Congedo di paternità: le sanzioni dell’Ispettorato del Lavoro
L'Editoriale di Eufranio Massi
Ho già avuto modo di trattare su questo blog, in data 24 agosto u.s., il tema del congedo obbligatorio di paternità alla luce delle novità introdotte dal D.L.vo n. 105/2022: ora ci ritorno, atteso che, nel frattempo, alcuni approfondimenti sono avvenuti, soprattutto alla luce degli interventi dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro cosa avvenuta, prima, con la nota n. 9550 del settembre scorso e, ora, con la successiva n. 2414 del 6 dicembre della Direzione Centrale del Coordinamento Giuridico con la quale viene definito l’apparato sanzionatorio in caso di violazione delle disposizioni.
La riflessione che segue, riprenderà, ovviamente, i temi e le parole già oggetto di esame del precedente scritto, arricchendoli, di ulteriori notazioni ed approfondimenti.
Prima di entrare nel merito dei contenuti delle nuove disposizioni, occorre sottolineare come le stesse non tocchino, ad esempio, il congedo per paternità riconosciuto (art. 28 del D.L.vo n. 151/2001) al padre in sostituzione della madre in presenza di situazioni particolarmente gravi (morte o grave malattia, abbandono del tetto coniugale, riconoscimento giudiziario di unico affidatario del bambino) che resta confermato.
Per ben comprendere il significato della nuova norma occorre leggere, con attenzione ciò che afferma l’art. 27-bis del D.L.vo n. 151/2001, introdotto, nel “corpus” di quest’ultimo, dall’art. 2, comma 1, lettera c) del D.L.vo n. 105/2022: esso parte con una affermazione di diritto (che, per essere esercitato, va richiesto). Il padre lavoratore, dai due mesi antecedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, si astiene dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili ad ore, da utilizzare anche in via continuativa. Il congedo è fruibile, nello stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio: tale periodo, come ricordato dall’INPS con la circolare n. 42/2021, decorre dalla ventottesima settimana di gestazione fino ai primi dieci giorni successivi alla nascita. Le disposizioni appena citate valgono anche per il padre adottivo od affidatario, attesa la equiparazione, con la normativa sulla maternità, operata dalla Corte Costituzionale e l’esplicito richiamo al punto 4 dell’art. 27-bis. In tali ultimi casi il periodo di fruizione del congedo inizia con l’ingresso del minore nella famiglia.
Questo primo capoverso merita alcuni chiarimenti che possono così sintetizzarsi:
a. Il diritto scatta per tutti i lavoratori subordinati, pubblici e privati, a prescindere dalla tipologia contrattuale di cui sono titolari (contratto a tempo indeterminato a tempo pieno o parziale, contratto a tempo determinato a tempo pieno o part-time, contratto di somministrazione, apprendistato in tutte le forme previste dal nostro ordinamento, contratto di lavoro intermittente, prestazioni occasionali accessorie ex art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, rapporti in agricoltura e rapporti di lavoro domestico);
b. La norma non esclude alcun datore di lavoro dall’obbligo del rispetto della disposizione;
c. I giorni di congedo obbligatorio sono computabili interamente anche se in quella giornata era prevista una prestazione ad orario ridotto;
d. La norma si applica anche ai padri che fruiscono del congedo di paternità ex art. 28 per casi particolarmente gravi che riguardano la madre (morte, malattia grave, ecc.). Vale la pena di ricordare come il rifiuto, l’opposizione o ogni ostacolo connesso al diritto di assenza dal lavoro è punito penalmente (art. 18 del D.L.vo n. 151/2001 con l’arresto fino a sei mesi) e con la sanzione del mancato rilascio della certificazione relativa alla parità di genere ex art. 46-bis del D.L.vo n. 198/2006, qualora ciò sia avvenuto nei due anni antecedenti alla richiesta di certificazione. Tale sanzione si estende anche alle eventuali analoghe certificazioni previste dagli ordinamenti delle Regioni e delle Province autonome;
e. Il congedo è fruibile anche in contemporanea con quello della madre lavoratrice.
Il Legislatore delegato si è preoccupato anche di quantificare il numero dei giorni a disposizione in caso di parto plurimo (o anche adozione o affidamento plurimo): il punto 2 del comma 1 lo stabilisce in venti giorni lavorativi.
L’articolato dell’art. 27-bis prosegue stabilendo le modalità che il lavoratore deve seguire per fruire del congedo di paternità.
Esso deve comunicare per iscritto al proprio datore, con un anticipo non inferiore ai cinque giorni, in relazione all’evento nascita e sulla base della data presunta del parto, il giorno o i giorni nei quali intende usufruire del congedo: la contrattazione collettiva può stabilire condizioni di miglior favore anche in relazione al tempo della richiesta. La richiesta scritta può essere sostituita dalla utilizzazione, ove presente in azienda, del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze, come ricorda anche la nota n. 2414 dell’INL.
La norma appena descritta impone un chiarimento relativo al significato di obbligatorietà del congedo: essa va intesa nel senso che per il datore è impossibile negare il congedo a seguito della richiesta, atteso che, a differenza di ciò che accade con la lavoratrice, egli potrebbe non essere a conoscenza della nascita del bambino e, comunque, per la fruizione del congedo occorre che l’interessato attivi il diritto, magari, in caso di fruizione nel periodo antecedente la nascita, con l’indicazione della data presunta del parto ricavabile da una certificazione medica. Su quest’ultimo punto, tuttavia, la nota dell’INL n. 2414 non dice nulla, non chiedendo neanche una dichiarazione sostitutiva ex D.P.R. n. 445/2000, cosa che sarebbe stata, quantomeno, opportuna.
