Assegno di Ricollocazione e Bonus Rioccupazione: i chiarimenti dell’Inps
Un’approfondita analisi sul bonus rioccupazione per il titolare di assegno di ricollocazione che, durante la fruizione del servizio intensivo di assistenza nella ricerca di una nuova occupazione, accetta un nuovo lavoro.
Assegno di Ricollocazione e Bonus Rioccupazione
A 19 mesi dall’entrata in vigore della norma che consente, a determinate condizioni, ai lavoratori dichiarati eccedentari nel corso di interventi straordinari di integrazione salariale (art. 24-bis del decreto legislativo n. 148/2015, come introdotto dall’art. 1, comma 136, della legge n. 205/2017), l’INPS, attraverso la circolare n. 109 del 26 luglio 2019, ha fornito le proprie indicazioni operative concernenti l’assegno di ricollocazione ed il “bonus rioccupazione” in favore degli stessi.
Esse giungono in un momento nel quale l’assegno di ricollocazione, per quanto compatibile, è stato richiamato dal Legislatore anche per i contratti di espansione, disciplinati dall’art. 26-quater del decreto-legge n. 34 convertito, con modificazioni, nella legge n. 58). Con tale ultimo provvedimento, peraltro non strutturale in quanto, al momento, valido soltanto per gli anni 2019 e 2020, è stato “mandato in soffitta” il contratto di solidarietà espansiva e, addirittura, il contratto di espansione ne ha preso, integralmente, il posto, nell’art. 41 del decreto legislativo n. 148/2015, pur se con contenuti ed obiettivi profondamente diversi.
Ho già avuto modo di trattare, più volte, su questo blog, l’argomento dell’assegno di ricollocazione (da ultimo, nello scritto del 22 giugno 2018 che esaminava le questioni anche alla luce della circolare congiunta n. 11/2018 Ministero del Lavoro – ANPAL): l’analisi che segue, trattando gli argomenti che l’INPS ha ritenuto opportuno focalizzare, richiamerà alcuni concetti e chiarimenti già messi in evidenza nella nota appena richiamata.
Oggi, si parla di assegno di ricollocazione in più ambiti è quello identificato nell’art. 24-bis del decreto legislativo n. 148/2015 a richiamare l’attenzione.
L’assegno di ricollocazione
L’assegno di ricollocazione è uno strumento di politica attiva che intende attenuare gli effetti negativi derivanti da interventi di CIGS per ristrutturazione o crisi aziendale, laddove non sia stato previsto un recupero totale dell’occupazione. Con accordo sindacale, le parti possono (ovviamente, senza fare alcun nominativo) indicare quali siano gli ambiti dell’impresa ed i profili professionali a rischio di esubero. L’accordo va sottoscritto dai soggetti individuati dall’art. 24, comma 1 (RSU, RSA delle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale od organizzazioni territoriali o di categoria): ciò può avvenire in sede di ricorso alla CIGS ma anche durante la fruizione, in considerazione del fatto che il piano di risanamento e la congiuntura economica non sono in linea con gli obiettivi preposti.
Nei 30 giorni successivi alla stipula i lavoratori che si ritengano destinatari (per una serie di condizioni oggettive e soggettive) dell’accordo, possono chiedere all’ANPAL l’attribuzione dell’assegno di ricollocazione che può essere speso dagli interessati alfine di ottenere un servizio intensivo di assistenza alla ricerca del lavoro attraverso sia i centri per l’impiego che gli altri Enti accreditati come le Agenzie per il Lavoro.
Il valore dell’assegno che è graduato in relazione ad una serie di parametri (profilo di occupabilità, tipologia contrattuale, ecc.), è coordinato dall’ANPAL, e viene riconosciuto al soggetto che ha erogato il servizio, solo a risultato occupazionale acquisito.
Ma, a quanto ammonta l’assegno di ricollocazione?
La tavola 5 del testo allegato alla delibera n. 14/2018 dell’ANPAL ne definisce i valori minimi e massimi in caso di risultato occupazionale.
