La certificazione dei contratti di lavoro ed i controlli degli ispettori

La certificazione dei contratti di lavoro ed i controlli degli ispettori

L’obiettivo che IL Legislatore si propose circa venti anni or sono, era quello di trovare un sistema attraverso il quale, mediante una certificazione rilasciata da un Ente qualificato, fosse possibile limitare il contenzioso amministrativo e giudiziario in materia di contratti di lavoro: di qui, con il D.L.vo n. 276/2003 si affidò ad organi ben specificati, dotati di indipendenza e caratteristica professionale dei vari componenti, la funzione di asseverare la bontà dei contenuti dell’atto. Da qui discende, tuttora, la disposizione che “blinda” l’atto, anche nei confronti dei terzi (INPS, INAIL, INL, Agenzia delle Entrate, ecc.), fino al momento in cui, fatti salvi i provvedimenti di natura cautelare, non sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, in via ordinaria od amministrativa: in quest’ultimo caso, per violazione di legge o eccesso di potere, innanzi al TAR competente per territorio.

Il quadro di riferimento relativo agli organi di certificazione è molto cambiato rispetto ai primi anni successivi alla entrata in vigore del D.L.vo n. 276/2003: il proliferare di contratti non sottoscritti da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ha portato alla nascita di Enti bilaterali composti da rappresentanti di associazione di dubbia rappresentanza che, nel loro agire, sovente, cercano di fornire uno “scudo” contro gli accertamenti degli organi di vigilanza, per situazioni contrattuali fortemente controverse.

L’art. 76 identifica gli organi deputati alla certificazione. Essi sono:

 

  1. Gli Enti blaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale (questi ultimi con competenza su tutto il territorio nazionale);
  2. Le apposite commissioni istituite, secondo le indicazioni espresse dal D.M. 22 luglio 2004 del Ministro del Lavoro, presso gli Ispettorati territoriali del lavoro (che hanno ereditato i compiti delle soppresse Direzioni provinciali del lavoro) e le province (queste ultime non hanno, sostanzialmente, costituito l’organo certificatorio). La competenza è, unicamente, su base territoriale e non nazionale. Nel solo caso della competenza riservata alla Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro, le commissioni limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione istituita presso la predetta Direzione;
  3. Le Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate in un apposito albo (in questo caso la competenza a certificare è su base nazionale);
  4. La Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro del Ministero del Lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia proprie sedi in almeno due province anche in regioni diverse o per quei datori di lavoro, con unica sede di lavoro, associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzione certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del Lavoro, nell’ambito delle risorse umane e strumenti già operanti presso la predetta Direzione Generale. La competenza è, ovviamente, su base nazionale;
  5. I consigli provinciali dei consulenti del lavoro ex lege n. 12/1979 per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento. La competenza è su base territoriale e non nazionale

 

Nel corso degli anni il numero delle commissioni di certificazione è aumentato in maniera esponenziale e le parti che intendono certificare la genuinità del proprio rapporto hanno soltanto l’imbarazzo della scelta la quale, è bene ricordarlo con un pizzico di maliziosità, è orientata, nella stragrande maggioranza dei casi, verso quelle “a pagamento”, mentre quelle “gratuite”, istituite presso gli Ispettorati territoriali del Lavoro ove siedono il Dirigente dell’Ufficio ed i Direttori delle sedi INPS ed INAIL, sono sempre più deserte.

Dopo questa breve premessa entro nel merito di questa riflessione, parlando dei controlli degli organi di vigilanza che, potremmo distinguere in preventivi ed in successivi.

 

Controlli preventivi

L’art. 78, dopo aver ricordato che la procedura di certificazione ha natura volontaria e postula la presentazione di una istanza sottoscritta dalle parti ed inviata ad uno degli organi che, legittimamente, operano nell’ambito della certificazione, stabilisce, al comma 2, lettera a) che le c.d. “commissioni esterne” hanno l’onere di comunicare all’Ispettorato territoriale del Lavoro, l’avvio del procedimento. Quest’ultimo, a sua volta, deve inviare una precisa comunicazione agli Enti nei confronti dei quali la certificazione del contratto può produrre effetti (ad esempio, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate, ecc.). Tale passaggio è finalizzato a far sì che gli stessi possano presentare, qualora lo ritengano opportuno, le proprie osservazioni.

