Licenziamenti collettivi e collocamento obbligatorio

Licenziamenti collettivi: dal 1 luglio le imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGO potranno aprire le procedure, ai sensi della legge 223/1991

Licenziamenti collettivi e collocamento obbligatorio

Dal primo luglio, le imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGO (con l’eccezione di quelle rientranti nel settore tessile e della moda) potranno, legittimamente, licenziare per motivi economici (art. 3 della legge n. 604/1966) e, soprattutto, potranno aprire (o riprendere, perché “stoppate” alla data del 24 febbraio 2020) le procedure collettive di riduzione di personale (licenziamenti collettivi) ai sensi della legge n. 223/1991.

Tuttavia, non è su questo argomento che intendo soffermarmi in questa riflessione ma sugli effetti che la procedura collettiva appena citata genera su una situazione correlata: quella degli obblighi scaturenti dal rispetto della legge che tutela l’inserimento dei portatori di handicap nel mondo del lavoro.

Mi riferisco all’art. 3, comma 5, della legge n. 68/1999 il quale sospende gli obblighi “per la durata della procedura disciplinata dagli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991 e successive modificazioni e, nel caso in cui la procedura si concluda con almeno cinque licenziamenti, per il periodo in cui permane il diritto di precedenza di assunzione”.

Dalla frase normativa appena riportata scaturiscono alcune questioni che meritano una risposta.

La prima è questa: la sospensione degli obblighi occupazionali nelle imprese che hanno, sul territorio, più unità produttive si estende a tutta l’articolazione aziendale o è, ad esempio, limitata al solo ambito nel quale si sono registrati i licenziamenti?

La risposta fornita, a suo tempo, dal Ministero del Lavoro (dopo alcune titubanze) e dalla stessa Corte di Cassazione, è che non si rinviene nel dettato normativo alcun limite di operatività alla disposizione, a differenza di ciò che avviene con la Cigs e con i contratti di solidarietà difensiva ove la sospensione (pro-quota) in relazione alle ore di lavoro integrate avviene, unicamente, su base provinciale ove insiste l’unità produttiva interessata: di conseguenza, la sospensione opera su tutto il territorio nazionale.

La seconda questione riguarda il numero dei licenziamenti: quanti debbono essere alla fine dell’iter procedimentale che si conclude con i provvedimenti di recesso del datore di lavoro sulla scorta dei criteri fissati dall’art. 5 della legge n. 223/1991?

La risposta appare semplice in quanto essi debbono essere almeno cinque come afferma il Legislatore. Ma, detto questo, ricordo che, di recente la Cassazione, mutando un proprio precedente indirizzo risalente al luglio del 2020 ove nel computo si potevano comprendere anche i rapporti conclusisi con risoluzioni consensuali, ha affermato che queste ultime non vanno comprese perché trovano origine in un’altra disposizione normativa, per cui vanno calcolati, unicamente, i recessi posti in essere in maniera unilaterale (magari, anche concordata con incentivi) dal datore di lavoro.

La terza questione riguarda il periodo di sospensione: quanto è lungo?

Non c’è una risposta precisa e spiego il perché: esso comprende tutti i giorni delle c.d. “fase aziendale e fase amministrativa” ove il termine massimo è fissato in settantacinque giorni – che è il risultato di quarantacinque giorni della prima e di trenta della seconda -. Essi sono ridotti alla metà se il numero dei lavoratori definiti eccedentari nella nota con la quale è iniziato l’iter è inferiore alle dieci unità (art. 4, commi 6 e 7 della legge n. 223/1991).

Questo è, senz’altro, il dato certo.

Ciò che, invece, può cambiare nella durata complessiva della sospensione degli obblighi occupazionali è quello che può succedere successivamente. Infatti, la norma afferma che la sospensione dura fino a quando l’ultimo lavoratore licenziato può vantare il diritto di precedenza alla riassunzione che, oggi, è stabilito dall’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, il quale, dopo alcune modificazioni introdotte con il D.L.vo n. 297/2002, è pari a sei mesi. Di conseguenza, il periodo di sospensione e dagli obblighi occupazionali comincia a farsi più lungo.

Ma non è finita qui.

In sede di accordo sindacale sui criteri dei licenziamenti da adottare (essi prevalgono su quelli legali, come ci ricorda il comma 1 dell’art.5), i recessi concordati possono essere dilazionati nel tempo, ad esempio, fino a dodici mesi: tutto questo perché potrebbe essere più funzionale alle esigenze aziendali e del lavoratore concordare l’uscita ma procrastinarla ad una data successiva.

Se, quindi, rifacendosi all’esempio appena riportato, si fanno un poco di conti, ci si accorge che la sospensione dagli obblighi occupazionali potrebbe essere abbastanza lunga, addirittura sfiorando i venti mesi.

Di tutto questo (dell’apertura della procedura, dell’iter e delle sue conclusioni) il datore di lavoro è tenuto a darne notizia a tutti i servizi per l’impiego interessati ove operano tutte le unità produttive.

Ovviamente, il datore di lavoro deve sempre e comunque fare attenzione agli obblighi del collocamento obbligatorio: sempre, con riferimento alla procedura collettiva di riduzione di personale, il disabile può essere oggetto di licenziamento collettivo sulla scorta dei criteri definiti, al termine dell’iter, dall’art. 5, ma occorre puntualizzare come il comma 4 dell’art. 10 della legge n. 68/1999 ricordi che il recesso sia di per sé annullabile, a prescindere da una possibile impugnazione relativa all’applicazione dei criteri di scelta qualora, al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista dall’art. 3.

Questo sta a significare, qualora ce ne fosse bisogno, che le procedure collettive, ma anche i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo non debbono avere un fine “capzioso”, che è quello di far uscire dall’organico aziendale chi risulta menomato dal proprio handicap psico-fisico.

 

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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