I diritti del padre dimissionario dopo il congedo di paternità
L'Editoriale di Eufranio Massi
L’Inps, con circolare n. 32 del 20 marzo 2023, ha fornito le proprie indicazioni di prassi relative alla fruizione del trattamento di NASPI in favore del lavoratore che ha presentato le dimissioni dal posto di lavoro nel periodo in cui ha fruito del congedo obbligatorio per paternità ex art. 27-bis del D.L.vo n. 151/2001. La norma è entrata in vigore il 13 agosto 2022 e, finora, l’Istituto aveva respinto le domande di disoccupazione presentate (ora le accoglie, in presenza dei requisiti richiesti dalla norma): la nota amministrativa dell’INPS è stata emanata su parere conforme del Ministero del Lavoro. La circolare, prima di soffermarsi sulle disposizioni che riconoscono il trattamento di disoccupazione ai lavoratori interessati e, dopo un richiamo alla precedente n. 122/2022, richiama tutte le disposizioni innovative introdotte dal D.L. n. 105/2022, ivi compresa quella relativa al divieto di licenziamento ed alla procedura “rafforzata” per le dimissioni fino a quando il bambino compie un anno
Per avere un quadro completo delle novità e degli effetti operativi che ricadono sul datore di lavoro, credo che sia necessario fare una sintesi di cosa ha significato per la tutela della genitorialità il D.L.vo n. 105/2022 che ha introdotto nel “corpus” del D.L.vo n. 151/2001 le norme che si commentano.
Con quest’ultimo provvedimento il congedo per paternità è divenuto ancora più ampio, in quanto si riconoscono dieci giorni di congedo per paternità obbligatori fruibili nel periodo compreso tra i due mesi antecedenti la data presunta del parto della moglie, della fidanzata o della compagna ed i cinque mesi successivi all’evento, al quale si correla il divieto di licenziamento per tutto il periodo intercorrente dal primo giorno di congedo fino a quello del compimento di un anno di età del bambino. Tutto ciò si inquadra nella valorizzazione del diritto alla genitorialità ed è finalizzato ad una responsabilità condivisa nella cura della famiglia che va a crescere.
Le stesse tutele e gli stessi diritti sono riconosciuti in caso di adozione o di affidamento, per i quali valgono le indicazioni fornite nella circolare n. 122 dello scorso anno.
Ma, cosa succede se il parto, l’adozione o l’affidamento sono plurimi?
Non c’è una moltiplicazione correlata al numero dei bambini, in quanto il congedo “godibile” viene fissato in venti giorni complessivi.
Le nuove disposizioni non toccano l’art. 28 del D.L.vo n. 151/2001 relativo alle tutele ed alla garanzie concernenti il congedo per paternità riconosciuto al padre in sostituzione della madre in presenza di situazioni particolarmente gravi (morte o grave malattia, abbandono del tetto coniugale, riconoscimento giudiziario di unico affidatario del bambino) che resta confermato in ogni sua parte, come resta confermato il congedo per paternità alternativo a quello della madre (con rinuncia della stessa) nei limiti di un giorno, peraltro poco utilizzato fino ad oggi.
Ma cosa afferma il nuovo art. 27-bis del D.L.vo n. 151/2001?
Esso parte con la declinazione di un diritto che, tuttavia, per essere pieno, deve essere esercitato e, quindi, richiede un comportamento attivo del lavoratore, in quanto il datore di lavoro non è tenuto a sapere della imminente nascita, né possiede documentazioni e mezzi per conoscerlo.
Il dipendente, nel periodo compreso tra i due mesi antecedenti la data presunta del parto e fino ai cinque mesi successivi, si può astenere dalle prestazioni per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili ad ore: essi possono essere utilizzati anche in via continuativa. La contrattazione collettiva, anche aziendale, può prevedere trattamenti di miglior favore, cosa che, peraltro, si è già verificata in alcuni accordi di secondo livello. Il congedo è fruibile, nello stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio: tale periodo (esiste un chiarimento dell’INPS, intervenuto con la circolare n. 42/2021), parte dalla ventottesima settimana di gestazione ed arriva ai primi dieci giorni successivi alla nascita.
