I controlli bancari degli ispettori del lavoro relativi alla tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi [E.Massi]
Un’analisi che approfondisce i chiarimenti della nota 7369 dell’Ispettorato del Lavoro sulla tracciabilità dei compensi
Con la nota n. 7369 del 10 settembre 2018, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alle proprie articolazioni periferiche una serie di indicazioni operative conseguenti alle modalità concordate con l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) relative alla verifica dell’effettività dei pagamenti effettuati dai datori di lavoro.
L’analisi che segue, renderà conto dei chiarimenti riportati nella nota sopracitata ma, per completezza di informazione, non potrà non ricapitolare gli aspetti essenziali delle disposizioni in vigore dal 1° luglio 2018, peraltro già trattati su questo blog con una precedente riflessione.
Effettivamente, molte cose sono cambiate nel rapporto tra datore di lavoro (soprattutto, di piccole e medie dimensioni), lavoratori e collaboratori autonomi : infatti, con alcune disposizioni inserite nei commi da 910 a 914 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, il Legislatore ha imposto, per qualsiasi prestazione lavorativa sia subordinata che di collaborazione coordinata e continuativa (ma anche per quelle dei soci lavoratori), la piena tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi.
L’assoluto divieto di corrispondere la retribuzione, ivi compresi gli anticipi, attraverso il denaro contante direttamente al lavoratore, a prescindere dalla tipologia contrattuale intercorrente, viene chiaramente evidenziato nel comma 911.
La tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi è destinata, essenzialmente, verso quei datori di lavoro (che, purtroppo, esistono) i quali, in busta paga, riportano la retribuzione contrattuale ma che, nella sostanza, in contanti, danno al lavoratore una somma minore: sono ben cosciente che, purtroppo,.forme di pressione nei confronti dei lavoratori ci saranno e, magari, con minacce più o meno velate, una parte del dovuto potrà essere sottratta con evidenti rilievi di natura penale che potranno portare gli organi di vigilanza segnalare il tutto, con prove, all’autorità giudiziaria: tuttavia, il passo del Legislatore è, senz’altro, da apprezzare.
L’analisi che segue, tiene conto, oltre che della nota del 10 settembre, anche delle indicazioni fornite dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la lettera n. 5828 del 4 luglio 2018: essa non può che iniziare dall’ampia definizione di rapporto di lavoro che, ai fini della previsione del comma 910, stabilisce il comma 912. Vi rientrano:
- i rapporti di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.. È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, attraverso la corresponsione di una retribuzione, a collaborare con il datore, fornendo il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Il successivo art. 2095 c.c. distingue i lavoratori subordinati in dirigenti, quadri, impiegati ed operai. Tali rapporti rientrano, a pieno titolo, nella nuova disciplina a prescindere dalla tipologia, dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione (tempo indeterminato, tempo determinato, intermittente, part-time, lavoro a domicilio, telelavoro, smart-working, ecc.). Le prestazioni occasionali ex art. 54-bis della legge n. 96/2017 (che, peraltro, è stato di recente, modificato, con le leggi n. 205/2017 – società sportive- e n. 96/2018 – agricoltura, turismo ed attività ricettive ed Enti locali-) sono, di per se stesse, già tracciate in quanto i pagamenti avvengono attraverso la piattaforma telematica dell’INPS;
- i contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Tali tipologie riguardano i committenti ed i collaboratori: la prestazione è esclusivamente personale, continuativa e le modalità di esecuzione ed i tempi di lavoro sono organizzate dal prestatore (e non dal committente) con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro (art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015) o dove si realizzano le condizioni previste dall’art. 409, n. 3, cpc, come modificato dall’art. 15 della legge n. 81/2017. La norma trova applicazione anche per le ipotesi particolari stabilite al comma 2 come, ad esempio, per i compensi dei componenti dei collegi sindacali e dei consigli di amministrazione. Il Legislatore non cita le forme di lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c. che, di conseguenza, appaiono escluse: tale orientamento è confortato sin dalle prime note di chiarimento dell’INL;
- gli ulteriori contratti di lavoro, oltre il vincolo associativo, stipulati dai soci delle cooperative, secondo la previsione contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001.
