Le attività stagionali ed i chiarimenti dell’ispettorato nazionale del lavoro
Stagionali: Tre gli anni trascorsi dal c.d. “decreto Dignità” che, introducendo causali rigide, ha ristretto oltre misura l’agibilità della somministrazione.
Stagionali: Tre gli anni trascorsi dal c.d. “decreto Dignità” che, introducendo causali rigide, ha ristretto oltre misura l’agibilità della somministrazione.
A luglio prossimo saranno tre gli anni trascorsi dal varo del c.d. “decreto Dignità” che, introducendo causali legali molto rigide, senza alcuna possibilità per la contrattazione collettiva di individuarne altre più vicine alle realtà aziendali, complice il “ciclo economico avverso”, ha ristretto oltre misura l’agibilità dei contratti a tempo determinato (come gli stagionali) e della somministrazione a termine che restano, comunque, liberi da qualsiasi condizione se sono stipulati per la prima volta e non vanno oltre i dodici mesi.
Una delle conseguenze connesse a questa situazione è stato il progressivo allargamento delle c.d. “attività stagionali che, collocate in una “nicchia”, si sono ampliate, in virtù della contrattazione collettiva, anche aziendale, cosa che ha consentito di uscire dal rigido campo normativo del “normale” contratto a termine ed applicare le specifiche disposizioni in essere per i rapporti correlati a tale motivazione.
Con la nota n. 413 del 10 marzo 2021, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, rispondendo a sollecitazioni provenienti da più parti, si è espresso fornendo alcune delucidazioni amministrative, rese note attraverso un parere “concertato” con l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro.
Due sono, sostanzialmente, le questioni oggetto di attenzione
- La prima, con la quale si conferma che le deroghe alla disciplina del contratto a termine previste per le attività stagionali dal D.L.vo n. 81/2015, come riformato dal D.L. n. 87/2018, valgono anche per le determinazioni della contrattazione collettiva;
- La seconda, ove si dà atto che le imprese turistiche che, nell’anno solare, abbiano un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi, secondo la previsione del D.P.R. n. 1525/1963, possano stipulare contratti a tempo indeterminato.
In riferimento alla prima questione mi sembra opportuno sottolineare come le attività stagionali nel nostro Paese, siano, ancora, delineate dal D.P.R. n. 1525/1963, emanato in esecuzione dell’art. 1, comma 2, lettera a) della legge n. 230/1962, abrogata nel 2001: esso contiene, prevalentemente, attività riferite al settore agricolo o industriale ad esso correlato (ad esempio, raccolta, cernita, spedizione dei prodotti ortofrutticoli freschi e dei relativi imballaggi), molte delle quali, oggi, desuete. Per la verità, l’art. 21, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015 prevede che il Ministro del Lavoro, con proprio Decreto, attualizzi le determinazioni del 1963, ma da allora sono passati quattro ministri e quasi cinque anni e nulla appare all’orizzonte, sicchè la materia continua ad essere disciplinata dal D.P.R. n. 1525/1963.
Per fortuna, nel corso degli anni, è intervenuta la contrattazione collettiva ad individuare nuove attività definite “stagionali” rispetto alle quali è possibile giungere alla stipula di contratti che hanno, sotto l’aspetto normativo, una disciplina, sostanzialmente, parallela a quella dei “normali” contratti a termine.
La nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che si commenta, sottolinea come le norme sullo “stop and go”, dieci o venti giorni (di calendario) a seconda che il precedente contratto abbia avuto, rispettivamente, una durata fino a sei mesi o superiore, non trovino applicazione nei contratti a termine previsti sia in esecuzione del D.P.R. n. 1525/1963 che nelle ipotesi previste della contrattazione collettiva, per la cui definizione occorre riferirsi all’art. 51 del D.L.vo n. 80/2015 il quale considera quale fonte di diritto sull’argomento sia gli accordi nazionali, che quelli territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle “loro” rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Prima di procedere all’esame di altri aspetti definiti nella nota dell’INL credo che sia opportuno focalizzare l’attenzione su un problema di costi legato ai contratti per “attività stagionali”: se questi sono sottoscritti per una delle attività individuate dal D.P.R. n. 1525/1963, o dalla contrattazione collettiva stipulata in data antecedente il 1° gennaio 2012, non si paga l’1,40% mensile sulla retribuzione imponibile, previsto dal comma 28 dell’art. 2 della legge n. 92/2012, oltre al contributo progressivo dello 0,50% correlato ad ogni rinnovo.
