Lavoratori pubblici con contratto a termine illegittimo: Cosa cambia per il risarcimento

Lavoratori pubblici con contratto a termine illegittimo: Cosa cambia per il risarcimento

Introduzione ai contratti a termine nella Pubblica Amministrazione

Da molto tempo il nostro Paese è sotto l’attenzione degli organi comunitari per la gestione dei contratti di lavoro a tempo determinato della Pubblica Amministrazione ove, per una serie di motivi che non è il caso di esaminare in questa riflessione, il termine massimo di 36 mesi è stato, sovente, superato, soprattutto nel settore della scuola.

I ricorsi agli organi di Giustizia Europea sono sempre più frequenti come dimostrano le decisioni adottate che, peraltro, per i vincoli presenti nell’art. 97 della Costituzione, non hanno mai potuto condannare le nostre Pubbliche Amministrazioni alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. In effetti, il contenuto dell’art. 97 è “tranchant”: negli organici strutturali del pubblico impiego si entra soltanto attraverso prove concorsuali.

Le nuove disposizioni del D.L. 16 Settembre 2024

Con il D.L. 16 settembre 2024, n. 131, il Governo è corso ai ripari per bloccare una serie di procedure di infrazioni a Direttive comunitarie, varando disposizioni, immediatamente operative, su materie, tra loro eterogenee, finalizzate a risolvere le questioni pendenti. Tra queste, con l’art. 12, si è affrontato il problema della indennità risarcitoria nei contratti a tempo determinato illegittimi per superamento dei termini massimi, stipulati da organismi pubblici, e si è proceduto alla correzione dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165/2001, sperando, con tale provvedimento, di “stoppare” la procedura di infrazione n. 2014/4231.

Vengono abrogati il terzo, il quarto ed il quinto periodo del comma 5 che vengono sostituiti dalle seguenti parole: “ Nella specifica ipotesi di danno conseguente all’abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce una indennità compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti avvenuti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.

Fin qui le modifiche introdotte che, però, a mio avviso, vanno esaminate contestualmente ad altre disposizioni che sono “rimaste in vita” (mi riferisco, soprattutto, alla responsabilità dirigenziale).

Come è noto, l’art. 36 disciplina le assunzioni a termine con modalità flessibili (contratto a tempo determinato, contratto di somministrazione a termine, ecc.) ricordando che la stipula deve essere motivata da esigenze di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale e nel rispetto delle procedure fissate dall’art. 35.

Modalità risarcitorie post-modifica

Orbene, dopo le modifiche introdotte, l’art. 36, al comma 5, prevede due modalità risarcitorie:

  1. In caso di stipula di contratto in violazione di norma imperativa;
  2. In caso di reiterata utilizzazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.

La prima, che non è assolutamente cambiata, dispone che in caso di contratto a termine sottoscritto in violazione di disposizioni imperative non può esserci la costituzione “forzosa” di un contratto a termine e, ferma restando ogni responsabilità e sanzione nei confronti del dirigente responsabile, il lavoratore ha diritto ad un risarcimento del danno (senza alcuna specificazione) che, secondo le indicazioni che ci derivano dalle sentenze che hanno trattato la materia, è compreso tra 2,5 e 12 mensilità calcolate sulla ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, come affermava, fino alla sua abrogazione, avvenuta con l’art. 11 del D.L. n. 131/2024, il comma 2 dell’art. 28 del decreto legislativo n. 81/2015.

La seconda, introdotta con il nuovo art. 12, concerne, soltanto, la “ipotesi di danno derivante da un abuso nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato cosa che comporta la loro illegittimità. In questo caso, la misura risarcitoria rispetto alla quale il giudice di merito deve decidere, è compresa tra quattro e ventiquattro mensilità sulla scorta di criteri ben identificati dal Legislatore che prendono in considerazione sia la gravità della violazione accertata anche in relazione al numero dei contratti sottoscritti dalle parti, che la durata complessiva del rapporto, con il calcolo, in sommatoria, dei vari periodi.

Sia nell’uno che nell’altro caso, la disposizione non richiede al lavoratore una dimostrazione del danno, a meno che lo stesso, in giudizio, non produca elementi che quantifichino il maggior danno derivante direttamente dai rapporti a termine illegittimi succedutisi.

Responsabilità dirigenziale e contratti illegittimi

Da ultimo, due parole sulla responsabilità dirigenziale.

Essa sussiste, chiaramente, per i contratti stipulati in violazione di norme imperative ed il dirigente ne risponde anche sotto l’aspetto erariale e con la “non erogazione” del premio di risultato. Tale “negligenza” comporta la piena applicazione dell’art. 21 con la apertura, con tutte le garanzie dovute, di un procedimento di natura disciplinare.

Per i dirigenti che hanno abusato, in maniera illegittima, della utilizzazione del contratto a termine non c’è uno specifico richiamo alle loro responsabilità: esse, tuttavia, possono rinvenirsi nei principi generali (a partire dal danno erariale, quantificabile dagli organi di controllo, nelle somme liquidate dal giudice con la sentenza che riconosce il danno).

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 346 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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