La previsione normativa parla di “tracciabilità” della retribuzione (ossia di tutte quelle voci continuative ed occasionali che la compongono) e dei compensi concordati tra le parti (la disposizione riguarda anche le ipotesi derogatorie previste dal comma 2 dell’art. 2 del D.L. vo n. 81/2015), anche di quella parte di salario che viene corrisposta a titolo di anticipo. Restano, ovviamente, fuori dalla tracciabilità quelle somme che sono dovute, ad esempio, a “copertura” delle spese di trasferta, purchè “rendicontate”.
L’utilizzo degli strumenti “tracciabili”, ricorda la nota n. 7369, non è obbligatorio per la corresponsione di somme dovute a titolo diverso come, ad esempio, quelle che si riferiscono a spese che i lavoratori sostengono nell’interesse del datore e della loro prestazione: mi riferisco agli anticipi ed ai rimborsi spese per viaggio, vitto e alloggio che, se documentate anche “ex post”, possono continuare ad essere erogate in contanti.
A tal proposito, l’INL sottolinea come l’indennità di trasferta, la cui natura è “mista” (risarcitoria e retributiva solo in presenza di certe caratteristiche ed importi) rientri all’interno della tracciabilità: la ragione di tale orientamento risiede nel fatto che il personale di vigilanza deve essere messo in condizione di verificare se gli importi versati anche in via “forfettaria”, rientrino nei limiti di imponibilità fiscale e contributiva ex art. art. 51, comma 5, del DPR n. 917/1986.
L’obbligo scaturente dal comma 910 riguarda tutti i datori di lavoro ed i committenti che operano nel nostro Paese e, quindi, anche coloro che, pur appartenenti alla UE, ma anche extra-comunitari, operano in Italia, ai sensi del D.L. vo n. 136/2016. Esso impone ai datori di lavoro ed ai committenti di corrispondere quanto dovuto al proprio personale o ai prestatori attraverso uno dei seguenti mezzi:
- bonifico sul conto corrente identificato dal codice IBAN del lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento si intende comprovato allorquando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale del lavoratore purchè di età non inferiore ai 16 anni. Appare chiaro come, al di fuori di tale casistica, l’impossibilità a ricevere l’assegno debba essere provato, in caso di contenzioso anche con gli organi di vigilanza. Per quel che concerne la delega è ipotizzabile una forma semplice con delega sottoscritta dal lavoratore interessato e con copia del documento contenente gli estremi dello stesso.
La definizione dei mezzi di pagamento effettuata dal Legislatore ha portato l’Ispettorato Nazionale del Lavoro a definire lecite anche altre modalità di pagamento che possono, così, essere riassunte:
- pagamento effettuato attraverso conto corrente ordinario, senza apertura di alcun “conto di tesoreria”;
- pagamento effettuato attraverso vaglia postale con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola della non trasferibilità;
- pagamento effettuato con assegni circolari, vaglia postali e cambiari di importo inferiore a 1.000 euro senza la clausola di trasferibilità purchè siano esplicitati nella causale i dati dell’operazione (datore di lavoro che effettua il versamento, lavoratore beneficiario, data, importo dell’operazione e mese di riferimento della retribuzione o del compenso).
Una breve riflessione sulle modalità di pagamento: si potrebbe registrare una certa difficoltà laddove il lavoratore o il prestatore non ha un conto corrente bancario o postale, o uno strumento di pagamento elettronico e le retribuzioni da pagare sono “limitate” nell’importo (si pensi ai contratti a termine fino a tre giorni per servizi particolari nei settori del turismo e dei pubblici esercizi, a lavori “a chiamata” di breve durata o ai “riders” che consegnano i pasti a domicilio). In assenza di chiarimenti amministrativi si ritiene che le modalità più semplici per adempiere all’obbligo legale siano quelle che si realizzano con la consegna di un assegno o con il pagamento in contanti presso uno sportello o anche (perché vi è, comunque, tracciabilità) attraverso un vaglia postale nominativo non trasferibile.
