La prescrizione dei crediti da lavoro secondo la Cassazione

Eufranio Massi, nel suo Editoriale settimanale, affronta il tema della prescrizione dei crediti del lavoratore

La prescrizione dei crediti da lavoro secondo la Cassazione

Con una recentissima sentenza, la n. 26246, depositata il 6 settembre 2022, la Corte di Cassazione fornisce la risposta ad un problema, quello della prescrizione dei crediti del lavoratore ove, le certezze antecedenti, almeno per quel che concerne i lavoratori già tutelati dall’art. 18 della legge n. 300/1970, erano venute, progressivamente, meno, per effetto delle modifiche introdotte, a partire dal 18 luglio 2012, dalla legge n. 92 e successivamente dal D.L.vo n. 23/2015 sulle c.d. “tutele crescenti”.

Nel corso di questi anni, nel silenzio del Legislatore, la giurisprudenza di merito aveva prospettato decisioni tra loro contrastanti e la sentenza della Corte ha avuto, quanto meno, il pregio di fissare alcuni punti fermi.

Secondo l’indirizzo dottrinario prevalente tutto quello che viene corrisposto dal datore con una periodicità annuale o infra annuale si prescrive entro cinque anni (art. 2946 c.c.): ci si riferisce, alle retribuzioni, alle differenze retributive, alle competenze correlate alla cessazione del rapporto di lavoro, al compenso per lavoro straordinario, alle festività coincidenti con la domenica. La prescrizione decennale opera, invece, in alcune rivendicazioni residuali come quelle derivanti dal riconoscimento del premio di invenzione o, comunque, da titoli autonomi rispetto alla retribuzione stipendiale.

In passato, la Corte Costituzionale, con la decisione n. 63/1966, aveva ritenuto che la prescrizione non potesse decorrere in costanza di rapporto di lavoro laddove il lavoratore si trovasse in una situazione di particolare subalternità materiale e psicologica (c.d. “metus”) e dove l’eventuale esercizio del diritto avrebbe potuto portare ad un licenziamento.

Successivamente, con due altre sentenze ma, soprattutto, con la seconda, la n. 174/1972, la Consulta (era già in vigore la legge n. 300/1970) affermava che esistevano alcuni rapporti di lavoro dotati di stabilità reale e non obbligatoria, garantita dalla reintegra (art. 18), applicabile in tutti quei casi in cui il licenziamento era affetto da vizi. In questi casi, il differimento dei termini prescrizionali non era più giustificabile e, di conseguenza, esso poteva decorrere anche in costanza di rapporto.

Lungo tale solco interpretativo si sono mosse per anni sia la dottrina che la giurisprudenza e ciò è accaduto fino al 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge n. 92, ma, da quel giorno, allorché fu stabilita, in diversi casi, l’erogazione di una indennità risarcitoria in luogo della reintegra in caso di licenziamento illegittimo, la stabilità del posto di lavoro come criterio identificativo ai fini della decorrenza della prescrizione, è venuta meno.

La mancanza della tutela “reale” si è ampliata ancora di più a partire dal 7 marzo 2015 con il D.L.vo n. 23/2015 ove l’art. 3 ha previsto l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo per giusta causa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo, relegando la reintegra nel posto di lavoro, sostanzialmente, alle ipotesi del licenziamento disciplinare con motivazione insussistente, e nei casi gravi previsti dall’art. 2 (recesso in violazione di norme di legge, licenziamento discriminatorio o ritorsivo, licenziamento di portatore di handicap con difetto di giustificazione). La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194/2018, non ha toccato il principio risarcitorio, ma ne ha dato una interpretazione diversa sostenendo che nella determinazione della indennità il giudice può non attenersi al solo criterio dell’anzianità ma, motivandolo, lo può integrare, ai fini della determinazione delle mensilità riconosciute, con altri criteri desumibili anche dall’art. 8 della legge n. 604/1966.

Ma, cosa ha detto la Cassazione?

Essa ha stabilito cheil rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del D.L.vo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità”.

La reintegra, quindi, pur in un quadro operativo ove sia la Cassazione che la Consulta, negli ultimi tempi, sembrano allargare le strade per la ricostituzione del rapporto di lavoro, ha assunto una caratteristica recessiva.

Ma, concretamente, cosa consegue da tale principio?

Nei rapporti di lavoro tuttora in essere alla data odierna, sono prescritti soltanto gli eventuali crediti maturati prima del 18 luglio 2007 (cinque anni prima dell’entrata in vigore della legge n. 92) e quelli, eventuali (coperti dalla prescrizione decennale) antecedenti il 18 luglio 2002. Ovviamente, le nuove modalità di calcolo del regime prescrizionale non si applicano, soltanto, a chi è, tuttora, dipendente ma anche a chi ha cessato il proprio rapporto nell’ultimo quinquennio.

Tutto questo, in prospettiva, potrebbe portare a controversie per crediti lontani nel tempo (quantomeno dal luglio 2007) con i dipendenti in forza, in situazioni ove, il datore potrebbe avere difficoltà a trovare prove ed elementi necessari per una eventuale difesa in sede giudiziale, avendo ben presente che la prescrizione non decorrerà fino alla cessazione del contratto di lavoro e che maturerà nel quinquennio successivo.

Di qui, a mio avviso, la necessità per le aziende e per i professionisti che le assistono, di conservare nel tempo la documentazione e di monitorare, costantemente, la regolarità dei rapporti in essere.

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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