Ho parlato di volontarietà della certificazione (e andrebbe, sempre, ben verificata, la genuinità di quella espressa dal lavoratore). Ciò non è sempre così: infatti, laddove si presentano le ipotesi previste da D.P.R. n. 167/2011 con aziende e lavoratori autonomi che prestano la loro attività in ambienti sospetti di inquinamento o nei c.d. “luoghi confinati” i contratti di appalto, sia esterni che interni, i contratti di subappalto endoaziendali ed i contratti di lavoro flessibili relativi ai lavoratori impegnati, vanno obbligatoriamente certificati.

Chiusa questa breve parentesi e tornando al merito dei controlli preventivi va sottolineato come, secondo le indicazioni amministrative espresse sia del Ministero del Lavoro che dell’INL la comunicazione inviata agli Ispettorati competenti per territorio, non può limitarsi alla mera trasmissione della istanza di certificazione. Di qui la necessità, perché la partecipazione alla procedura preventiva sia sostanziale e non formale, che vengano trasmessi ulteriori elementi relativi al CCNL applicato, alle tariffe e per quanto riguarda la certificazione dei contratti di appalto (che rappresenta un punto critico della specifica procedura) ogni elemento ritenuto utile per verificare, “a priori”, la genuinità del contratto stesso, cosa di particolare importanza, sol che si pensi alla possibilità di emanare certificazioni da parte di Enti bilaterali che non sembrano in possesso dei requisiti richiesti dall’art. 2, comma 1, lettera h) del D.L.vo n. 276/2003 che riguardano la maggiore rappresentatività comparata a livello nazionale.

Sovente, ci si trova di fronte ad un quadro, a dir poco desolante: vi sono Enti bilaterali che nascono sulla scorta di contratti collettivi che riguardano pochissimi datori di lavoro ed il cui obiettivo principale è quello di fornire certificazioni, soprattutto di contratti di appalto e di subappalto “reclamizzate” su media locali, come strumento opponibile ai terzi, ivi compresi gli organi di vigilanza.

Su questo punto, l’INL con la circolare n. 4 del 12 febbraio 2018, invitò le proprie articolazioni periferiche a procedere nei confronti dei provvedimenti certificati da pseudo Enti, senza tenere conto delle preclusioni tipiche degli atti certificativi.

Tale indirizzo, a quel che è dato sapere, è stato seguito dal Tribunale di Trento, con la decisione n. 128 del 10 settembre 2020 e, nel corso del 2021 dal Tribunale di Chieti con la sentenza n. 81.

Di parere diverso è stata, invece, la Corte di Appello dell’Aquila, con la sentenza n. 1018/2022 che, riformando la precedente decisione del Tribunale di Chieti, ha affermato, richiamando il dettato letterale del comma 1 dell’art. 80, che l’Ispettorato territoriale del Lavoro doveva, prima di emettere il provvedimento di ordinanza-ingiunzione, aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione e, fallito lo stesso, aver fatto ricorso al TAR per vizi nel procedimento: l’ordinanza-ingiunzione doveva essere emanata soltanto dopo la eventuale sentenza a suo favore.

La mancata fornitura da parte delle commissioni di certificazione degli elementi essenziali per la certificazione e di quelli, eventualmente, richiesti in un momento successivo da parte dell’INL, comporta un vizio nel procedimento, cosa che può ben essere, fatta valere in sede di giustizia amministrativa, ai sensi dell’art. 80, comma 1.

Sempre restando al tema della certificazione dei contratti di appalto che, per i riflessi sulla organizzazione del lavoro e sulla qualità delle prestazioni richieste, appare la più importante, è opportuno, partendo dalla dizione dell’art. 84, cercare di individuare, anche in sede di controllo preventivo una serie di elementi che non possono essere ignorati dagli organi deputati affinchè gli stessi possa essere considerati genuini come:

 

  1. L’organizzazione dei mezzi, in relazione all’opera o al servizio dedotto in contratto, che deve essere in capo all’appaltatore;
  2. L’esercizio, da parte di quest’ultimo, del potere organizzativo e direttivo nei confronti del personale utilizzato nell’appalto, senza alcuna intromissione diretta od indiretta (anche attraverso mezzi informatici) da parte dell’appaltante;
  3. Il rischio d’impresa, a totale carico dell’appaltatore.