La tracciabilità riguarda anche i compensi e le retribuzioni corrisposte in sede di conciliazione ex art. 410 e 411 cpc o ex art. 11 del D.L.vo n. 124/2004: qualora venga stabilito un pagamento rateale per voci riferibili al rapporto di lavoro intercorso anche gli importi correlati, sia pure indirettamente alla voce “stipendi o compensi” (ad esempio, differenze paga, straordinari, provvigioni, ecc.), esse dovranno essere corrisposte con una tra le modalità indicate dal Legislatore o dalla nota n. 7369.
Quest’ultimo chiarimento dell’INL dedica parecchia attenzione alle modalità per effettuare le verifiche presso gli Istituti di credito, laddove, dagli accertamenti ispettivi risulti dubbia l’effettiva corresponsione della retribuzione o del compenso nei modi sopra elencati. Va sottolineato come la nota sia stata condivisa sia con l’ABI che con l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro.
Si tratta di situazioni diverse che provo, succintamente, a riassumere:
- pagamento attraverso bonifico su conto identificato con il codice IBAN dal lavoratore: l’ispettore del lavoro indicherà l’IBAN di riferimento (anche se il dipendente ha fornito, per iscritto, quale IBAN, quello intestato ad un soggetto diverso). La banca del datore può verificare se nel periodo di riferimento siano stati disposti ordini di bonifico e fornire, quali informazioni, la data di regolamento, il codice identificativo dell’operazione e l’importo. Può essere segnalato l’eventuale storno dell’operazione;
- pagamento con strumenti elettronici: l’ispettore dovrà fornire all’Istituto di credito le stesse informazioni necessarie per il bonifico, atteso che i pagamenti su carta di pagamento dotata di IBAN avvengono tramite tale mezzo. Se la carta prepagata non è dotata di IBAN l’avvenuto pagamento può essere dimostrato dal datore esibendo la ricevuta rilasciata dalla banca che ha emesso la carta e nella quale sono riportati l’importo e la data della ricarica;
- pagamento in contanti attraverso conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento o mediante conto corrente/conto di pagamento ordinario: gli Ispettorati territoriali, attraverso il proprio personale di vigilanza, dovranno comunicare alla banca del datore il codice fiscale ed i dati anagrafici dei prestatori interessati. La risposta dell’Istituto può essere triplice: il lavoratore ha riscosso la somma (con l’indicazione della data),n la retribuzione è a disposizione dell’interessato ma non è ancora stata riscossa, le somme sono state restituite al datore “per compiuta giacenza” che, in genere si ha per un periodo limitato);
- pagamento attraverso un assegno di conto corrente direttamente al lavoratore o a un suo delegato, in caso di comprovato impedimento: le strutture periferiche dell’INL possono chiedere all’Istituto di credito del datore di lavoro notizie relative agli assegni tratti e pagati, con indicazione dei numeri di riferimento. La banca potrà fornire informazioni relative agli importi, ai codici ABI e CAB degli Istituti che hanno trattato gli assegni, la data di pagamento e l’eventuale esito dell’assegno (copertura o meno). Se i lavoratori interessati alla verifica hanno fornito agli ispettori i codici ABI e CAB della banca negoziatrice, le informazioni potranno essere chieste direttamente a quest’ultima. Se il pagamento è avvenuto con assegno circolare, la banca potrà fornire il nominativo del beneficiario del titolo emesso.
Ma, come dovrà avvenire la richiesta di informazione agli Istituti?
L’INL ha fornito un fac-simile da riempire e da inviare via PEC alla filiale interessata: la risposta di quest’ultima dovrà pervenire secondo i termini concordati di volta in volta che, comunque, non sono inferiori a 30 giorni e che possono variare in ragione del tipo di accertamento e di indagine richiesta.
