Ticket di ingresso alla NASpI a carico del lavoratore [E.Massi]

Analisi approfondita della decisione n. 106 del Tribunale di Udine in cui si ritiene non legittimo il comportamento di un lavoratore che, dimessosi, a voce, non aveva provveduto a rassegnare le dimissioni telematiche ma aveva abbandonato il posto di lavoro

Ticket di ingresso alla NASpI a carico del lavoratore [E.Massi]

Con una sentenza destinata a far discutere (anche perché sembra la prima su tale argomento), il Tribunale di Udine, con la decisione n. 106 del 30 settembre 2020, ha ritenuto non legittimo il comportamento di un lavoratore che, dimessosi, a voce, non aveva provveduto a rassegnare le dimissioni telematiche ma aveva abbandonato il posto di lavoro, con una serie di assenze ingiustificate, tali da costringere il datore di lavoro a procedere al licenziamento a seguito di regolare procedura di contestazione ex art. 7 della legge n. 300/1970.

Il giudice, nel corso del dibattimento, ha raggiunto la convinzione che il comportamento del lavoratore fosse unicamente finalizzato all’ottenimento della NASPI, cosa che può avvenire soltanto a fronte di un recesso datoriale e non attraverso un atto di dimissioni: di conseguenza, ha ritenuta giusta la pretesa del datore di lavoro di ottenere il rimborso del contributo di ingresso alla indennità di disoccupazione pari, in quel momento, a 1469 euro, somma correlata ad una anzianità aziendale pari o superiore a 36 mesi.

Prima di analizzare, nel merito, la decisione del giudice di Udine, credo sia opportuno ricapitolare, sia pure brevemente, la normativa che si riferisce all’istituto delle dimissioni.

Già nel 2012, con la legge n. 92, fu ipotizzato un sistema per sconfiggere il fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco”, molto presente nel nostro Paese, pur se di difficile rilevazione: la norma originaria, tesa a favorire, nei limiti del possibile, la genuinità delle stesse, senza alcun condizionamento, fu oggetto, negli anni successivi, di alcuni cambiamenti che eliminarono la possibilità, concessa ai datori di lavoro, di considerare, come tacite ed avvenute “di fatto”, le dimissioni del dipendente che, a seguito di sollecitazioni “tracciabili”, non aveva provveduto a confermarle entro un certo periodo.

Ora, l’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015, il DM del Ministro del Lavoro 15 dicembre 2015 e la circolare dello stesso Dicastero n. 12 del 4 marzo 2016 regolamentano, in via amministrativa la materia: le dimissioni debbono essere formalizzate (il Legislatore ripete, più volte, la parola “fatte”), a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematica attraverso una procedura che garantisce, da un lato, il riconoscimento del lavoratore e, dall’altro, la data certa di trasmissione. Quest’ultimo può procedere, direttamente, dopo la fine del Pin INPS, con lo SPID, o, attraverso intermediari abilitati alla trasmissione del modulo, identificato dal D.L.vo n. 185/2016:

  • Ispettorati territoriali del Lavoro
  • Patronati;
  • Organizzazioni sindacali;
  • Consulenti del Lavoro;
  • Enti bilaterali;
  • Commissioni di certificazione.

La procedura telematica si applica a tutti i rapporti di lavoro subordinato, fatta eccezione per le dimissioni rassegnate:

  • Durante il periodo di prova;
  • Nel rapporto di lavoro domestico;
  • Dalla lavoratrice nel periodo protetto dal momento in cui resta in stato interessante fino ad un anno dalla nascita del bambino (tali dimissioni possono, ora, essere convalidati “da remoto” per effetto dell’art. 12-bis della legge n. 120/2020 e del D.D. n.56/2020 del Direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro)
  • Da entrambi i genitori fino al compimento dei tre anni dalla nascita del bambino (anche queste convalidabili “da remoto”);
  • Nel rapporto di lavoro marittimo;
  • Nelle sedi protette (art. 410 e 411 cpc), ivi comprese le commissioni d certificazione, a seguito di accordo.

 

Il Lavoratore ha 7 giorni di tempo dalla data di trasmissione del modulo per revocare le proprie dimissioni, seguendo lo stesso iter telematico percorso in precedenza.

Dopo questa esposizione, sommaria, dell’istituto delle dimissioni telematiche, ricordo come l’INPS, già dalla circolare n. 44/2013, abbia stabilito che, a prescindere dal fatto che il rapporto si sia svolto a tempo pieno o a tempo parziale, il datore di lavoro sia tenuto, in caso di licenziamento (a prescindere dalla motivazione), a versare il c.d. “contributo di ingresso alla NASPI” che per l’anno 2020 è, secondo la circolare n. 20 del 10 febbraio, pari a:

  • 41,94 euro per ogni mese di anzianità di servizio (il superamento della soglia dei 15 giorni fa scattare l’importo;
  • 503,30 euro per ogni dodici mesi di anzianità di servizio;
  • 509,87 euro per una anzianità pari a trentasei mesi o superiore;

Di fronte ad un comportamento “inerte” del lavoratore appare opportuno che quest’ultimo venga sollecitato a presentarle secondo la procedura telematica: se questo non succede la scelta di licenziare il dipendente comporta alcune conseguenze:

  • Il protrarsi dell’assenza ingiustificata oltre il numero dei giorni previsti dal CCNL consente il licenziamento per giusta causa, cosa che comporta, l’attivazione della procedura disciplinare ex art. 7 della legge n. 300/1970, il pagamento del contributo di ingresso alla NASPI il cui valore è correlato alla anzianità aziendale, il trattamento di NASPI in favore del lavoratore ma non l’indennità sostitutiva del preavviso;
  • Il protrarsi dell’assenza ingiustificata per un periodo non sufficiente ad integrare la giusta causa comporta un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, cosa che l’attivazione della procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970, il pagamento del ticket di ingresso alla NASPI, l’indennità sostitutiva del preavviso ed il riconoscimento a favore del lavoratore dell’indennità di disoccupazione.