Restando, unicamente, legati alla fattispecie prevista dall’art. 24-bis del decreto legislativo n. 148/2015 si può affermare che:
- per i contratti a tempo indeterminato (compreso l’apprendistato, pur se tale tipologia non è richiamata, espressamente, dall’art. 24-bis e nulla, in proposito, ha detto la circolare n. 11, ma un accenno si rinviene nella circolare n. 109) il valore è compreso tra 1.000 e 5.000 euro (rivalutabili soltanto se dall’indice dei prezzi al consumo la percentuale sia pari o superiore al 5%). In caso di buon esito della ricollocazione l’assegno viene riconosciuto in due rate semestrali di pari importo, di cui la prima all’atto della stipula del singolo contratto;
- per i contratti a termine di durata pari o superiore a 6 mesi (l’art. 24-bis parla di contratti a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi) il valore è compreso tra 500 e 2.500 euro (anche qui valgono le stesse regole sulla rivalutazione evidenziate sub a). L’importo viene riconosciuto, se tutto è andato a buon fine, in un’unica soluzione, al momento della stipula del contratto;
- per i contratti a tempo determinato per un periodo compreso tra 3 e 6 mesi il valore è compreso tra 250 e 1.250 euro, rivalutabili alle stesse condizioni previste sub a). L’importo viene riconosciuto, in un’unica soluzione all’atto della stipula del contratto.
In caso di mancata conservazione del posto per il periodo minimo richiesto (12 mesi in presenza di un contratto a tempo indeterminato, 6 o 3 mesi per il contratto a termine) l’ANPAL provvederà al recupero, anche attraverso compensazione, secondo percentuali che variano a seconda che si tratti di assunzioni effettuate in “Regioni meno sviluppate” o meno.
Per la definizione dell’assegno di ricollocazione riveste particolare importanza l’indice di profilazione calcolato nel momento in cui il lavoratore ha presentato la richiesta. In caso di assunzione a tempo parziale (sia a termine che a tempo indeterminato) il risultato occupazionale, da riconoscere all’Ente che ha erogato il servizio, si considera raggiunto in presenza di una percentuale pari ad almeno il 50% del normale orario di lavoro, pur se il CCNL applicato preveda la possibilità di contratti a tempo parziale la cui durata settimanale possa essere inferiore a tale percentuale.
Il servizio di ricollocazione dura, al massimo, per tutto il periodo della CIGS, ma non può essere inferiore a 6 mesi. Il termine è prorogabile per fino ad ulteriori 12 mesi nel caso in cui alla fine dell’intervento integrativo salariale non sia stato utilizzato tutto l’ammontare dell’assegno.
Ma, operativamente, cosa debbono fare i soggetti interessati?
Debbono chiedere l’attribuzione dell’assegno all’ANPAL seguendo le indicazioni fornite da tale Ente con la nota n. 9352 del 23 luglio 2018.
La circolare congiunta n. 11/2018 Ministero del Lavoro- ANPAL ha chiarito, lo scorso anno un punto fondamentale: la richiesta dell’assegno di ricollocazione dalla CIGS preclude al lavoratore che non si sia rioccupato e che venga licenziato, come eccedentario, al termine della integrazione salariale straordinaria, di fare una ulteriore istanza per l’assegno di ricollocazione dei lavoratori in NASPI, trascorsi 4 mesi dall’inizio della fruizione.
Ci sono modalità particolari che il datore di lavoro deve osservare per la corresponsione delle somme fiscalmente detassate?
La circolare n. 11/2018 avrebbe dovuto, a mio avviso, consigliare, pur nel silenzio della norma, un “passaggio garantista” che riguarda le modalità relative alla corresponsione delle somme incentivanti: sarebbe, infatti, opportuno corrispondere le competenze di fine rapporto in “sede protetta” (art. 410 cpc, art. 411 cpc) per i riflessi legati al mancato pagamento dell’IRPEF rispetto alla quantificazione della somma complessiva esente.