Ovviamente, conclude la nota dell’INL, laddove gli ispettori del lavoro accertassero un pagamento in contanti mensile pari o superiore ai 3.000 euro sarebbero tenuti, scattando la normativa antiriciclaggio e configurandosi la violazione ex art. 49, comma 1, del D.L.vo n. 231/2007, a segnalare il tutto alla Ragioneria Territoriale dello Stato competente per territorio (conta il luogo dell’avvenuto pagamento o, in subordine, dell’accertamento), per la successiva contestazione dell’illecito amministrativo ex art. 58. Tale ipotesi, molte volte difficile da dimostrare, può ricorrere allorquando, soprattutto in località turistiche e per alcune specifiche professionalità, vengono corrisposte (con un accordo tacito tra le parti) una retribuzione contrattuale (tracciata) ed un’altra ben più consistente “in nero”.
Fatta questa breve digressione sugli accertamenti bancari ritengo opportuno tornare, per completezza di analisi, agli esami delle altre disposizioni introdotte.
Il comma 912 afferma che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce, in alcun modo, prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Non è questo, assolutamente, un qualcosa di nuovo che piomba all’improvviso nel nostro ordinamento in quanto, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, la sottoscrizione “per ricevuta” non comporta, in modo univoco, l’effettivo pagamento della somma indicata non avendo efficacia di quietanza (Cass., n. 6267/1988; Cass. n. 7310/2001). Tale espressione, ricordano i giudici di Piazza Cavour, “non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche ad ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 c.c. e seguenti”.
Questo concetto è stato maggiormente esplicitato sempre dalla Cassazione con le sentenze n. 24186/2008 e n. 14411/2011, laddove è stato affermato che la consegna della busta paga (o prospetto paga), pur se accompagnata dalla sottoscrizione del dipendente “per ricevuta”, non è sufficiente di per sè a dimostrare l’avvenuto pagamento della retribuzione, ma concorre, insieme ad altri elementi, a fornire una presunzione dell’avvenuta estinzione dell’obbligazione retributiva.
Per completezza di informazione, ricordo che il cedolino paga può essere trasmesso attraverso un messaggio di posta elettronica su un indirizzo del lavoratore munito di password (interpello del Ministero del Lavoro n. 1/2008): esso può essere inviato anche dal consulente del lavoro delegato all’assistenza del datore che, in ogni caso, resta responsabile della consegna, ricadendo sullo stesso l’onere della prova. Ciò vale anche per la società capogruppo all’interno dei gruppi societari (interpello Ministero del Lavoro n. 8/2010). L’obbligo della consegna del cedolino può essere adempiuto anche collocando il prospetto paga su un sito web, dotato di un’area riservata, con accesso consentito al solo dipendente interessato (interpello Ministero del Lavoro n. 13/2012).
La violazione dell’obbligo della tracciabilità delle retribuzioni e dei compensi comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa (comma 913) compresa tra 1.000 e 5.000 euro. Nulla di più stabilisce il Legislatore ma la nota dell’INL del 4 luglio 2018 afferma che l’apparato sanzionatorio va riferito “alla totalità dei lavoratori in forza presso il singolo datore di lavoro con la conseguenza che la sua applicazione prescinde dal numero dei lavoratori interessati dalla violazione”, e, quindi, le sanzioni sono tante quante le mensilità per cui si è protratto l’illecito. Ovviamente, l’istituto della diffida non è applicabile in quanto la violazione è già avvenuta e, di conseguenza, gli importi possono essere definiti “in misura ridotta” ex art. 16 della legge n. 689/1981 (1666,66 euro al mese).
A me sembra che l’interpretazione dell’INL porti ad una sanzione abbastanza lieve nei confronti di quei datori di lavoro che violano la norma per un numero considerevole di lavoratori: essi vengono posti sullo stesso piano di colui che viola il precetto con un solo lavoratore.
La “ratio” della disposizione appare evidente: si vuole togliere il lavoratore da un possibile stato di soggezione (che, purtroppo, come detto,continua ad esserci in determinati contesti) e, in tal modo, si vuole sottolineare il principio che l’unica attestazione dell’avvenuto pagamento della retribuzione è rappresentata dalla “traccia” lasciata in uno dei quattro modi per pagare indicati dal Legislatore.
Tutto questo, è bene sottolinearlo, non incide sugli adempimenti relativi alla busta paga fissati dalla legge n. 4/1953.
