spetta soltanto nella ipotesi in cui il lavoratore abbia perso il posto involontariamente attraverso il recesso del datore di lavoro o nelle ipotesi di dimissioni equiparate dal Legislatore al licenziamento.

Ci sarà tempo e modo per tornare sull’argomento allorquando la norma sarà stata approvata dai due rami del Parlamento e sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 356 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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1 Commenti

  1. Farei anche l’ulteriore riflessione che in questo modo si aumenta la burocrazia senza ottenere un risultato efficace:

    – l’assenza dal lavoro è la via più comoda, ma non è l’unico comportamento che potrebbe portare al licenziamento disciplinare, e quindi un lavoratore con pochi scrupoli (e un lavoratore che cerca il licenziamento per accedere alla Naspi probabilmente lo è), per ottenere il proprio scopo semplicemente metterà in atto in azienda altri comportamenti, più conflittuali e disturbanti

    – la burocratizzazione della procedura introduce un’ulteriore penalizzazione per le aziende (soprattutto le piccole) lasciandole nell’incertezza delle conseguenze derivanti dall’esito della procedura di verifica, che sarà pesantemente condizionata anche dalle dichiarazioni (più o meno aderenti alla realtà) che potrebbe fare il lavoratore ai funzionari dell’INL

    A mio avviso una soluzione semplice ed efficace sarebbe di negare il diritto alla Naspi nel caso di licenziamento disciplinare: questo sarebbe un deterrente efficace, sia nei confronti dei datori di lavoro rispetto all’effettuare licenziamenti disciplinari “temerari”, dato il maggior interesse del lavoratore ad impugnare, sia nei confronti dei lavoratori a caccia di facili sussidi (perfettamente legali), o di anticipare di un po’ il pensionamento, che, dal ristretto campione della mia esperienza quotidiana, non sono così rari (aggiungo, in molti casi anche comprensibilmente)

    P.S. al lavoratore resta sempre l’alternativa di dare le dimissioni per poi occuparsi presso un altro datore di lavoro (più o meno consapevole) a tempo determinato, e alla fine del tempo determinato accederà alla Naspi (non vorrei dare idee a chi non ne ha bisogno).

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