Tale passaggio, previsto esplicitamente per l’offerta conciliativa ex art. 6 del decreto legislativo n. 23/2015, potrebbe essere necessario anche in una logica di correttezza e di verifica relativa alle somme esenti fiscalmente, che potrebbero essere sindacate, in un momento successivo, dall’Agenzia delle Entrate.
Qui, si pongono, poi, ulteriori questioni, non affrontate nella circolare n. 11.
La prima riguarda le modalità di risoluzione del rapporto di lavoro, allorquando il lavoratore dovesse accettare l’opportunità lavorativa offerta dal centro per l’impiego o da altro Ente accreditato (tra l’altro, è bene sottolineare come la mancata accettazione non comporti alcuna penalizzazione).
Se il dipendente in integrazione salariale risolverà consensualmente il rapporto o darà le proprie dimissioni, ciò dovrà essere effettuato attraverso la procedura telematica richiamata dall’art. 26 del decreto legislativo n. 151/2015, a meno che la risoluzione non avvenga in sede di conciliazione ex art. 410 e 411 cpc, o secondo l’iter specifico previsto per le donne in “periodo protetto”.
Se, invece, formalmente, si procederà con un licenziamento, il datore di lavoro dovrà versare il “ticket di ingresso alla NASPI” (sicuramente, non maggiorato, in quanto non avvenuto al termine di una procedura collettiva): tale obbligo sussiste in quanto non è applicabile l’esimente prevista dal comma 34 dell’art. 2 della legge n. 92/2012 che riguarda soltanto i licenziamenti nei cambi di appalto seguiti dalle successive assunzioni in ottemperanza di clausole sociali e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato in edilizia motivati dal completamento dell’attività o dalla chiusura del cantiere.
C’è, a questo punto, una domanda che riguarda il datore di lavoro che ha in forza il lavoratore “eccedentario” che cessa il proprio rapporto di lavoro: quale vantaggio può ottenere, ad esempio, sotto l’aspetto della realizzazione del programma di riorganizzazione aziendale in corso?
La risposta è che l’esodo incentivato di personale eccedentario lo mette sulla strada del raggiungimento dell’obiettivo del recupero occupazionale dei lavoratori interessati alle sospensioni o alle riduzioni di orario, fissato nella misura minima del 70% dall’art. 1, lettera f) del D.M. n. 94033/2016, attuativo dell’art. 21 del decreto legislativo n. 148/2015. Infatti, nel calcolo del recupero occupazionale vanno compresi anche quei lavoratori riassorbiti in altre imprese sulla base di iniziative volte alla gestione “non oppositiva” delle eccedenze.
Appare chiaro che nella visita di controllo finalizzata balla realizzazione del piano di riorganizzazione richiesto dalla circolare n. 27/2016 della Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e per la Formazione del Ministero del Lavoro, gli ispettori del lavoro non potranno che valutare positivamente tale soluzione.
Il “bonus rioccupazione”
Ma come detto in precedenza, l’assegno di ricollocazione è una misura di politica attiva ma, affinchè questa possa essere “resa appetibile”, occorre mettere in campo alcuni stimoli che il Legislatore ha individuato in una facilitazione di natura fiscale per il lavoratore che esce dal posto di lavoro, in un “bonus rioccupazione” ed in un incentivo per l’occupazione in favore del datore di lavoro che, senza esservi tenuto e non avendo alcun legame di collegamento o controllo con il precedente imprenditore, neanche per interposta persona, procede, alla instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro.
Alfine di invogliare i lavoratori a “rompere” il cordone ombelicale che li “lega” alla propria azienda attraverso la fruizione dell’integrazione salariale straordinaria in una situazione che vede, comunque, un esubero accertato di personale, il Legislatore ha previsto un taglio fiscale: fino ad un massimo di 9 mensilità calcolate sulla retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR, non si paga l’IRPEF. Le eventuali somme ulteriori sono oggetto del normale trattamento fiscale.
