Le differenze contributive da versare per le nuove aliquote delle integrazioni salariali

Eufranio Massi, nel suo Editoriale settimanale, affronta il tema delle nuove aliquote delle integrazioni salariali

Le differenze contributive da versare per le nuove aliquote delle integrazioni salariali

La riforma degli ammortizzatori sociali realizzatasi, a partire dal 1° gennaio 2022, con le novità introdotte dalla legge di bilancio nel “corpus” del D.L.vo n. 148/2015, ha raggiunto un obiettivo, senz’altro, condivisibile: quello della copertura di tutti i lavoratori subordinati, attraverso le integrazioni salariali, in caso di sospensione dell’attività del datore o in caso di riduzione dell’orario di lavoro. Tutto questo utilizzando la CIGO, la CIGS, riveduta e corretta, i contratti di solidarietà, il FIS (la cui gestione operativa, in termini di erogazioni e di contribuzione ricade sotto l’INPS), i Fondi bilaterali e quelli alternativi ed i Fondi anche intersettoriali delle Province Autonome di Trento e Bolzano.

L’INPS ha fornito le proprie indicazioni amministrative con la circolare n. 76 del 30 giugno u.s. (quindi, a distanza di sei mesi), integrate il giorno successivo dal messaggio n. 2637.

Ho già avuto modo di commentare le indicazioni di prassi, con l’indicazione delle varie aliquote in essere nel corso del 2022, in un articolo di approfondimento pubblicato su questo blog in data 6 luglio e ad esso rimando, ricordando che le indicazioni dell’Istituto non riguardano la contribuzione dovuta ai Fondi di solidarietà bilaterali ed a quelli alternativi, tenuti, entro la fine dell’anno, ad effettuare alcune operazioni di adeguamento per mettersi in regola con i cambiamenti avvenuti. In ogni caso va ricordato, per questi ultimi, il contenuto dell’art. 40-bis del D.L.vo n. 148/2015 il quale afferma che la regolarità dei versamenti contributivi, a partire dal 1° gennaio 2022, ai Fondi di cui agli articoli 26, 27 e 40 è condizione per il rilascio del Documento Unico di Regolarità contributiva (DURC).

Questa breve premessa si è resa necessaria per inquadrare alcuni problemi che le aziende sono costrette ad affrontare e risolvere entro il mese di settembre, atteso che debbono definire e versare i contributi relativi ai trattamenti di integrazione salariale relativi al periodo gennaio-giugno 2022.

Quello che balza, da subito, agli occhi riguarda le operazioni di conguaglio relativo al primo semestre per quei lavoratori che, a vario titolo (licenziamento, dimissioni, risoluzioni consensuali, fine contratto, ecc.) hanno risolto il proprio rapporto di lavoro. Nelle sue note amministrative l’INPS non ha detto nulla in proposito ed il dubbio da risolvere è rimasto tale per molte aziende: il tutto, con adempimenti amministrativi anche pesanti se si pensa (stando dai dati ufficiali) al gran numero di dipendenti che hanno cambiato datore di lavoro.

Da un punto di vista prettamente operativo il calcolo ed il versamento degli arretrati contributivi riferiti alle aliquote di integrazione salariale, postula la rielaborazione dei contributi dovuti dal 1° gennaio fino al momento della risoluzione, nel semestre di riferimento, dei singoli rapporti di lavoro, con l’emissione di cedolini dal contenuto negativo, risultante dal fatto che mancano le competenze economiche sulle quali effettuare la trattenuta che, ricordo, pur nella forma ridotta in vigore soltanto per l’anno 2022, resta per 1/3 a carico del lavoratore.

Ma, in che modo il datore di lavoro può ripetere le somme a carico del lavoratore che non è più suo dipendente?

La via normale indicata, in via generale, dal Legislatore è l’art. 19 della legge n. 218/1952 ove, dopo aver affermato che il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del dipendente, afferma, al comma 2, che “il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce”.

Cosa significa tutto questo?

Significa che, difficilmente, trattandosi di contribuzione arretrata, si potrà operare una azione di rivalsa nei confronti dell’ex dipendente (l’art. 19 mi sembra, oltremodo chiaro) e che, a normativa attuale, tale costo affrontato dal datore non appare deducibile sotto l’aspetto fiscale. Tutto ciò in un quadro operativo ove il datore, quandanche avesse voluto restare in regola con i versamenti a partire dal mese di gennaio, non avrebbe potuto farlo, in quanto mancavano le indicazioni di prassi dell’INPS rese note, ripeto, soltanto il 30 giugno 2022.

Ma, cosa potrebbe succedere se un datore dovesse decidere di non versare i contributi dovuti per le integrazioni salariali a carico dell’ex dipendente?

La prima conseguenza che viene, subito, in mente è rappresentata dal DURC negativo, con la impossibilità di partecipare a gare o di ricevere pagamenti per lavori già effettuati: di conseguenza, appare logico pensare che molti datori saranno indotti a versare i contributi per le integrazioni salariali a carico dei lavoratori cessati, proprio per conservare il DURC positivo.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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