Il datore di lavoro deve consegnare al proprio personale un prospetto paga siglato o con proprio timbro contenente i dati del lavoratore, il periodo al quale si riferisce la retribuzione, gli elementi della retribuzione comprensivi dell’assegno per il nucleo familiare e le trattenute. Le annotazioni in busta paga debbono corrispondere a quanto riportato sul LUL: le inesattezze e le omissioni continuano ad essere sanzionate secondo la previsione contenuta nell’art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133/2008. Nel caso in cui l’obbligo della consegna della busta paga avvenga attraverso copia delle scritturazioni effettuate sul LUL, cosa ammessa dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 23 del 30 agosto 2011, le sanzioni (trattandosi di un prospetto paga errato) sono quelle appena sopra definite (art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008) e non quelle specifiche cui fanno riferimento l’art. 5 della legge n. 4/1953 e l’art. 22, comma 7, del D.L.vo n. 151/2015.
Ma, le nuove disposizioni in materia di tracciabilità come si correlano con la previsione contenuta nell’art. 2099, comma 3, c.c. (non abrogato) secondo la quale l’erogazione della retribuzione può avvenire in tutto o in parte con partecipazione agli utili, ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura?
Ci sono, come si vede, diverse ipotesi da considerare..
Il pensiero corre, innanzitutto, a tutte quelle prestazioni, legate alla produttività o alla innovazione, frutto di accordi di secondo livello, ove parte del salario di produttività, che è misurabile, nei limiti reddituali previsti dalla norma (da ultimo, dalla stessa legge n. 205/2017), viene trasformato in benefit.
Ebbene, per questi, come per i fringe benefit, nulla cambia: essi continuano ad essere erogati come benefici in quanto rientrano nella logica che presiede alla formulazione di queste disposizioni che è rappresentata dalla tracciabilità del compenso, in quanto l’utilizzazione delle somme, ad esempio, per l’acquisto di libri o per prestazioni sanitarie, rientrano nelle ipotesi appena considerate sono sempre accompagnate da “pezze giustificative”..
Parimenti, si ritiene possibile continuare a corrispondere la retribuzione, in tutto o in parte come partecipazione agli utili che, tuttavia, dovranno essere corrisposti con una modalità “tracciabile” scelta tra quelle individuate dalla norma o dalla nota dell’INL. Lo stesso discorso vale anche per il pagamento attraverso provvigioni.
C’è, poi, la questione che sovente ricorre nei condomini o in alcune sedi aziendali ove viene concesso al custode l’alloggio di servizio, come parte della retribuzione.
A mio avviso, nella logica della tracciabilità, ciò potrà continuare ad essere riconosciuto. C’è infatti un contratto di affitto registrato, c’è un valore catastale dell’appartamento: ovviamente, la retribuzione in natura dovrà essere riportata in busta paga nella misura in cui determina un incremento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali e fiscali, come ebbe a dire il Ministero del Lavoro con la circolare n. 119 del 20 ottobre 1953.
Ma, nella vasta gamma dei datori di lavoro e dei committenti c’è qualcuno che resta fuori dagli obblighi di tracciabilità?
La risposta (comma 913) è positiva nel senso che le disposizioni non trovano applicazione nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni (in senso stretto), che sono quelle identificate dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 (Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, Enti locali, le ASL, le Comunità montane, le Istituzioni Universitarie e le scuole di ogni ordine e grado, l’ARAN, le Agenzie ex D.L.vo n. 300/1999, ecc.) e nel rapporto di lavoro domestico (qui il Legislatore cita sia quelli derivanti dalla legge n. 339/1958 che quelli disciplinati dalla contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale).
La ragione di tali eccezioni appaiono evidenti in quanto la Pubblica Amministrazione, proprio perché tale, non eroga compensi “in nero” e nel lavoro domestico l’esenzione viene dettata dalla peculiarità del rapporto che, molte volte, si svolge per poche ore e con cadenza episodica: peraltro, in quest’ultimo settore, nel caso si ricorra a prestazioni occasionali attraverso il c.d. “Libretto di Famiglia”, i pagamenti, che avvengono attraverso l’INPS, risultano “tracciati”.
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