Gli importi esenti da imposizione fiscale sono, sostanzialmente, quelli legati al riconoscimento di un incentivo all’esodo.
L’esenzione IRPEF: non è una cosa nuova nel nostro ordinamento lavoristico in quanto il Legislatore, nell’intento di favorire la conciliazione facoltativa in caso di licenziamento avvenuto con le regole introdotte dal decreto legislativo n. 23/2015, ha previsto, all’art. 6, che sulle somme riconosciute e correlate all’anzianità aziendale, calcolata sull’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR, non si paghi l’IRPEF. Per completezza di informazione va sottolineato come, per effetto della decisione della Corte Costituzionale n. 194/2018, la conciliazione facoltativa, ad accettazione del licenziamento, nelle aziende dimensionate oltre le 15 unità, abbia perso molto “appeal”.
La circolare n. 109 ricorda che la materia relativa al calcolo del TFR è disciplinata dall’art. 2120 c.c. e che comprende tutte le somme, ivi comprese quelle equivalenti in natura, corrisposte o dovute a causa del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, con la sola, ovvia, esclusione delle somme corrisposte a titolo di rimborso spese.
Per completezza di informazione ed aprendo una breve parentesi sul tema, credo che una riflessione debba essere riservata agli elementi non occasionali della retribuzione utili ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto: vanno computati quelli collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione (Cass., 19 febbraio 2009; Cass., 3 novembre 2008, n. 11002) o in dipendenza con le mansioni stabilmente svolte (Cass., 14 giugno 2005, n. 24875). Da ciò discende che ai fini del calcolo è sufficiente che il lavoratore ne abbia goduto in via normale, pur non essendo lo stesso definitivo. Vanno esclusi soltanto gli elementi sporadici ed occasionali, collegati a situazioni aziendali fortuite ed imprevedibili. Per i beni in natura (ad esempio, l’alloggio) occorre fare riferimento al valore normale del bene e non all’eventuale valore convenzionale fissato ai fini fiscali o contributivi.
A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, si riportano alcune voci relative alla computabilità:
- a) lavoro straordinario: ci rientra se prestato con frequenza in relazione alla particolare organizzazione del lavoro o, anche, allorquando viene forfetizzato;
- b) indennità per lavoro notturno, festivo o a turni: ci rientra se essa è espressione della normale programmazione aziendale;
- c) alloggio: ci rientra se c’è una effettiva connessione tra l’attribuzione e la posizione lavorativa (Cass., 12 aprile 1995, n. 4197);
- d) premi di fedeltà: ci rientrano se la liberalità originaria si è trasformata in un vincolo obbligatorio (Cass., 29 febbraio 2008, n. 5427);
- e) indennità di trasferta: ci rientra se costituisce una stabile componente della retribuzione (Cass., 24 febbraio 1993, n. 2255);
- f) indennità per i trasfertisti: ci rientra se il disagio derivante dall’attività fuori sede viene retribuito in modo strutturale come voce della retribuzione ordinaria (Cass., 20 dicembre 2005, n. 28162);
- g) indennità per lavoratori impegnati all’estero: ci rientrano in quanto viene compensata la maggiore gravosità ed il disagio ambientale (Cass., 19 febbraio 2004, n. 3278);
- h) indennità di cassa se corrisposta in maniera continuativa (Cass., 7 giugno 1968 n. 1739);
- i) indennità di cuffia (Cass., 10 maggio 1980, n. 3089);
- l) indennità sostitutiva del preavviso pur non essendo il corrispettivo di una prestazione di lavoro (Cass., 22 febbraio 1993, n. 2114).
E’, indubbiamente, un incentivo notevole di cui si fa carico la fiscalità nazionale ma non è il solo per il lavoratore (anche se questo potrebbe, talora, non esserci o avere un importo ridotto): è, infatti, previsto che, qualora, al momento della effettiva ricollocazione presso altro datore di lavoro, stia fruendo del trattamento di CIGS, possa mantenerlo, fino alla scadenza, sia pure ridotto del 50%.
