Contratto a tempo determinato in somministrazione con regole speciali
Analisi della disposizione che allunga, fino al 31 dicembre 2021, la possibilità di derogare all’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015, cosa che consente di prorogare o rinnovare una sola volta, senza l’apposizione di alcuna causale, i contratti a tempo determinato e la somministrazione a tempo determinato
Lungamente attesa dagli operatori, con l’art. 17 del D.L. n. 41/2021, è entrata in vigore la disposizione che allunga, fino al 31 dicembre 2021, la possibilità di derogare all’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015, cosa che consente di prorogare o rinnovare una sola volta, senza l’apposizione di alcuna causale, la tipologia di contratto a tempo determinato, per un massimo di dodici mesi, nel rispetto del ventiquattro mesi complessivi. Essa, attesa la sostanziale unicità normativa, si applica “in toto” anche al contratto a tempo determinato in somministrazione.
La norma non consente, soltanto, uno spostamento, in avanti del termine finale, come aveva fatto la legge n. 178/2020 ma, stando alla previsione del comma 1, contiene una novità non secondaria che apre gli spazi alla instaurazione di nuovi rapporti a termine senza l’apposizione di alcuna condizione: essa è entrata in vigore il 23 marzo e dispone che nella sua “applicazione non si tiene conto dei rinnovi e delle proroghe già intervenuti”.
Si tratta, indubbiamente, di una novità (sia pure temporanea )che l’Esecutivo ha messo in campo per favorire la ripresa dell’occupazione nel momento, auspicabile, in cui il COVID-19 avrà perso di intensità: se pensiamo che allorquando essa si dovesse consolidare i primi ad essere instaurati saranno i rapporti a termine (compresa la somministrazione), ben si comprende la necessità di favorirli togliendo quelle condizioni legali che, complice la fase economica avversa, li hanno rallentati. Occorre tener presente, poi, che la prossima stagione estiva dovrebbe, auspicabilmente, essere foriera anche di contratti per attività stagionali previsti sia dal D.P.R. n. 1525/1963 che dalla contrattazione collettiva i quali, per dettato normativo, sono esenti dalle rigidità del D.L. “Dignità”: speriamo che ciò accada.
Fatta questa breve premessa, credo che sia opportuno esaminare la disposizione nel suo complesso per la quale l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 713 del 16 settembre 2020, dettò le proprie indicazioni, sottolineando, soprattutto, il significato della deroga all’art. 21.
Tale organo partì dal significato che occorre fornire alla frase che stabilisce la deroga all’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015 affermando che la stessa, per un periodo massimo di dodici mesi per le proroghe o per i rinnovi e per una sola volta, nel rispetto dei termini di durata massima di ventiquattro mesi complessivi, senza condizioni, ha una portata ampia.
Essa vale non solo per il fatto che l’assenza di causale non comporta la trasformazione a tempo indeterminato, ma anche perché è possibile, qualora ve ne sia la necessità, utilizzare una quinta proroga (rispetto alle usuali quattro) e non rispettare lo “stop and go” tra un contratto a tempo determinato in somministrazione e l’altro che è di dieci o venti giorni di calendario se il precedente rapporto ha avuto, rispettivamente, una durata fino a sei mesi o superiore.
La previsione di una durata massima della proroga o del rinnovo “agevolato” ha una data di riferimento: quella del 31 dicembre 2021 che, ripeto, è molto importante alla luce del comma 1 dell’art. 17 che “azzera” le precedenti proroghe o rinnovi stipulati senza condizione: il tutto, a partire dal 23 marzo. Sulla scorta delle interpretazioni già fornite dell’INL, il 31 dicembre rappresenta il giorno ultimo di instaurazione del rapporto (rinnovo) o della prosecuzione dello stesso, attraverso l’istituto della proroga. Da ciò discende che gli effetti possono ben esplicarsi nel corso del 2022.
Qui si porrà verso la fine dell’anno una questione già emersa durante la “decretazione di urgenza” del 2020: quello della proroga di un contratto in corso la cui scadenza è ben oltre la data ultima del 31 dicembre. Ritengo che la proroga possa essere “azionata” alla scadenza del contratto o nelle immediate vicinanze della stessa e che non può riguardare un rapporto a tempo determinato che termina in un periodo ampiamente successivo, in quanto si “concretizzerebbe” un “negotium in fraudem legis”, con tutte le conseguenze del caso.