 

Sulla base di tali elementi, ricavabili dall’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003 il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 5/2011, focalizzò l’attenzione su alcuni indici che possono, così, riassumersi:

 

  1. La tipologia dell’attività appaltata;
  2. L’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione delle opere;
  3. La durata, determinata o determinabile, dell’attività appaltata;
  4. Le competenze dei lavoratori impiegati dall’appaltatore anche in relazione alle attrezzature o ai beni strumentali;
  5. Il know-how posseduto dall’appaltatore qualora si sia in presenza di appalti che richiedono lavori specialistici.

 

Un caso del tutto particolare riguarda la certificazione di contratti di appalto stipulati da consorzi che affidano l’esecuzione dei lavori ad imprese consorziate.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con nota n. 97 del 21 gennaio 2021, ebbe modo di affermare che la certificazione deve riguardare sia il consorzio che le imprese consorziate già individuate nel contratto, in quanto si tratta di soggetti che saranno chiamati a dare esecuzione all’appalto e nei cui confronti la certificazione avrà effetti. La certificazione non potrà, invece, avere effetti su imprese che abbiano aderito al consorzio successivamente e che siano intervenute in corso d’opera nella esecuzione dell’appalto.

La questione, a mio avviso, appare, oggi, ancora più importante rispetto al passato alla luce della “deregolamentazione” degli appalti pubblici con possibilità di un maggior numero di subappalti, cosa che deve allertare, anche per i problemi relativi alla sicurezza ed alla corretta gestione del rapporto di lavoro, gli organi di vigilanza.

 

Controlli successivi

In passato (si era nel 2009), sulla base di una indicazione amministrativa prassi fornita dal Ministro del Lavoro “pro-tempore, l’attività di vigilanza sui contratti certificati era molto limitata, in quanto, nella sostanza, si invitava il personale ispettivo a “by-passare” ogni forma di controllo a meno che non emergessero situazioni di rilevanza penale: ora, alla luce, della circolare dell’INL n. 9 del 1° giugno 2018, è stato affermato che la certificazione non vieta alcune verifiche e la nota enumera una serie di casi.

Ma, andiamo con ordine

Partiamo dall’attività ispettiva in pendenza di una certificazione “in progress”, ma non ancora conclusa (magari è stata presentata, unicamente, l’istanza o si sta procedendo alla interlocuzione delle parti).

Qui non sussiste alcun effetto preclusivo nei confronti dei terzi e, pertanto, gli ispettori del lavoro possono svolgere la loro attività informando l’organo presso il quale è incardinato “l’iter certificativo”, che è in corso l’accertamento. L’iter rimane sospeso fino al termine dell’accertamento.

Nello svolgimento della propria attività la commissione di certificazione interessata, come ricorda il D.M. del 21 luglio 2004, deve tener conto, sia nel momento della decisione che in quello della motivazione, delle osservazioni pervenute prima della conclusione del procedimento da parte del personale ispettivo.

C’è, poi il caso dei controlli ispettivi iniziati prima della presentazione di una istanza di certificazione.

Qui non si registra alcuna preclusione all’attività di vigilanza: la commissione, debitamente informata, dovrà sospendere l’attività di certificazione fino al termine della conclusione degli accertamenti che, ovviamente, possono concludersi, senza alcun ostacolo, con la emanazione dei provvedimenti necessari. Sul personale ispettivo incombe, ovviamente, l’onere della comunicazione alla commissione dell’esito degli accertamenti.

C’è, inoltre, la questione relativa alla impugnazione della certificazione, qualora, nel corso degli accertamenti, venga esibita una certificazione già effettuata.

L’art. 80 afferma che gli effetti certificativi permangono, anche verso i terzi fino a quando non sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, con la sola ovvia eccezione degli eventuali provvedimenti cautelari del giudice.

