8.060 euro l’anno per tre anni: modalità operative per le nuove assunzioni

8.060 euro l’anno per tre anni: modalità operative per le nuove assunzioni

editoriale di Eufranio MassiLe richieste che , in questi giorni, vengono da parte degli operatori riguardano, principalmente, la novità concernente le nuove assunzioni a tempo indeterminato che saranno effettuate nel corso del 2015 e che risultano fortemente incentivate. C’è da osservare come, i “media” abbiano avuto un notevole peso, propagandando l’agevolazione.
Fatta questa premessa ritengo necessario intervenire nel dibattito chiarendo che la riflessione si basa sul puro testo
(legge 23 dicembre 2014, n. 190) approvato, in via definitiva,  il 23 dicembre 2014 e che è stato pubblicato sul S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014.

Premetto che le considerazioni che seguono sono “di prima mano”, nel senso che sono effettuate prima dei chiarimenti operativi che, sicuramente, interverranno attraverso l’INPS e quelli che, auspicabilmente, “produrrà” il Ministero del Lavoro.

Le assunzioni agevolate (art. 1, commi 118 e 119) riguardano tutti i rapporti a tempo indeterminato instaurati tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2015: non c’è alcun specifico riferimento ai giovani, pur se, nella maggior parte dei casi, saranno loro ad esserne interessati.

Ma quali sono gli aspetti salienti?

Le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono (con eccezione del contratto di apprendistato) agevolate: quando, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, sarà in vigore il Decreto Legislativo sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, postulato dalla legge n. 183/2014, (ciò avverrà tra la fine di gennaio e la prima decade di febbraio) i benefici riguarderemmo anche tale tipologia contrattuale. Essa, destinata a sostituire “in toto” per i nuovi assunti l’ordinario contratto a tempo indeterminato (che, comunque, ripeto, è pienamente utilizzabile a partire dal 1° gennaio per le nuove assunzioni), ipotizzerà, appunto, le c.d. “tutele crescenti”, correlate all’anzianità del lavoratore che scatteranno, sotto forma di indennità di natura economica, in caso di licenziamento, fatte salve situazioni di nullità, discriminatorie o di risoluzioni disciplinari con motivazione palesemente insussistente, secondo la revisione prevista dell’art. 18 della legge n. 300/1970.

Le assunzioni incentivate non sono possibili per quei lavoratori che, negli ultimi sei mesi, sono stati titolari di un rapporto a tempo indeterminato o che sono stati in forza nei tre mesi antecedenti il 1° gennaio 2015, sempre a tempo indeterminato, in aziende collegate o controllate anche ex art. 2359 c.c., o anche correlate tra loro da rapporti interpersonali. Da ciò discende che potranno essere assunti ed essere qualificabili come nuove assunzioni, i lavoratori che hanno in corso (o hanno avuto) con lo stesso datore, un rapporto a tempo determinato, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, una associazione in partecipazione, un contratto intermittente, una prestazione di lavoro accessorio, una collaborazione occasionale o un contratto professionale a partita IVA.

A tal proposito pongo la questione se i benefici possano essere riconosciuti in presenza di una conversione a tempo indeterminato di un contratto a termine (che, formalmente, non è una nuova assunzione, cosa che potrebbe comportare qualche problema operativo per il datore alla luce del contratto a tutele crescenti disciplinato dall’apposito Decreto Legislativo): effettivamente, appare inconcepibile che le parti siano costrette a risolvere il rapporto e ad iniziarne un altro nuovo (non c’è bisogno di alcun “stacco” di dieci o venti giorni, essendo il secondo a tempo indeterminato) due giorni dopo, con una serie di adempimenti burocratici non necessari relativi alla cessazione ed alla nuova costituzione. Ritengo, tuttavia, che ciò, anche se poco comprensibile (ma la normativa italiana è quella che è), vada fatto: quindi interruzione del primo rapporto, breve “stacco” e stipula di un nuovo contratto a tempo indeterminato, proprio perché l’assunzione possa qualificarsi come nuova.

E’ appena il caso di sottolineare come il datore di lavoro possa riottenere il contributo aggiuntivo dell’1,40%, se pagato, relativo al precedente contratto a tempo determinato, per tutte le mensilità di esecuzione dello stesso. La restituzione appare coerente anche con il nuovo dettato normativo che parla di “non cumulabilità con altri esoneri o riduzioni di aliquote di finanziamento previste dalla normativa vigente”, in quanto la restituzione, prevista dall’art. 1, comma 135, della legge n. 147/2013, riguarda il precedente rapporto che viene trasformato o ricostituito a tempo indeterminato.