Prima di entrare nel merito di altri chiarimenti ricordo che:
- Con il riferimento ai ventiquattro mesi complessivi il Legislatore si riferisce a contratti a termine o in somministrazione a tempo determinato, in sommatoria, svoltisi tra gli stessi soggetti (datore di lavoro e lavoratore) per mansioni di pari livello o categoria legale di inquadramento;
- Con il richiamo al termine “rinnovo” la norma si riferisce ad un nuovo contratto tra il datore di lavoro ed il lavoratore che, in via normale, dovrebbe vedere l’apposizione di una condizione ex art. 19, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 pur se le mansioni o la categoria legale di inquadramento sono, del tutto, diverse rispetto a quelle oggetto del precedente contratto;
- Con il richiamo all’istituto della proroga il Legislatore non cambia nulla circa il contenuto della stessa in quanto interviene, soltanto, sul fatto che, se necessario, se ne può stipulare una quinta senza che ci sia la trasformazione a tempo indeterminato a partire dalla stessa, come richiederebbe il comma 2 dell’art 21.
La nota dell’INL del settembre scorso trattava anche altre questioni, come quella della obbligatorietà del recupero attraverso una proroga del tempo trascorso dal lavoratore in integrazione salariale COVID: il chiarimento, rispetto ad una disposizione che era stata in vigore soltanto per ventinove giorni, l’aveva “sostanzialmente” messa da parte, neutralizzandola da un punto di vista amministrativo: ora qualsiasi discussione su quell’argomento è superata, atteso “l’azzeramento” di tutto il passato operato con il comma 1 dell’art. 17 del D.L. n. 41/2021.
I chiarimenti della nota dell’INL del 16 settembre 2020 terminavano con un breve riferimento al c.d. “contratto in deroga assistita” stipulato avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro ai sensi dell’art. 19, comma 3, oltre il termine dei ventiquattro mesi o quello, diverso, previsto dalla contrattazione collettiva: qui nulla è cambiato rispetto alle indicazioni fornite, da ultimo, con la nota n. 8120/2019 tra cui, ricordo, spiccano, la funzione “notarile” del funzionario, la “non sussistenza” della certificazione ex art. 75 del D.L.vo n. 276/2003 (che va chiesta agli organismi a ciò deputati), l’unicità del contratto per un massimo di dodici mesi (senza proroga), l’inserimento di una delle condizioni previste dal comma 1 dell’art. 19 ed il rispetto dello “stop and go”.
Su quest’ultimo punto (ma premetto che ci vorrebbe un intervento normativo, non essendo, in alcun modo sufficiente, un chiarimento amministrativo), mi chiedo come, sul piano prettamente operativo, sia giustificabile “uno stacco di venti giorni” laddove, ad esempio, una lavoratrice, magari, anche in sommatoria con altri rapporti a termine, stia per raggiungere i ventiquattro mesi complessivi durante una sostituzione di altra dipendente assente per maternità: le parti sottoscrivono un nuovo contratto in deroga per altri tre mesi (data di rientro della titolare del posto), lo sottoscrivono, ma l’interessata, che deve sostituire la titolare, resta “in stop and go” per venti giorni ed il datore di lavoro senza alcuno che svolga quell’attività. Non so quanti cittadini di altri Paesi siano in grado di comprendere la logicità di questa disposizione che nasce da una “mal celata” avversità verso i rapporti a tempo determinato.
I cambiamenti normativi non hanno, assolutamente, inciso sugli altri istituti correlati al contratto a tempo determinato in somministrazione: mi riferisco alle percentuali, alle sanzioni degli organi di vigilanza, al ricorso giudiziale, alla sentenza di condanna in caso di illegittimità riscontrata nel contratto, al computo dei contratti a termine in relazione all’applicazione di istituti che richiedono il computo dei dipendenti, al diritto di precedenza che, peraltro, non ha una propria specifica sanzione in caso di inosservanza ma che potrebbe essere oggetto di una specifica “disposizione”.