Con un occhio sempre rivolto all’appalto certificato che, a giudizio dell’ispettore, non appare genuino, l’INL con la nota 3861 del 19 aprile 2019 ha fornito alcune linee di indirizzo agli organi di vigilanza che possono così sintetizzarsi:

 

  1. Verifica dei soggetti, il più delle volte collettivi, atteso che i “punti dolenti” riguardano gli Enti bilaterali) che hanno dato vita all’ tale organismo: il più delle volte sono soggetti sconosciuti sul piano della rappresentanza datoriale e sindacale in quanto non dobbiamo dimenticare che tra i quasi 1.000 contratti collettivi depositati presso il CNEL, la gran parte sono espressione di associazioni datoriali e dei lavoratori di dubbia rappresentanza;
  2. Verifica della procedura seguita in sede di emanazione del provvedimento, con particolare riguardo alla documentazione inviata all’ITL competente per territorio che, nella sostanza è quella descritta pocanzi e che non può limitarsi al mero invio dell’istanza sottoscritta dalle parti;
  3. Con riferimento a quanto contenuto sub b) appare importante la verifica circa la sottoscrizione dell’istanza da parte di entrambi i contraenti, il contenuto della stessa e gli eventuali precedenti accertamenti ispettivi in capo all’una o all’altra parte del contratto di appalto o delle altre tipologie contrattuali che si intendono certificare.

 

La nota n. 3861 pone l’accento sul fatto che la richiesta di certificazione del contratto di appalto avviene sovente, dopo che sia trascorso molto tempo dall’inizio dell’esecuzione del contratto. Di conseguenza, pur in presenza di un contratto certificato, gli organi di vigilanza possono, per il periodo “non coperto,” procedere con l’adozione dei provvedimenti sanzionatori e di recupero contributivo, in quanto alla certificazione del contratto di appalto di cui detta la disciplina l’art. 84 non trova applicazione quanto previsto dall’art. 79, comma 2, circa la “retrocedibilità” degli effetti dal momento in cui è iniziato il contratto.

Nella redazione del verbale unico conclusivo l’ispettore del lavoro dovrà, in via generale, dichiarare che l’efficacia del disconoscimento dell’atto certificato (vizi riconducibili alla erronea qualificazione del contratto, difformità tra contratto negoziale certificato e la sua successiva attuazione, non genuinità dell’appalto o del subappalto, ecc.) è condizionata al positivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione avanti alla commissione che ha certificato l’atto o, in caso di mancato accordo, all’esito dell’impugnazione prevista ex art. 80. La scelta della giurisdizione (giudice ordinario o TAR) dipende, ovviamente, dal vizio specifico che si intende far valere potendo far ricorso al giudice amministrativo per vizi nel procedimento o eccesso di potere. Nel caso in cui il ricorso sia accolto, il verbale unico dispiega i propri effetti, che erano rimasti sospesi, compresi quelli di natura contributiva o fiscale.

Fin qui, quella che potremmo definire la ordinarietà dei controlli ispettivi alla luce di quanto previsto dal D.L.vo n. 276/2003.

E’, infine, opportuno ricordare come gli ispettori del lavoro (e non soltanto essi) abbiano la qualifica ed  i poteri di polizia giudiziaria.

Cosa significa ciò?

E’ presto detto: qualora nel corso della loro attività, pur in presenza di un contratto certificato, dovessero emergere indizi di reato, hanno l’obbligo, in base alle disposizioni vigenti, di informare la Procura della Repubblica competente per territorio. E’ il caso che sempre più spesso si registra nei contratti di appalto o di subappalto (non soltanto nell’edilizia ma anche in altri settori) ove emergono reati con indici di sfruttamento che portano a configurare il caporalato (art. 603-bis c.p.) o la somministrazione fraudolenta (art. 38-bis del D.L.vo n. 81/2015): in tali ipotesi non va seguita la procedura prevista dall’art. 80 sulla quale ci si è soffermati pocanzi e si resta in attesa delle determinazioni della Procura rispetto alla quale non può essere fatta valere dal datore di lavoro, la certificazione rilasciata da un organismo abilitato.

 

Bologna, 2 ottobre 2023

Eufranio MASSI

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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