Apprendistato: le proroghe del piano formativo
Analisi approfondita dei contratti di apprendistato professionalizzante e dei periodi previsti per il completamento della formazione.
Sovente i datori di lavoro che occupano apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante e che, per varie ragioni, intendono non procedere nel rapporto al termine del periodo formativo, si trovano alle prese con il computo totale del periodo previsto, in quanto il Legislatore ha previsto, in alcuni casi, il recupero delle ore e dei periodi non lavorati a fronte di determinate situazioni.
Ma quali sono le causali che obbligano il datore al recupero, atteso che, non dimentichiamolo, l’apprendistato è un contratto a tempo indeterminato è un contratto a tempo indeterminato finalizzato alla formazione ed alla occupazione dei giovani (art. 41 del D.L. vo n. 81/2015) e che ha la caratteristica della “effettività” (nel senso che la formazione è una caratteristica di tale tipologia, come, più volte ricordato dal Ministero del Lavoro?
Innanzitutto, i periodi di integrazione salariale, comprensivi anche di quelli COVID, in quanto la normativa speciale non li esclude assolutamente.
L’art. 2, comma 4, del D.L. vo n. 148/2015 ricorda che il periodo di apprendistato deve essere prorogato in misura equivalente all’ammontare delle ore di integrazione salariale fruite: ciò vale sia nel caso di sospensione dell’attività che in quello della riduzione di orario. La norma parla di ore: ovviamente, il recupero va effettuato rapportando le stesse all’orario giornaliero svolto dal giovane.
Sull’argomento legato al recupero delle ore di integrazione salariale l’INPS ha avuto modo di esprimersi con il messaggio n. 24 del 5 gennaio 2016. L’Istituto richiamava le integrazioni salariali per gli apprendisti con contratto professionalizzante previsti dal D.L. vo n. 148/2015 che sono previste soltanto per alcuni di essi:
- Per quelli dipendenti da imprese che accedono alle sole integrazioni salariali ordinarie;
- Per quelli dipendenti da imprese che accedono sia alla CIGO che alla CIGS, destinatari esclusivamente dei trattamenti di integrazione salariale ordinaria;
- Per quelli dipendenti da imprese che possono accedere alle sole integrazioni salariali straordinarie, limitatamente al caso in cui sia stata richiesta la CIGS per crisi aziendale ex art. 21 del D.L. vo n. 148/2015.
Alle ipotesi appena descritte va aggiunto, come detto in precedenza, il trattamento integrativo scaturente dall’ammortizzatore COVID-19, riferibile sia alla CIGO, che al FIS, che ai Fondi bilaterali che alla Cassa in deroga.
Altra ipotesi nella quale occorre procedere al prolungamento del piano formativo è quella prevista dall’art. 42, comma 5, lettera g). Qui, il Legislatore affida alla contrattazione collettiva nazionale che, quindi, risulta essere “titolata”, la possibilità di prevederlo in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a trenta giorni.
L’indirizzo fornito, in via amministrativa, dal Ministero del Lavoro è che, proprio perché agganciato al piano formativo, le assenze da prendere in considerazione legate alla malattia ed all’infortunio siano superiori a trenta giorni, intesi come periodo “unitario”, atteso che il piano abbisogna di continuità. Ovviamente, qualora la contrattazione collettiva sia per il computo delle assenze “parcellizzate”, occorrerà seguire tale criterio.
La norma appena richiamata parla anche di casi di “sospensione involontaria del lavoro”: di cosa si tratta? Probabilmente, chi fa scritto la lettera g) del comma 5 dell’art. 42, ricopiando una analoga disposizione già presente nel D.L. vo n. 167/2011, intendeva riferirsi ad ipotesi di integrazioni salariali, ma queste, ora, sono espressamente richiamate dalla norma specifica contenuta nel comma 4 dell’art. 2 del D.L. vo n. 148/2015. In tale definizione non rientrano, assolutamente, le ferie, i permessi, i congedi per assistenza ex lege n. 104/1992, il c.d. “riposo giornaliero per allattamento”, ed altri istituti contrattuali ove la volontarietà appare evidente.
Si potrebbe pensare alla maternità ma, a mio avviso, è tuttora, vigente l’art. 7 del D.P.R. n. 1026/1976 (quindi, norma specifica) secondo il quale i periodi di astensione obbligatoria, anche anticipata, e facoltativa dal lavoro non si computano ai fini della durata del periodo di apprendistato.
È appena il caso di ricordare come nel periodo di prolungamento la contribuzione continui ad essere sempre la stessa e la medesima cosa si può affermare per quel che concerne il livello retributivo.
Ma cosa succede se un datore di lavoro non tiene conto di tali obblighi legali o contrattuali e risolve il rapporto esercitando la previsione dell’art. 2118 c.c.?
La fase formativa dell’apprendistato non è terminata e non si può, quindi, parlare di risoluzione del contratto avvenuta al termine del periodo. In caso di impugnazione giudiziale, il recesso potrebbe essere considerato come illegittimo e ricondotto al giustificato motivo oggettivo, con applicazione della previsione contenuta nell’art. 3 del D.L. vo n. 23/2015, come riformato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 194/2018.
La risoluzione anticipata potrebbe essere oggetto di attenzioni anche da parte degli organi di vigilanza, “in primis” degli ispettori del lavoro che, a fronte di una mancata realizzazione del piano formativo, potrebbero, in presenza di altre condizioni, disconoscere il rapporto di apprendistato e considerare lo stesso come contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’inizio, con la contribuzione propria di tale tipologia contrattuale e con le differenze retributive.
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