Ma quale natura ha tale ultimo “bonus rioccupazione”?
La circolare n. 109 ci ricorda che ci si trova di fronte ad un contributo economico che spetta a partire dal giorno dell’assunzione presso altro datore ed è strettamente correlato sia alla scadenza dell’ammortizzatore che al periodo già fruito relativo al trattamento di CIGS. Il pagamento, predisposto dall’INPS, avverrà in un’unica soluzione con l’accredito sul conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata comunicata dall’ANPAL secondo le indicazioni del soggetto interessato.
Sotto l’aspetto meramente operativo l’INPS accentra tutte le operazioni (istruttoria e pagamento diretto) presso la sede territoriale di Ascoli Piceno. La fase istruttoria postula la verifica dell’avvenuta riassunzione del lavoratore, la tipologia contrattuale ed il fatto che l’azienda assumente non si trova in una di quelle condizioni (collegamento e controllo con la precedente) alle quali ho fatto cenno pocanzi.
Ma, da un punto di vista fiscale, come viene considerato tale importo?
È soggetto ad IRFEF e l’INPS, quale sostituto d’imposta, effettua le ritenute essendo un reddito assimilato a lavoro dipendente: di conseguenza, a fine anno, ci sarà il rilascio della certificazione unica e, qualora ne ricorrano le condizioni, il conguaglio fiscale.
Tipologie contrattuali di ricollocazione e benefici per i datori di lavoro
Ma quali sono i contratti di lavoro che consentono la ricollocazione agevolata?
E’ lo stesso Legislatore a parlare di contratto a tempo indeterminato (che, ovviamente, può essere anche a tempo parziale) o di contratto a termine: la circolare n. 109 ritiene incentivabili, tenuto conto della finalità della norma (ricollocazione dei lavoratori eccedentari) anche il contratto di somministrazione con i benefici per il datore trasferiti in capo all’utilizzatore, secondo la previsione dell’art. 31, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 150/2015 ed il contratto di lavoro subordinato, ulteriore rispetto a quello associativo, stipulato nelle cooperative di produzione e lavoro secondo la previsione contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001.
Anche l’apprendistato che è un contratto a tempo indeterminato a contenuto formativo (art. 41 del decreto legislativo n. 81/2015) può essere foriero di benefici, afferma la circolare n. 109: mi sembra, tuttavia (ma l’INPS non lo specifica chiaramente, parlando soltanto di rispetto del decreto legislativo n. 81/2015) che non si possa parlare di apprendistato professionalizzante (art. 47, comma 4) per i lavoratori ultra ventinovenni in quanto la norma richiede che siano titolari di un trattamento di disoccupazione (NASPI, DIS-COLL, ecc.), requisito non rinvenibile nei lavoratori in questione che transitano, senza soluzione di continuità, dalla integrazione salariale alla rioccupazione.
Restano fuori dalla agevolazione sia il contratto di lavoro domestico, per la peculiarità del rapporto che il lavoro intermittente che, pur nella forma del tempo indeterminato, ha natura episodica e saltuaria e la prestazione resta vincolata unicamente alla “chiamata” del datore di lavoro.
Ma, tornando al “tema” della ricollocazione, quali sono, sotto l’aspetto contributivo, i vantaggi per il datore di lavoro che assume?
Essi consistono nell’esonero del 50% dei complessivi contributi previdenziali ed assistenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 4.030 euro annui, rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT per 18 mesi nel caso in cui l’assunzione avvenga a tempo indeterminato e per un massimo di 12 mesi qualora l’instaurazione del rapporto avvenga a termine. Se il contratto a tempo determinato si trasforma, il beneficio viene riconosciuto per altri 6 mesi fino a giungere ai complessivi 18 mesi.
