La sospensione dei licenziamenti: il perché della scelta [E.Massi]

Analisi approfondita della misura volta alla sospensione dei licenziamenti contenuta nel D.L. n. 18/2020

La sospensione dei licenziamenti: il perché della scelta [E.Massi]

Il nostro Paese sta attraversando una crisi epidemiologica di enorme grandezza: certezze consolidate vengono meno ed il tessuto produttivo e commerciale risulta, per effetto dei provvedimenti governativi finalizzati, innanzitutto, alla salvaguardia della salute dei cittadini, sostanzialmente, fermo, in quanto soltanto la sanità ed i servizi essenziali e le aziende di supporto lavorano a pieno regime.

Mentre scrivo questa riflessione il Presidente del Consiglio ha, infatti, preannunciato il blocco in tutta Italia delle altre attività industriali, commerciali o professionali. Di qui la necessità di procedere con ammortizzatori sociali “tampone” che tendono a coprire le emergenze economiche di tutti i lavoratori, anche di quelli autonomi, con la sola esclusione del personale domestico ed, al contempo, di “sospendere” l’efficacia dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo per un ben determinato arco temporale.

Tale obiettivo è stato perseguito attraverso l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 il quale dispone che: “A decorrere dalla entrata in vigore del presente decreto, l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966”.

Le questioni che vanno esaminate, anche per definire i confini della norma, sono diverse ed io comincerei ad affrontare quelle che si riferiscono alle riduzioni collettive di personale. Dal 17 marzo e fino al 16 maggio 2020 la preclusione relativa alla apertura della procedura ha effetto:

  • sull’art. 4 della legge n. 223/1991: le imprese, che, al termine del periodo di integrazione salariale straordinaria, non sono in grado di assicurare la ripresa piena dell’attività alle loro maestranze e non sono in grado di ricorrere a misure alternative;
  • sull’art. 24 della legge n. 223/1991 che concerne le imprese che occupano più di 15 dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività, intendono effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio della stessa provincia.

Queste disposizioni trovano applicazione a tutti i licenziamenti che, nello stesso arco temporale e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione e trasformazione. La procedura va attivata anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, così dimensionato, intenda cessare l’attività’. L’iter procedimentale non riguarda la scadenza dei contratti a termine, il c.d. “fine lavoro” nel settore edile e nei casi di attività stagionali o saltuarie.

Da quanto appena detto sottolineo, ad esempio, che se un datore di lavoro volesse aprire una procedura per cessazione di attività, non potrà farlo ora ma dovrà attendere lo spirare dei 60 giorni richiamati dalla norma.

La disposizione ha effetti anche sulle procedure di riduzione collettiva pendenti aperte successivamente al 23 febbraio 2020, data di entrata in vigore del DPCM emesso in pari data con il quale sono stati emessi provvedimenti di restrizione: esse vengono “stoppate” qualunque sia il momento della procedura, fino al 16 maggio 2020.

Il provvedimento ha, invece, fatto salve le procedure collettive iniziate prima del 24 febbraio 2020 : conseguentemente, esse possono essere portate a compimento senza alcuna difficoltà. Per completezza di informazione ricordo che l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 richiama anche l’art. 5 della legge n. 223/1991 il quale contiene la parte finale dell’iter procedimentale: l’individuazione dei dipendenti da licenziare sulla scorta dell’accordo sottoscritto con le organizzazioni sindacali (che, il più delle volte, si basa su recessi “non oppositivi” incentivati) o, in mancanza, dei criteri, in concorso tra loro, individuati dal Legislatore e che fanno riferimento, all’anzianità aziendale, al carico famigliare ed alle esigenze tecnico-produttive. Una volta individuati i lavoratori, possono essere inviate le lettere di licenziamento: ebbene, tutto questo non è possibile se viene svolto tra il 17 marzo ed il 16 maggio 2020, in presenza di una procedura attivata a partire dal 24 febbraio. La norma ha effetti evidenti su alcune situazioni come quella, ad esempio, relativa ad un tentativo di conciliazione obbligatorio ex art. 7 della legge n. 604/1966 per un possibile licenziamento per giustificato motivo oggettivo effettuato da una impresa dimensionata oltre le quindici unità, per un dipendente assunto prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015.