Alcuni chiarimenti si rendono, a questo punto necessari:
a. Il diritto riguarda tutti i lavoratori subordinati pubblici e privati, che si trovano nelle condizioni previste dalla norma, a prescindere dalla tipologia contrattuale di cui sono titolari, anche se a termine o a tempo parziale. L’art. 27-bis non trova applicazione nei confronti dei lavoratori con rapporto di collaborazione ex art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 o ex art. 409, numero 3, cpc, dei contratti d’opera ex art. 2222 c.c., dei titolari di rapporti di tirocinio, borse di studio, stage;
b. Tutti i datori di lavoro sono obbligati a rispettare la disposizione che, in caso di inottemperanza, comporta l’irrogazione di cospicue sanzioni anche di natura penale;
c. I giorni di congedo obbligatorio si computano per intero anche se in quella giornata è prevista una prestazione ad orario ridotto come, sovente accade nel settore pubblico ove vi sono giornate “corte” e giornate lavorative “lunghe” con rientri pomeridiani o nel settore privato ove si possono presentare, per motivi diversi, giornate lavorative ad orario ridotto;
d. La norma si applica anche ai padri che fruiscono del congedo di paternità ex art. 28;
e. Il congedo si può fruire anche in contemporanea con quello della madre lavoratrice.
Ma, quale iter deve seguire il dipendente per fruire del congedo di paternità?
Il diritto si attiva attraverso una comunicazione scritta inviata al datore di lavoro, con un anticipo non inferiore a cinque giorni finalizzata all’evento nascita ed alla data presunta del parto, con l’indicazione del giorno o dei giorni nei quali intende usufruire del congedo: la contrattazione collettiva può stabilire condizioni di miglior favore anche in relazione al tempo della richiesta. La richiesta scritta può essere sostituita dalla utilizzazione, ove presente in azienda, del sistema informativo per la richiesta e la gestione delle assenze.
La norma appena richiamata necessita di un chiarimento: cosa significa affermare che il congedo di paternità è obbligatorio (l’aggettivo si trova, peraltro, soltanto nella rubrica dell’articolo)?
Essa va interpretata nel senso che per il datore è impossibile negare il congedo a seguito della richiesta, fatto salvo, a mio avviso, il caso di forza maggiore per il quale è possibile un breve rinvio. Tra l’altro il rispetto della disposizione è coperto anche da una sanzione di natura penale.
A differenza di ciò che accade con la lavoratrice, il datore potrebbe non essere a conoscenza del futuro lieto evento (tra l’altro non necessariamente a seguito di matrimonio) e, comunque, per la fruizione del congedo occorre che l’interessato attivi, concretamente, il diritto e magari, in caso di fruizione nel periodo antecedente la nascita, con l’indicazione della data presunta del parto ricavabile da una certificazione medica relativa alla futura madre.
Per quel che riguarda il trattamento economico l’art. 29 del D.L.vo n. 151/201, ora riformato dal D.L.vo n. 105/2022, afferma che l’indennità giornaliera è pari al 100% della retribuzione e che sono applicabili tutte le regole previste per il congedo di maternità dall’art. 22, commi 2-7 e dall’art. 23.
Il congedo di paternità ha effetti anche sulla normativa relativa al divieto di licenziamento previsto dall’art. 54 che, infatti al comma 7 si è “arricchito” con il congedo obbligatorio per paternità.
Esso sussiste per la durata dello stesso (ossia a partire dal primo giorno di fruizione) e fino al compimento di un anno di età del bambino. Ovviamente, qualora il lavoratore interessato non abbia utilizzato il congedo obbligatorio di paternità, il divieto di licenziamento è soltanto di un anno che parte dal momento della nascita che va comunicata al proprio datore.
Ci sono, tuttavia, eccezioni al divieto di licenziamento che sono le stesse che riguardano la lavoratrice madre e che sono ben definite all’art. 54.
La casistica è stata ampiamente oggetto di decisioni giudiziali che, peraltro, hanno, ovviamente, riguardato la madre nel “periodo protetto”. Le criticità esistenti per la posizione del padre ci diranno in futuro se tali indirizzi espressi per la donna varranno anche per quest’ultimo. Mi riferisco, essenzialmente, all’obbligo del datore di lavoro di pagare il contributo di ingresso alla NASPI, in presenza di un ex dipendente che si dimette perché alcuni giorni dopo deve essere assunto da altra azienda, o all’obbligo di pagare l’indennità di preavviso per un lavoratore (magari con qualifica dirigenziale) che si dimette per essere assunto, pressochè immediatamente, da altra impresa. Vedremo se su tali disposizioni (che vanno rispettate) sorgerà un contenzioso e quale sarà la parola del giudice che si troverà a decidere in base ad una norma che nasce per la tutela della genitorialità e sulla figura della donna che si dimette per restare a casa a curare la prole.
