Riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo a termine: cosa ne pensa la Cassazione

L'editoriale di Eufranio Massi

Riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo a termine: cosa ne pensa la Cassazione

Introduzione al Problema della Riqualificazione del Lavoro Autonomo

Un caso che, in maniera abbastanza frequente, balza agli occhi degli ispettori del lavoro allorquando procedono nei loro accessi ispettivi, è rappresentato dal fatto che alcuni lavoratori, seppur formalmente inquadrati come lavoratori autonomi o con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, svolgono la loro attività con tutte le caratteristiche della subordinazione, in quanto sottoposti continuamente al potere direttivo ed al controllo dell’imprenditore, esercitato, con modalità continue, anche attraverso l’utilizzazione di strumentazioni informatiche.

Di qui, al di là di una serie di sanzioni di natura amministrativa che possono variare a seconda del contesto, discende la riconduzione del rapporto a lavoro subordinato, con tutte le conseguenze del caso.

Ovviamente, il lavoratore interessato, prescindendo da un possibile intervento degli organi di vigilanza, può, sempre, agire in giudizio, chiedendo la costituzione, sin dall’inizio, di un rapporto di lavoro subordinato con il relativo risarcimento.

Sentenza della Corte di Cassazione

Di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17450/2024, riferendosi ad un contratto di lavoro autonomo a termine, ha affermato che, a fronte del riconoscimento del rapporto come subordinato, spetta al lavoratore interessato, il riconoscimento integrale del danno subito: quest’ultimo è pari alle mensilità retributive dovute dal momento della messa in mora fino a quello della riammissione in servizio. Non è stata accolta, quindi la tesi datoriale che aveva invocato l’applicazione dell’art. 28, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015 il quale afferma che in caso di trasformazione di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere una indennità, determinata dal giudice sulla scorta dei criteri indicati dall’art. 8 della legge n. 604/1966, compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Tale indennità, secondo il dettato normativo, ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. Per completezza di informazione ricordo che i criteri seguiti dal giudice per la determinazione della indennità risarcitoria, previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966 sono il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di sevizio del prestatore di lavoro, il comportamento e le condizioni delle parti.

Tale disposizione indennitaria era, in realtà, già prevista dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 che, peraltro, la prevedeva per il recesso del committente da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e per i licenziamenti che postulano una indagine circa la qualificazione del rapporto (art. 32, comma 3).

Limiti del Regime Indennitario Onnicomprensivo

La reiezione, da parte della Suprema Corte, della posizione sostenuta dal datore di lavoro si basa, sostanzialmente, su tre considerazioni che possono così riassumersi:

  1. Il regime indennitario onnicomprensivo (da 2,5 a 12 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR) viene circoscritto dal Legislatore unicamente ai rapporti di lavoro con contratto a tempo determinato che, sin dall’inizio, erano caratterizzati dalla subordinazione;
  2. Il regime indennitario, di per sé speciale, previsto dall’art. 28, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015 e, prima dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, non può estendere, per analogia, la propria efficacia ad altre tipologie contrattuali, oltre quelle citate nei commi 3 e 4 del predetto art. 32;
  3. Tale interpretazione, secondo la Corte di Cassazione, è conforme all’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale la quale ammette la possibilità di discipline diverse per i contratti a termine nulli, per i quali trova applicazione l’indennità “a forfait”, e per quelli ove sussiste una utilizzazione fraudolenta delle collaborazioni (cosa, ampiamente, dimostrata dagli accertamenti degli organi di vigilanza, ove la tipologia contrattuale viene utilizzata, surrettiziamente, per “svicolare” da tutti gli obblighi derivanti da un rapporto di lavoro subordinato). Per queste ultime il risarcimento non può che essere quello delle retribuzioni finalizzate a coprire il periodo non lavorato fino al ripristino del rapporto.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 336 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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