La stessa esenzione riguarda:
- Dal 1° gennaio 2020 i contratti a termine per lo svolgimento nel territorio della provincia di Bolzano, di attività stagionali definite dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati entro il 31 dicembre 2019 dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative: questo afferma l’art. 1, comma 13, lettera b) della legge n.160/2019. Un breve commento credo che sia necessario e, ovviamente, non vuol essere una critica contro quella zona che tanto offre in termini di ospitalità e di bellezza del territorio, ma mi chiedo perché il Legislatore non abbia previsto tale esenzione anche per le attività stagionali che si svolgono nel resto del Paese. E’ forse frutto di una attività di “lobbing”, concretizzatasi in un emendamento, favorita dai “tempi ristretti” di approvazione, avvenuta, con il voto di fiducia, il 27 dicembre 2019? Probabilmente, è questa la risposta che, però, a questo punto sarebbe giusto che la disposizione fosse estesa a tutti i contratti “stagionali” frutto della contrattazione collettiva;
- I rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, bei casi individuati dai contratti collettivi e quelli instaurati per la fornitura di lavoro portuale temporaneo ex art. 17 della legge n. 84/1994.
Tornando alla nota dell’INL, viene precisato che la c.d. “stagionalità” è applicabile anche:
- Alle eccezioni relative alla durata massima di ventiquattro mesi: i contratti per attività stagionali (anche in somministrazione) se pur ripetuti nel corso degli anni non sono sottoposti a tale limite temporale (art. 19, comma 2);
- Alla normativa sulle proroghe ed i rinnovi, nel senso che tale tipologie riferite alla stagionalità possono essere prorogate o rinnovate anche in assenza delle causali (art. 21, comma 01);
- Alla normativa sul numero complessivo dei contratti stipulabili: l’art. 23, comma 2, esclude i contatti stagionali dal numero complessivo dei contratti a termine stipulabili nell’anno (20% rispetto ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato, o percentuale diversa stabilita dalla contrattazione collettiva);
- Ai lavoratori delle fondazioni lirico sinfoniche ex D.L.vo n. 367/1996 ed ex lege n. 310/2003 assunti, a pena di nullità in forma scritta, impiegati in attività stagionali individuate ex art. 21, comma 2: la norma dalla quale sono esclusi riguarda la previsione dell’art. 29, comma 3 bis relativa ai lavoratori assunti con contratti a termine, per un massimo di quarantotto mesi, con una norma specifica seguita ad una sentenza di condanna nei confronti dell’Italia emessa dalla Corte di Giustizia Europea.
L’INL, in relazione alla stagionalità individuata dalla contrattazione collettiva, come aggiuntiva rispetto a quella definita dal D.P.R. n. 1525/1963, richiama gli orientamenti espressi in tal senso dal Ministero del Lavoro con gli interpelli n. 15/2016 e n. 6/2019.
Ma, a questo punto cosa si può intendere come “attività stagionale”?
Si tratta di un requisito essenziale che, in caso di contenzioso, potrà ben essere esaminato dal giudice che, qualora non lo riscontri, potrebbe procedere alla riconduzione dei rapporti a contratti a tempo indeterminato. La stagionalità non può che far riferimento ad attività che si ripetono annualmente e che, in determinati periodi, comportano un incremento delle stesse. Particolarmente significativi sono stati, nel tempo, gli accordi nel settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali, nel commercio ove secondo la previsione dell’art. 66-bis del CCNL le parti, a livello territoriale, hanno definito come stagionali alcune attività ripetitive negli anni che comportano incrementi significativi, o anche nel settore della ristorazione.
Ovviamente, si tratta di accordi raggiunti ben prima che scoppiasse la crisi pandemica. Ciò che, a mio avviso, va tenuto in debita considerazione è la durata della “stagionalità”. Essa si giustifica se il periodo complessivo previsto non supera gli otto mesi (come nel contratto del settore alimentare, con riferimento a picchi ripetuti nel corso dell’anno) o poco più: non si giustifica se il periodo complessivo va oltre, tenuto conto anche del periodo di ferie che gli interessati maturano. C’è il rischio, fondato, che l’attività venga definita dal giudice come “normale”, con tutte le conseguenze del caso.
La seconda questione sollevata e risolta dalla nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro riguarda le imprese turistiche stagionali con periodo di inattività alle quali fa riferimento la voce n. 48 del D.P.R. n. 1525/1963, come risulta modificata dall’art. 1 del D.P.R. n. 378/1995.
Essa riguarda la possibilità per tali aziende di sottoscrivere contratti a tempo indeterminato, senza che ciò possa inficiare la connotazione “stagionale”. La risposta è stata positiva, nel senso che non si ravvisano particolari criticità, atteso che tali imprese debbono, comunque, svolgere una attività preparatoria e programmatori nei mesi di chiusura al pubblico.
Nulla si dice circa il computo del periodo di inattività (non inferiore, nell’anno solare, a settanta giorni continuativi o a centoventi non continuativi) né, mi risulta, che, in passato, ci sia stata qualche indicazione amministrativa in proposito.
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