Un discorso leggermente diverso va, a mio avviso, fatto, relativamente al requisito dei sei mesi precedenti senza alcun rapporto a tempo indeterminato, per il contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato. Come è noto, tale tipologia è “sui generis” nel senso che, a prescindere dalla durata ipotizzata “a monte”, la prestazione lavorativa è strettamente subordinata alla “chiamata” dell’imprenditore, per cui potrebbe anche verificarsi che, a fronte di un contratto a tempo indeterminato, siano estremamente poche le volte in cui il lavoratore presta la sua attività.


Si potrebbe pensare, ai fini del rispetto del requisito semestrale (ma qui la parola spetta al Ministero del Lavoro ed all’INPS) che, sulla falsariga del concetto di “occupazione stabile” fornito dal Dicastero del Welfare con la circolare n. 18/2014 in ordine alla computabilità della percentuale legale del 20% relativa ai contratti a termine, possano rientrare nella fattispecie del precedente rapporto a tempo indeterminato stipulato nei sei mesi antecedenti come requisito ostativo all’assunzione agevolata, soltanto i contratti di lavoro intermittenti a tempo indeterminato per i quali il datore di lavoro riconosce l’indennità di disponibilità prevista dall’art. 36 del D.L.vo n. 276/2003.

Le agevolazioni previste riguardano la sola quota contributiva a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi INAIL, cosa che, invece, era prevista dall’art. 8, comma 9, della legge n. 407/1990) e, quasi certamente, saranno attivabili attraverso il sistema del conguaglio contributivo. La quota incentivata è per un massimo di 8.060 euro all’anno per un triennio: ciò significa che il datore di lavoro, ad eccezione di quello domestico, escluso dal campo di applicazione dei benefici, e comprese le Agenzie di somministrazione, paga soltanto la eventuale differenza contributiva, a suo carico, superiore a tale somma. Ovviamente, se la quota contributiva è, ad esempio, di 6.000 euro il beneficio sarà fino a tale importo. A quanto appena detto va aggiunto che un altro comma della legge n. 190/2014, prevede un ulteriore vantaggio che è rappresentato dalla possibilità di scomputare dalla base di calcolo per l’IRAP le spese del personale sostenute per i contratti a tempo indeterminato (nel campo di applicazione rientrano anche l’apprendistato che è un contratto a tempo indeterminato – art. 1, comma 1, del D.L.vo n. 167/2011 – e, per scelta del Legislatore, anche i contratti a termine degli operai agricoli).

Gli incentivi (comma 119) riguardano anche i datori di lavoro del settore agricolo. La norma che è stata inserita nel passaggio al Senato, presenta alcune particolarità. Le assunzioni a tempo indeterminato, con esclusione dell’apprendistato, non possono riguardare lavoratori che nel corso del 2014 hanno avuto rapporti, in agricoltura, a tempo indeterminato o che abbiano avuto rapporti a termine con un numero di giornate denunciato negli elenchi nominativi, pari o superiore a 250 nel predetto anno solare (“rectius” civile, atteso che il riferimento è sempre 1° gennaio – 31 dicembre). In questo specifico settore le agevolazioni sono riconosciute “a domanda”: l’INPS evade le istanze seguendo l’ordine cronologico, fino ad esaurimento dei fondi specifici assegnati

Il comma 120 pone, esclusivamente per tale settore, alcune limitazioni nel senso che le assunzioni sono agevolate, fino a concorrenza dei fondi disponibili: 2 milioni di euro nel 2015, 15 milioni, rispettivamente per il 2016 ed il 2017, 11 milioni per il 2018 e 2 milioni per il 2019. In caso di carenza di risorse, l’INPS ne darà notizia sul proprio sito internet.

I benefici per le nuove assunzioni (che non riguardano, è bene sottolinearlo, l’apprendistato nelle sue tre tipologie che gode, di per se stesso, di specifici incentivi di natura contributiva, economica, normativa e fiscale) non sono strutturali, in quanto si riferiscono soltanto a quelle avvenute in un arco temporale di dodici mesi compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2015: inoltre, è fatto assoluto divieto di fruire per lo stesso lavoratore del beneficio se l’interessato ne ha già consentito il “godimento” attraverso una precedente assunzione a tempo indeterminato (cosa del tutto diversa dall’incentivo previsto dall’art. 8, comma 9, della legge n. 407/1990 che verrà meno a partire dal prossimo 1° gennaio). La disposizione è stata, indubbiamente, pensata per evitare, nei limiti del possibile, un uso capzioso o distorto dell’agevolazione.

