Il contratto a termine tra causali difficili e stagionalità: la soluzione nel trasporto aereo [E.Massi]
Un’analisi della causale reintrodotta per i contratti a termine dal cosiddetto Decreto Dignità. Alcune considerazioni per uscire da questa “ristrettezza normativa”
Ho avuto, più volte, modo di soffermarmi su una caratteristica importante del nuovo contratto a tempo determinato: quella della difficoltà, in sede di rinnovo o di durata oltre i dodici mesi, di individuare una causale che, rifacendosi alle condizioni riportate nelle lettere a) e b) del comma 1, dell’art. 19, potesse ben attagliarsi alle esigenze delle imprese. Ovviamente, le “ragioni di sostituzione di altri lavoratori” sono fuori da tale questione, in quanto mi riferisco alle “esigenze temporanee ed oggettive” ed agli “incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”.
Una delle strade per uscire da questa “ristrettezza normativa” è rappresentata dal ricorso alla stagionalità delle attività che sono quelle identificate dal D.P.R. n. 1525/1963 (in attesa di una revisione ormai demandata, da anni, ad un D.M. del Ministro del Lavoro) e dalla contrattazione collettiva la quale, secondo l’interpretazione fornita dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015, fa riferimento alle organizzazioni di settore comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ed alle loro emanazioni territoriali od aziendali (la RSA) o la RSU, sicché la identificazione della stagionalità può avvenire anche con la contrattazione di secondo livello.
Senza entrare nel merito delle caratteristiche specifiche del contratto per le attività stagionali, mi preme ricordarne alcune caratteristiche:
- non esiste un tetto massimo di ventiquattro mesi o diverso stabilito dalla contrattazione collettiva;
- non esiste lo “stop and go” tra un rapporto e l’altro che ben possono legarsi tra di loro senza soluzione di continuità;
- non esiste alcun diritto di precedenza correlato ad una possibile assunzione a tempo indeterminato: infatti, l’art. 24 del D.L. vo n. 81/2015 stabilisce che l’esternazione per iscritto della volontà del lavoratore di esercitarlo, deve essere effettuata entro i tre mesi successivi alla fine del precedente contratto (salvo limite diverso stabilito dalla contrattazione collettiva) e concerne, soltanto, la possibilità di essere assunto per una nuova attività stagionale;
- non esiste alcun limite quantitativo (art. 23);
- le proroghe sono quattro ma, a mio avviso, sulla base di una interpretazione di sistema (che non esamino in questa sede in quanto mi porterebbe lontano dall’oggetto della presente riflessione) e in assenza di orientamenti da parte del Ministero del Lavoro e della Magistratura vanno intese con riferimento al singolo contratto stagionale come, ad esempio, affermato nell’art. 18 del CCNL per l’industria alimentare, modificato a seguito dell’accordo del 7 novembre 2014 tra le parti sociali, ove le quattro proroghe sono riferite al contratto stagionale la cui durata non può eccedere gli otto mesi.
Il 19 novembre 2018 le organizzazioni datoriali e sindacali del settore del trasporto aereo, alfine di superare lo scoglio delle nuove causali, hanno fornito una risposta misurata alle questioni che si andavano addensando ed hanno sottoscritto un accordo, fino al 30 giugno 2019 (perché entro quella data si dovrebbe dar corso al rinnovo del CCNL) valido per il trasporto aereo e per i servizi aeroportuali, caratterizzati, in certi periodi dell’anno dalla intensificazione del traffico passeggeri e delle merci: si tratta di attività di natura ciclica e ripetitiva che non possono rientrare, assolutamente, nella causale b) che fa riferimento ad incrementi temporanei, significativi (ambedue rilevabili) e non programmabili (difficile da sostenere, atteso che il “maggior lavoro” si riscontra, grosso modo, negli stessi periodi).
I firmatari dell’accordo hanno, in un certo senso, ripreso, in larga parte, i contenuti del vecchio art. 2 del D.L. vo n. 368/2001, andato “in soffitta”, per abrogazione, dal 1° gennaio 2017
I contenuti dell’accordo sono i seguenti:
- le imprese del settore possono stipulare contratti a termine stagionali per un massimo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre, e di quattro mesi per periodi distribuiti in modo diverso;
- i contratti a tempo determinato, proprio perché stipulati per attività stagionali, non rientrano nel tetto massimo di ventiquattro mesi previsto dal Legislatore;
- l’assunzione con contratti a tempo determinato non è soggetta ad alcun limite quantitativo (art. 23) nel caso in cui, in modo concomitante, non si faccia ricorso alla somministrazione: in caso contrario, non può essere superato il “tetto quantitativo” del 15% calcolato sul personale a tempo indeterminato in forza alla data del 31 dicembre dell’anno precedente al quale si riferiscono le assunzioni. Qui, come si vede, le parti sociali vedono, con più favore, il ricorso al contratto a termine piuttosto che alla somministrazione, sia pure a tempo determinato;
- i contratti a termine stagionali debbono riportare, nella lettera di assunzione, il riferimento alla “stagionalità”;
- le parti fanno salve le intese già raggiunte o in via di definizione, con accordi di secondo livello, per imprese che si trovano in procedura di amministrazione straordinaria.
C’è, poi, la questione del contributo aggiuntivo dello 0,50%.
Il pagamento dello stesso è destinato ad incrementare le risorse per il finanziamento della NASPI: la circolare n. 17/2018 del Ministero del Lavoro, interpretando l’art. 3, comma 2, del D.L. n. 87/2018, ha definito tale percentuale come progressiva in ogni rinnovo. Ciò significa che laddove si paga già l’1,40% aggiuntivo per ogni contratto a tempo determinato (e la stagionalità prevista dalla contrattazione collettiva vi rientra a pieno titolo, a differenza di quella ex DPR n. 1525/1963 che ne è esclusa) con il ripetersi dei rinnovi, si avrà un aggravio notevole, nel corso degli anni, relativamente al costo contributivo.
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