Torno, ora, alle ipotesi elle quali il provvedimento di licenziamento è possibile anche nel c.d. “periodo protetto” che sono:
a. Colpa grave costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro: la dottrina e la giurisprudenza, con riferimento alla lavoratrice madre, hanno qualificato tale concetto come “una colpa soggettivamente più qualificata, della mera giusta causa, in relazione a situazioni più complesse non rapportabili a quelle previste dal CCNL”;
b. Cessazione, per scadenza del termine, del contratto a tempo determinato o della prestazione per il quale il lavoratore è stato assunto. La disposizione riguarda non soltanto i contratti a termine, ma anche la somministrazione a tempo determinato, le prestazioni occasionali accessorie ed il lavoro intermittente a tempo determinato;
c. Cessazione dell’attività dell’azienda: si deve trattare di una cessazione totale e non della chiusura di una filiale o di un reparto. Se si verifica una chiusura parziale (reparto o filiale) il datore è obbligato a trasferire il padre in altra unità rimasta attiva. Nel caso in cui si attui una cessione di azienda o ramo di essa, secondo la previsione contenuta nell’art. 2112 c.c., il rapporto continua, senza alcuna interruzione, con il cessionario;
d. Esito negativo del patto di prova che è stato riformato in alcune parti dall’art. 7 del D.L.vo n. 104/2022. Vale la pena di ricordare come il congedo per paternità possa essere richiesto e fruito anche durante la prova la quale, per il principio di effettività, deve essere prorogata per i giorni di assenza dovuti a tale causale.
Durante il periodo di congedo è vietato sospendere il lavoratore (ma credo che, in tale definizione, non rientrino le sospensioni di natura disciplinare applicate secondo le regole stabilite dall’art 7 della legge n. 300/1970 e dal CCNL che possono essere irrogate, dopo il rientro in azienda del dipendente), fatto salvo il caso in cui ad essere sospesa sia l’attività dell’impresa o del reparto dotato di autonomia funzionale (quindi, con ricorso ad uno degli ammortizzatori sociali previsti dal D.L.vo n. 148/2015). Ciò significa che, in caso di integrazione salariale in un reparto od ufficio non dotato di autonomia funzionale, il lavoratore padre dovrebbe essere spostato in altro reparto od ufficio, anche con mansioni inferiori, con il mantenimento della retribuzione di provenienza. Del resto, se al padre in congedo vanno applicate le disposizioni che riguardano la madre, quest’ultima fin dal 1976 (art. 3, comma 5, del D.P.R. n. 1026) si applica alla lavoratrice madre.
Il licenziamento è adottato in tale periodo è nullo sia alla luce dell’art. 18 della legge n. 300/1970 che dell’art. 2 del D.L.vo n. 23/2015.
La norma genera anche altri interrogativi, senz’altro superabili, rispetto ai quali sarebbe necessario un chiarimento ministeriale:
a. Il datore di lavoro a fronte di un lavoratore neo assunto (o da assumere) potrebbe chiedere al lavoratore, tra le varie informazioni, rispettando le norme di tutela della riservatezza, se è genitore e, in caso positivo, l’età del bambino e se ha già fruito, anche in misura parziale (magari nel precedente rapporto di lavoro) del congedo obbligatorio di paternità, in quanto, in presenza delle condizioni sopra dette, scatta la tutela in materia di licenziamento? E’ un punto molto controverso, rispetto al quale i confini con le norme di tutela della privacy appaiono molto sottili;
b. In caso di dimissioni, va seguita la procedura “rafforzata”, con le stesse che vanno “confermate”, entro un mese, avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. Alla lavoratrice ed al padre che ha fruito del congedo di paternità ex art. 28 spettano le indennità previste da disposizioni di legge e contrattuale in caso di licenziamento (indennità di preavviso, NASPI) e non sono tenuti al preavviso. Queste indennità spettano anche al lavoratore che ha fruito del congedo ex art. 27-bis come già chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 9550 del 6 settembre 2022 ed ora confermato dalla circolare INPS n. 32 del 20 marzo 2023, emanata con parere conforme del Ministero del Lavoro. Alcune associazioni datoriali hanno espresso forti criticità per una norma che impone il pagamento del periodo di preavviso e il contributo di ingresso alla NASPI in favore di un dipendente che ha fruito, anche parzialmente, del congedo di paternità e che si dimette entro un anno dalla nascita del bambino per iniziare una nuova esperienza lavorativa alle dipendenze di altra impresa. Va ricordato che il ticket di ingresso alla NASPI (commi da 31 a 35 della legge n. 92/2012) va pagato entro il 16 del mese successivo alle dimissioni “confermate”, a prescindere dalla circostanze che il dipendente cessato chieda o meno il trattamento: il pagamento va effettuato in tutti i casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato che darebbero, sia pure potenzialmente, il diritto alla disoccupazione. Per completezza di informazione ricordo che per l’anno in corso l’importo massimo del contributo di ingresso alla NASPI per un dipendente con tre anni o più anni di anzianità è pari a 1.809,30 euro (603,10 per ogni dodici mesi).
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