Qui, pur se la procedura di conciliazione si sia conclusa con un mancato accordo ed il datore debba procedere alla risoluzione del rapporto per licenziamento, non è possibile inviare la lettera di licenziamento prima della scadenza del periodo di sospensione previsto dall’art. 46.

Ovviamente, se la procedura si è conclusa con una risoluzione consensuale, non sussiste alcun problema.

Situazioni analoghe ce ne sono e sono variegate.

Si pensi, ad esempio, ad accordi tra datore di lavoro e lavoratore che passano attraverso un “finto” licenziamento per giustificato motivo oggettivo, finalizzato, magari anche con un incentivo, a far fruire al dipendente il trattamento di NASPI: in questo momento, ciò non è possibile, come non appare possibile il recesso adottato, seppur concordato, per la procedura di pensionamento anticipato ex art. 4, commi da 1 a 7-ter della legge n. 92/2012 (c.d. “isopensione “).

Ovviamente, l’isopensione può scattare nel caso in cui il rapporto, in questo arco temporale, venga risolto consensualmente.

Si pensi anche allo “stop” ad accordi di ricollocazione ex art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015 in base al quale un lavoratore trovi, in questo periodo, una nuova occupazione secondo le modalità previste da tale norma: il licenziamento, con un incentivo all’esodo molto conveniente in quanto le somme corrisposte a tale titolo fino a nove mensilità esenti da IRPEF, viene bloccato.

L’ultima parte dell’art. 46 è dedicata al blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo intimati da qualsiasi datore di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti in forza. Lo “stop” è di 60 giorni a partire dal 17 marzo. La disposizione richiama l’art. 3 della legge n. 604/1966 che fa riferimento a:

  • ragioni inerenti l’attività produttiva: si pensi ad una diminuzione delle commesse, ad una esternalizzazione dell’attività o ad altre situazioni ben evidenziate dalla Cassazione nel corso degli anni.
  • ragioni inerenti il regolare funzionamento della stessa. Ovviamente, rientrano nel blocco anche i licenziamenti individuali plurimi che sono una fattispecie particolare dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo che, nel caso di specie, è caratterizzato dal fatto che interessano, contemporaneamente, più lavoratori.

Ma allora, cosa resta fuori dal blocco?

Provo a fare una elencazione che, peraltro, potrebbe non essere esaustiva:

  • A) i licenziamenti per giusta causa che sono quelli che non consentono la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto. Si tratta di una previsione legale che non vincola il giudice alle fattispecie indicate del CCNL, a meno che quest’ultimo non consideri una ipotesi di giusta causa come un inadempimento per il quale debba essere prevista una sanzione di natura conservativa. Un eventuale licenziamento determinato da una condotta gravemente colposa del dipendente obbliga, comunque, il datore di lavoro alla procedura ed alle garanzie previste dall’art. 7 della legge n. 300/1970;
  • B) I licenziamenti per giustificato motivo soggettivo caratterizzati da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, ivi compresi quelli di natura disciplinare che comportano il rispetto della procedura di contestazione e di difesa formulata dall’art. 7 della legge n. 300/1970 e dai CCNL. In tale fattispecie può rientrare il licenziamento per scarso rendimento ove sussiste la dimostrazione di una condotta negligente e colpevole del dipendente tale da far risultare una enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi produttivi e quanto effettivamente realizzato nel periodo considerato;
  • C) i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, atteso che per la eventuale prosecuzione fino al limite dei 70 anni occorre il consenso del datore di lavoro, come ricordato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la decisione n. 17589 del 4 settembre 2015, non essendo, quello del dipendente, un diritto di natura potestativa;
  • D) i licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto ove si è in presenza di un iter “assimilabile” a quello del giustificato motivo oggettivo. Per completezza di informazione ricordo che il Legislatore al comma 7 dell’art. 7 della legge n. 604/1966 che riguarda la procedura per il tentativo obbligatorio di conciliazione nei casi in cui il datore di lavoro intenda procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, esclude, espressamente, da tale tentativo, i licenziamenti per superamento del periodo di comporto;
  • E) i licenziamenti per inidoneità;
  • F) i licenziamenti dei dirigenti ove la motivazione prevista è quella della “giustificatezza”: tale canone difetta del rigore che caratterizza i licenziamenti degli altri lavoratori in quanto, sotto l’aspetto oggettivo, la posizione assegnata al dirigente potrebbe non essere pienamente adeguata allo sviluppo strategico dell’impresa, cosa che consente il suo licenziamento nel quadro di un migliore posizionamento sul mercato (Cass. 11 giungo 2008, n. 15496); G) i licenziamenti dei lavoratori domestici, in quanto, in tali casi, il recesso è “ad nutum”, con il rispetto del preavviso contrattuale, a meno che si sia in presenza di mancanze talmente gravi da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto;
  • H) i licenziamenti dei lavoratori in prova, a seguito di atto sottoscritto dalle parti prima della instaurazione del rapporto, con l’indicazione precisa e puntuale delle mansioni e della durata;
  • I) la risoluzione del rapporto associativo nelle cooperative di produzione e lavoro per esclusione del socio che determina l’automatica cessazione del rapporto di lavoro subordinato stipulato secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001. Un eventuale recesso per giustificato motivo oggettivo adottato in questo periodo, sia esso individuale che collettivo a seguito di procedura di riduzione di personale, ricade nelle regole generali sulla preclusione e sulla sospensione che sono state pocanzi esaminate;
  • J) i licenziamenti dei lavoratori dello spettacolo, qualora nel contratto individuale di lavoro subordinato a tempo indeterminato c.d. “di scrittura artistica”, viene inserita la “clausola di protesta” che consente al datore di lavoro di risolvere unilateralmente il rapporto in via anticipata allorquando, per motivato convincimento dell’imprenditore, l’artista venga ritenuto non idoneo alla parte affidata. Sul punto, l’inserimento di detta clausola è stata riconosciuta legittima dalla Cassazione con la sentenza n. 3628 del 28 giugno 1979;
  • K) i licenziamenti di natura ideologica nelle associazioni di tendenza, laddove la motivazione, in relazione ai c.d. “portatori di tendenza”, è determinata dalla mancanza (originaria o sopravvenuta) di piena adesione degli stessi alla finalità etica dell’organizzazione (ad esempio, funzionario dirigente espulso dal sindacato, laddove l’adesione ideologica costituisca requisito essenziale della prestazione (Cass., 16 giugno 1994, n. 5832);
  • L) i licenziamenti degli sportivi professionisti assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (caso poco frequente in quanto la regola, largamente predominante, è quella dell’assunzione a termine), stipulato ai sensi della legge n. 91/1981: il recesso può discendere sia dall’art. 2118 c.c. che dal successivo art. 2119, ferma restando la possibilità della risoluzione consensuale ex art. 1372 c.c.. E’ stata, ad esempio, in passato, riconosciuto come motivato da giusta causa il licenziamento di un direttore sportivo di una società di calcio per prestazioni deludenti della squadra (Tribunale di Venezia, 14 settembre 1993) o quello di un calciatore professionista coinvolto nel c.d. “calcio scommesse” (Tribunale di Ascoli Piceno, 25 gennaio 2013);
  • M) la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo a seguito da parte del datore di lavoro della previsione contenuta nell’art. 2118 c.c.: in tale ipotesi non è ravvisabile il giustificato motivo oggettivo.

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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