Fatta questa breve premessa ritengo opportuno soffermarmi sui contenuti della sentenza del Tribunale di Udine il quale, dopo aver revocato un decreto ingiuntivo emesso in favore del dipendente, finalizzato al pagamento dell’ultimo mese di retribuzione e del trattamento di fine rapporto, ha accertato l’esistenza di un credito a favore del datore pari all’ammontare dell’importo relativo al contributo di ingresso alla NASPI in quanto il recesso era da ritenersi conseguente ad un comportamento omissivo del dipendente che, dopo aver presentato, a voce, le proprie dimissioni, si era assentato dal lavoro. A seguito del dibattimento, il giudice si è fatto il convincimento che il licenziamento era la diretta conseguenza del fatto che il lavoratore aveva, più volte, chiesto di essere licenziato per poter fruire della indennità di disoccupazione e che le assenze ingiustificate erano il mezzo per costringere il datore ad adottare un provvedimento di licenziamento per giusta causa.

L’opposizione al decreto ingiuntivo presentata dall’impresa nasceva dal fatto che quest’ultima si riteneva titolare di un credito pari a 1.469 euro che rappresentava il costo del c.d. “ticket di ingresso alla NASPI” determinato dal comportamento omissivo del lavoratore, cosa che aveva indotto l’azienda a licenziare. La “provenienza della volontà risolutiva del rapporto di lavoro” è stata, dal Tribunale di Udine, posta, interamente, a carico del lavoratore che, dopo il rifiuto del datore, si è deliberatamente, assentato, senza alcuna giustificazione, dal posto di lavoro.

La sentenza presenta una propria peculiarità: è stato approfondita la questione concernente un comportamento non legittimo del lavatore che ha indotto il datore di lavoro a procedere ad un recesso per giusta causa al solo scopo di fruire del trattamento di NASPI.

Due parole, a commento, della decisione del giudice di Udine si rendono necessarie.

La prima riguarda la NASPI, la sua natura e gli effetti su istituti correlati: l’indennità di disoccupazione ha l’obiettivo, in presenza di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dal D.L. n. 22/2015, di ristorare il lavoratore a fronte di una perdita involontaria, per licenziamento, del posto di lavoro (le eccezioni sono rappresentate dalle dimissioni convalidate della donna nel periodo protetto,  dalle dimissioni per giusta causa, dalle risoluzioni consensuali ex art. 7 della legge n. 604/1966 e dalla adesione dei singoli lavoratori ad accordi collettivi con dimissioni o risoluzioni consensuali ex art. 14, comma 3, del D.L. n. 104/2020). Di qui l’obbligo per il datore di pagare il contributo di ingresso a prescindere dalle motivazioni del recesso, secondo le modalità che l’INPS ha dettato sin dal 2013 con la circolare n. 44. La fruizione della NASPI (e questo è un altro aspetto da considerare se si vuole alzare lo sguardo oltre la mera dazione della indennità) rende più appetibile il lavoratore sul mercato del lavoro (e la cosa, talora, potrebbe anche essere, tacitamente, concordata, con una possibile una nuova azienda interessata all’assunzione), in quanto, nel rispetto delle condizioni fissate dall’art. 2, comma 10-bis della legge n. 92/2012, viene riconosciuto al datore di lavoro che assume un beneficio pari al 20% dell’indennità non ancora percepita ed inoltre, per effetto dell’art. 47, comma 4, del D.L.vo n. 81/2015, qualora il soggetto sia un “over 29”, può essere assunto, purchè fruitore della indennità di disoccupazione, con un contratto di apprendistato professionalizzante finalizzato d una qualificazione o riqualificazione professionale.

La seconda concerne il “che fare?”: credo che il Legislatore, nonostante che, in questi anni sia stato sordo a qualsiasi richiesta in tal senso, debba riprendere in considerazione una maniera di risoluzione del rapporto di lavoro a fronte di dimissioni non effettuate secondo l’unico modalità prevista dalla norma: è, ormai, un uso abbastanza consuetudinario, quello di non presentare le dimissioni telematiche, neanche sfruttando i “possibili intermediari”, giocando sul fatto che, prima o poi, il datore si deciderà ad emettere un provvedimento di licenziamento.

La soluzione migliore, nel rispetto di tutte le garanzie dovute all’interessato, passerebbe per una modifica normativa, secondo la quale, in mancanza di dimissioni presentate nell’unico modo possibile (pena l’inefficacia delle stesse), il datore di lavoro possa invitare il dipendente a presentarle con modalità telematica entro un tempo congruo (ad esempio, trenta giorni), inviando una comunicazione all’ultimo indirizzo comunicatogli: in mancanza, si dovrebbe considerare risolto il rapporto, atteso che, secondo l’indirizzo propugnato, di recente, dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25583 del 10 ottobre 2019 (ma ci si riferiva ad un caso antecedente il marzo 2016, mese di entrata in vigore delle attuali modalità), il comportamento adottato sta a dimostrare la volontà esplicita di recedere dal rapporto, configurandosi, di conseguenza, come dimissioni di fatto.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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