L’INPS, nella circolare n. 109, tratta l’argomento “en passant” ma, in considerazione che il Legislatore ha ripetuto, pedissequamente, le stesse parole adoperate in provvedimenti precedenti, si può affermare che la norma, oltre a non toccare i contributi ed i premi INAIL, non tocchi neanche i c.d., “contributi minori”, evidenziati, in passato, da diverse circolari INPS come, ad esempio, la n. 57/2016, per cui si può sostenere che siano, comunque, dovuti (salvo diversa indicazione dell’Istituto):
- i premi e contributi INAIL;
- i contributi, se dovuti, al Fondo per l’erogazione del TFR previsto dall’art. 2120 c.c.;
- i contributi, se dovuti, ai Fondi bilaterali per l’integrazione salariale o a quello di integrazione salariale di cui parla il decreto legislativo n. 148/2015;
- lo 0,30% previsto dall’art. 25, comma 4, della legge n. 845/1978 per i datori che aderiscono ai fondi interprofessionali;
- il contributo di solidarietà per la previdenza complementare ed i fondi di assistenza sanitaria ex lege n. 166/1991;
- il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo e quello per gli sportivi professionisti previsti dal decreto legislativo n. 166/1997.
Tale agevolazione contributiva, ricorrendone le condizioni, sarà cumulabile con altri benefici erogati dall’Istituto, sulla base di specifiche norme e sarà corrisposta pur in presenza di qualche situazione ostativa richiamata dall’art. 31 del decreto legislativo n. 150/2015?
La risposta, in attesa di chiarimenti specifici dell’INPS, sembrerebbe propendere per la incumulabilità e per il rispetto delle condizioni previste dall’art. 31 del decreto legislativo n. 150/2015 , dell’art. 1, commi 1175 e 1176 della legge n. 296/2006 e del “de minimis”, regolamentato dalla Legislazione comunitaria..
C’è, infine, una ultima domanda alla quale è necessario rispondere: nel nostro “frastagliato” panorama normativo relativo alle agevolazioni per le assunzioni, esiste già un qualcosa che favorisca l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori in CIGS, senza passare per l’iter procedimentale previsto dall’art. 24-bis?
La risposta è positiva e, probabilmente, per il solo datore di lavoro che, senza esservi tenuto, procede all’assunzione è, abbastanza, favorevole.
Mi riferisco all’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 148/1993, convertito, con modificazioni, nella legge n. 236, ove l’assunzione a tempo indeterminato, da parte di un datore di lavoro che non vi sia tenuto, di un cassaintegrato da almeno 3 mesi, anche non continuativi (con l’azienda che beneficiaria del trattamento integrativo da almeno 6 mesi) viene “premiata” con una contribuzione ridotta (10%) per 12 mesi pari a quella stabilita, in via ordinaria, per gli apprendisti, ferma restando quella a carico del lavoratore.
L’agevolazione non spetta se:
- il datore di lavoro ha in corso interventi integrativi salariali straordinari, a meno che gli stessi non riguardino lavoratori con professionalità diverse;
- ha proceduto a riduzioni di personale nei 12 mesi antecedenti, a meno che le stesse non abbiano riguardato lavoratori con professionalità diverse;
- l’assunzione deriva da un obbligo legale come, ad esempio, si verifica allorquando l’impresa “ingloba” con il passaggio di azienda o di un ramo di essa (art. 2112 c.c.) tutto il personale in forza presso l’azienda cedente.
Ovviamente, il beneficio postula il rispetto delle norme sulla regolarità contributiva e delle altre sopra richiamate.
Fino al 31 dicembre 2016 la disposizione contenuta nel decreto-legge n. 148/1993 prevedeva che al datore di lavoro assumente fosse corrisposto per un massimo di 36 mesi (in relazione all’età del lavoratore ed alla ubicazione geografica), con una riduzione di 3 mesi, un beneficio economico ulteriore pari al 50% dell’indennità di mobilità: esso è venuto meno con la fine di quest’ultima, a partire dal 1° gennaio 2017, secondo la previsione contenuta nella legge n. 92/2012.
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