La questione che ho appena sollevato consente di evidenziare qualcosa che, nel silenzio del dibattito in corso tra gli operatori, muterà la stessa attività ispettiva (quindi, ben oltre il caso del diritto di precedenza non scritto nella lettera di assunzione), assegnando agli ispettori del lavoro un compito di vigilanza sulla corretta applicazione delle disposizioni di legge anche nei casi in cui non sussiste una specifica sanzione prevista dall’ordinamento.
Su questo punto, infatti, ci sono novità da un punto di vista sanzionatorio per effetto dell’art. 12-bis della legge n. 120/2020 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 76. Con tale norma è stato cambiato, tra le altre cose, il testo dell’art. 14 del D.L.vo n. 124/2004 relativo alla disposizione che è un atto in capo al personale di vigilanza degli Ispettorati del Lavoro.
Senza entrare nel merito della questione peraltro, ben chiarita nei contenuti da alcune note dell’INL, ricordo che:
- Il personale ispettivo può adottare (e qui sussiste un criterio discrezionale che consente di far riferimento ad un principio della ragionevolezza) un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità riscontrate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative. Come si vede il campo di applicazione è molto ampio: basti pensare, tanto per fare tre esempi, alle mansioni svolte, alla sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o al diritto di precedenza non inserito nella lettera di assunzione;
- La disposizione deve contenere un termine per adempiere che può variare a seconda della irregolarità riscontrata;
- E’ ammesso, entro quindici giorni, il ricorso al direttore dell’Ispettorato territoriale del Lavoro che decide nei quindici giorni successivi e la mancata decisione equivale a silenzio – rigetto. Il ricorso non sospende l’esecutività del provvedimento di disposizione;
- La mancata ottemperanza alla disposizione comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa compresa tra 500 e 3.000 euro, senza applicazione dell’istituto della diffida ex art. 13, cosa che comporta l’impossibilità di applicare l’importo minimo previsto.
Da ultimo, una norma specifica che riguarda le Agenzie di Lavoro che somministrano personale (somministrazione) e che, a mio avviso, piò determinare un ricorso maggiore a tale tipologia contrattuale.
Per effetto del comma 1.bis, dell’art. 8 del D.L. n. 104 è stato inserito un ulteriore periodo nel comma 1 dell’art. 31 del D.L.vo n. 81/2015 che recita “Nel caso in cui il contratto di somministrazione tra l’Agenzia di somministrazione e l’utilizzatore sia a tempo determinato l’utilizzatore può impiegare in missione, per periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore in somministrazione, per il quale l’Agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini in capo all’utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato. La disposizione di cui al periodo precedente ha efficacia fino al 31 dicembre 2021”.
Cosa significa questa norma sul contratto a tempo determinato in somministrazione e perché appare appetibile per i datori di lavoro?
Essa significa (e per questo appare appetibile) che tutte le missioni svolte da lavoratori assunti dall’Agenzia a tempo indeterminato (cosa che va comunicata al “cliente”) , non vengono calcolate nel periodo di durata massima dei contratti a termine (comprensivi di quelli in somministrazione), cosicché, legittimamente, senza alcun onere o pericolo per il datore di lavoro, si può sforare il tetto dei ventiquattro mesi previsti dall’art. 19 o quello, eventualmente, indicato dalla contrattazione collettiva.
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2 Commenti
RICCARDO
Luglio 01, 10:03Buongiorno,
vorrei sollevare un quesito, con riferimento all’art.17 del D.L. 41/2021 è applicabile la possibilità di effettuare una proroga ad un contratto a tempo determinato che decorre da aprile 2021 e con scadenza a luglio 2021? quindi un contratto instauratosi dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto legge.
Grazie
filippo leodori
Maggio 19, 12:25Dott.massi Buongiorno
In merito al rinnovo di un contratto a termine vorrei capire una cosa.
Se un contratto ha raggiunto i 24 mesi in teoria in base al Decreto Dignità io non poso più farne un altro sempre a tempo determinato.
Ma se io a questo contratto cambio la mansione e il livello (lo inquadro con un livello più alto) e faccio passare il periodo previsto di pausa ,in questo caso 20 giorni,posso fare un nuovo rinnovo e quindi considerarlo di fatto un nuovo contratto a tutti gli effetti avendo a disposizione ulteriori 24 mesi?
Certo devo inserire la famosa causale (inutile) .
Grazie