Per quel che concerne il trattamento economico l’art. 29 del D.L.vo n. 151/201, ora riformato dal D.L.vo n. 105/2022, afferma che l’indennità giornaliera, a carico dell’INPS, è pari al 100% della retribuzione e che sono applicabili tutte le regole previste per il congedo di maternità dall’art. 22, commi 2-7 e dall’art. 23. Sul punto sarà opportuno conoscere le determinazioni dell’Istituto e gli adempimenti conseguenti.
Ma, cosa succede se il datore di lavoro rifiuta il congedo oppure ostacola l’esercizio del diritto?
La nota n. 2414 dell’INL richiama l’art. 31-bis che punisce tali comportamenti con una sanzione amministrativa compresa tra 516 e 2.582 euro e, qualora rilevati nei due anni antecedenti alla richiesta di certificazione della parità di genere ex art. 46-bis del D.L.vo n. 198/2006 o di analoghe certificazioni previste dalla normativa delle Regioni e Province Autonome, impediscono il rilascio delle relative certificazioni (questa ulteriore sanzione, come vedremo, accompagna anche le altre violazioni n materia). La sanzione pecuniaria sopra indicata è diffidabile ex art. 13 del D.L.vo n. 124/2004, qualora il lavoratore sia ancora in condizione di fruire il congedo. L’INL si sofferma anche sulle verifiche degli ispettori, affermando che non può ritenersi di ostacolo la richiesta datoriale di fruire del congedo in tempi compatibili con il preavviso di cinque giorni, a meno che un eventuale parto anticipato rispetto alla data presunta non consenta al lavoratore di rispettare il preavviso.
Il congedo di paternità si riverbera anche sulla normativa concernente il divieto di licenziamento previsto dall’art. 54 che, infatti al comma 7 si è “arricchito” con il congedo obbligatorio per paternità. Esso si applica per la durata dello stesso (ossia a partire dal primo giorno di fruizione) e fino al compimento di un anno di età del bambino: tale appare l’interpretazione letterale della norma.
Ci sono, tuttavia, eccezioni al divieto di licenziamento che sono le stesse che riguardano la lavoratrice madre:
a. Colpa grave costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro: secondo l’orientamento della dottrina e della giurisprudenza, consolidatosi per la lavoratrice madre, si tratta di “una colpa soggettivamente più qualificata in relazione a situazioni più complesse non rapportabili a quelle previste dal CCNL;
b. Cessazione, per scadenza del termine, del contratto a tempo determinato (del contratto intermittente a tempo determinato e della somministrazione a termine) o della prestazione per il quale il lavoratore è stato assunto;
c. Cessazione dell’attività dell’azienda: si deve trattare di una cessazione totale e non della chiusura di una filiale o di un reparto, perché, in tal caso, il lavoratore deve essere trasferito nella unità rimasta aperta anche con un cambio di mansioni, ferma restando la retribuzione acquisita;
d. Esito negativo del patto di prova che deve risultare da atto scritto e che deve rispettare anche le nuove indicazioni inserite nell’art. 7 del D.L.vo n. 104/2022.
Durante il periodo di congedo è vietato sospendere il lavoratore (ma credo che, in tale definizione, non rientrino le sospensioni di natura disciplinare applicate secondo le regole stabilite dall’art 7 della legge n. 300/1970 e dal CCNL), fatto salvo il caso in cui ad esser sospesa sia l’attività dell’impresa o del reparto dotato di autonomia funzionale (quindi, con ricorso ad uno degli ammortizzatori sociali previsti dal D.L.vo n. 148/2015).
Il licenziamento è nullo, con tutte le conseguenze del caso, sia alla luce dell’art. 18 della legge n. 300/1970 che dell’art. 2 del D.L.vo n. 23/2015.
L’inosservanza delle disposizioni contenute nell’art. 54, ricorda l’INL, è punita con una sanzione amministrativa compresa tra 1.032 e 2.582 euro, senza la possibilità, per il trasgressore, di essere ammesso al pagamento in misura ridotta ex art. 16 della legge n. 698/1981, con la ulteriore sanzione del mancato rilascio della certificazione per la parità di genere di cui si è parlato pocanzi.
A conclusione di questa breve riflessione e, in attesa di ulteriori approfondimenti, si possono trarre alcune conclusioni:
a. La gestione del congedo di paternità obbligatorio può non essere facile, atteso che il lavoratore padre, a differenza della madre, non è tenuto a comunicare al datore di lavoro di essere diventato genitore;
b. La norma è in vigore dal 13 agosto 2022: ciò significa che trova applicazione anche a quelle situazioni nelle quali il lavoratore è divenuto papà da meno di cinque mesi e che intende fruire dei giorni di congedo obbligatori entro la data stabilita dal computo previsto dalla legge. Il divieto di licenziamento opera (con le eccezioni sopra indicate) fino al giorno del compimento di un anno di età del bambino;
c. In caso di dimissioni, va seguita la procedura “rafforzata” con le stesse che vanno “confermate”, entro un mese, avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. Alla lavoratrice ed al padre che ha fruito del congedo di paternità ex 27-bis e art. 28 spettano le indennità previste da disposizioni di legge e contrattuale in caso di licenziamento (indennità di preavviso, NASPI) e non sono tenuti al preavviso. Tale indicazione amministrativa si desume, chiaramente, sia dalla nota n. 9550/2022 che dalla successiva n. 2414. Al momento, tuttavia, l’INPS che eroga il trattamento di disoccupazione, non si è ancora pronunciata, circa il riconoscimento della NASPI che, invece, viene corrisposta al padre dimissionario ex art. 28.
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