Il Legislatore precisa che “l’esonero di cui al presente comma non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente”. Da ciò sembrerebbe dedursi che, ad esempio, seppur contenute in una normativa speciale, le agevolazioni previste per l’assunzione di disabili con forte handicap, individuate dall’art. 13 della legge n. 68/1999, non saranno cumulabili: ovviamente, se sarà così (ma occorrerà un chiaro pronunciamento amministrativo), i datori di lavoro sceglieranno quella maggiormente conveniente.

Ma come fa un datore di lavoro ad esser sicuro che nei sei mesi antecedenti un lavoratore non abbia avuto alcun rapporto a tempo indeterminato, atteso che, dopo l’abolizione del libretto di lavoro, avvenuta con il D.L.vo n. 297/2002, non c’è alcun documento immediatamente consultabile?

La risposta è che il prestatore può ben rilasciare una dichiarazione ex DPR n. 445/2000 con la quale, sotto propria responsabilità, dichiara non esservi condizioni ostative all’assunzione. Tale dichiarazione, indubbiamente, cautela il datore di lavoro, nel senso che, a fronte di una eventuale rivendicazione “ex post” da parte dell’Istituto previdenziale, potrebbe sempre richiedere, civilisticamente, il risarcimento all’interessato. A mio avviso, al di là di quanto appena detto, è opportuno che il datore acquisisca, all’atto dell’assunzione, un attestato del centro per l’impiego, rilasciato al lavoratore, che dimostri lo “status” di assenza di rapporti a tempo indeterminato nei sei mesi antecedenti.

L’agevolazione prevista nella legge n. 190/2014 è un nuovo incentivo che, al momento, non si sostituisce a quelli già presenti in altre norme. Infatti, per le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, finchè rimarrà la norma (31 dicembre 2016), il datore di lavoro potrà, liberamente, decidere (nel nuovo contratto a “tutela crescente”) se avvalersi del beneficio specifico previsto dalla legge n. 223/1991 (diciotto mesi di contribuzione pari al 10% oltre al 50% dell’indennità di mobilità non ancora percepita dall’interessato) o vedersi riconoscere l’agevolazione di 8.060 euro all’anno per tre anni. Un discorso del tutto analogo va fatto anche per le altre assunzioni incentivate: mi riferisco, ad esempio, agli ”over 50” disoccupati da oltre dodici mesi, alle donne senza lavoro stabile da almeno sei mesi, in alcune zone del Mezzogiorno, o da ventiquattro su tutto il territorio nazionale che sono portatori di benefici contributivi specifici (riduzione contributiva del 50% per diciotto mesi) o, infine, almeno fino al 30 giugno 2015, per i giovani destinatari delle disposizioni contenute nell’art. 1 del D.L. n.76/2013.

Ci sono, a questo punto, due situazioni particolari rispetto alle quali, in attesa dei chiarimenti amministrativi del Ministero del Lavoro, mi sento spinto a fornire alcune delucidazioni: mi riferisco, “in primis”, alle assunzioni da parte dell’impresa aggiudicataria di un appalto del personale già in forza a tempo indeterminato presso l’impresa cedente. E’ una “nuova assunzione” foriera di incentivi o no?

La risposta è negativa in quanto i lavoratori assunti hanno avuto nei sei mesi precedenti, un rapporto di lavoro subordinato con un altro datore di lavoro (impresa cedente). A ciò, per quel che può valere, ricordo che l’art. 7 del Decreto Legislativo attuativo della delega sul contratto a tutele crescenti, afferma che ai fin i del calcolo dell’anzianità di servizio si tiene conto di tutto il periodo durante il quale i lavoratori sono stati impiegati nell’attività appaltata (in sostanza, ai fini risarcitori il rapporto di lavoro è considerato, tra vecchio e nuovo datore, come un “unicum”). Tutto questo potrebbe causare alcune resistenze da parte del nuovo datore ad assorbire personale già in forza a tempo indeterminato sull’appalto, soprattutto, laddove il CCNL non pone obblighi (ad esempio, quello delle imprese di pulizia del settore artigiano, parla di incontro tra le due aziende finalizzato a risolvere i problemi occupazionali).

La seconda questione concerne  il trasferimento di azienda, qualunque sia l’operazione compiuta (trasferimento totale, trasferimento di ramo di azienda, fusione, usufrutto o affitto di azienda): il rapporto, afferma l’art. 2112 c.c. continua con il cessionario ed i lavoratori conservano tutti i diritti che ne derivano. Anche qui, pur volendo parlare di nuova assunzione perché cambia la titolarità del datore, l’incentivo non può esser riconosciuto, in quanto nei sei mesi precedenti i lavoratori avevano in essere un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E la stessa cosa può affermarsi nel caso in cui l’impresa cessionaria non abbia assunto tutti i lavoratori in forza: quelli che sono “rimasti fuori” hanno un diritto di precedenza /art. 47, comma 6, della legge n. 428/1990) nelle assunzioni effettuate dalla stessa entro un anno dalla data del trasferimento, o entro il periodo maggiore previsto dagli accordi collettivi. Pur se le assunzioni di questi lavoratori che sono in trattamento ASpI (o NASpI secondo la nuova denominazione) o in mobilità avvengono dopo sei mesi, l’incentivo non spetta perché l’art. 12, lettera a), della legge n. 92/2012 afferma che gli incentivi non spettano se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o di contratto collettivo.

La disposizione parla, sempre di “esonero” a differenza del testo originario ove gli 8.060 euro venivano catalogati come “sgravio contributivo”. I termini, non sono sinonimi ed aver, alla fine, optato per il concetto di esonero contributivo, sia pure temporale, fa sì che, ai fini del godimento della agevolazione, ci si possa limitare, quale condizione per la fruizione, al rispetto della regolarità contributiva, delle norme in materia di sicurezza, dei trattamenti economici e normativi previsti dalla contrattazione collettiva anche di secondo livello, se esistente (requisiti richiesti dall’art. 1, commi 1175 e 1176 della legge n. 296/2006), ed al rispetto dei diritti di precedenza come stabilito dall’art. 4, commi 12 e seguenti, della legge n. 92/2012. Parlare, invece, di “sgravio contributivo” come si affermava nel disegno di legge, significava, a mio avviso, richiamare anche le disposizioni comunitarie tra cui:

a)      Incremento netto dell’occupazione, rispetto alla media della forza lavoro occupata nell’anno precedente, secondo il c.d. “metodo ULA”, con la non computabilità, tra gli altri, di coloro che si sono dimessi o sono stati licenziati per giusta causa o hanno trasformato il proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Il tutto, riferito all’azienda nel suo complesso e non alla singola unità produttiva ove viene inserito il lavoratore assunto;

b)      Rispetto delle condizioni generali di compatibilità con il mercato interno, previste dai Regolamenti comunitari.

Si tratta di condizioni che sono state, in gran parte, alla base del “flop” realizzatosi con le agevolazioni ex art. 1 del D.L. n. 76/2013 e che sono state, ampiamente, criticate dall’attuale Ministro del Lavoro ma che, peraltro, in una sorta di “copia ed incolla”, l’Esecutivo ha ripetuto nel D.L. n. 91/2014, convertito nella legge n. 116/2014 che, all’art. 5, intende favorire l’occupazione, anche a tempo determinato, degli “under 35” in agricoltura.

L’aver fatto prevalere il concetto di esonero, sia pure limitato nel tempo e motivato dalla grave crisi occupazionale (oltre il 43% dei giovani non lavora), fa sì che si possa pensare ad una contribuzione del tutto autonoma ed agevolata, non vincolata al rispetto delle norme comunitarie, come avviene, ad esempio, nelle zone montane o disagiate in agricoltura o per i lavoratori marittimi (ma qui è strutturale). L’esonero non si presenta come un aiuto di Stato, in quanto non è, assolutamente rinvenibile un criterio di selettività.

A partire dal 1° gennaio 2015 cessa di vivere l’art. 8, comma 9, della legge n 407/1990 ma il comma 121 garantisce che esso continuerà ad esplicare i propri effetti  per i rapporti instaurati entro il 31 dicembre 2014: ciò avviene prima della revisione di tutti gli incentivi all’occupazione, prevista all’interno del Jobs act, ma la ragione è, senz’altro, da rinvenirsi nella necessità di trovare una copertura finanziaria alla nuova agevolazione che, al momento, è temporanea ma che esplica i propri effetti nel triennio successivo.

Viene cancellata una agevolazione strutturale che ha consentito, in quasi un quarto di secolo, l’assunzione a tempo indeterminato dei disoccupati da oltre ventiquattro mesi (tra cui, ovviamente, molti giovani) o di lavoratori in CIGS da un uguale periodo con incentivi di natura contributiva per trentasei mesi, pari al 50% di quanto dovuto per tale voce dalle aziende ubicate al centro – nord be del 100% per quelle del Mezzogiorno e per le imprese artigiane che operano su tutto il territorio nazionale.

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con la circolare n. 19/2014, ha messo in evidenza, in una pregevole proiezione, le agevolazioni previste dalla nuova normativa e le ha confrontate con quelle ex lege n. 407/1990 per le imprese artigiane e per le aziende del Meridione, rilevando una differenza nel triennio, valutando il solo aspetto contributivo, di qualche migliaio di euro.

Le norme sopra descritte non presentano alcun deterrente esplicito nei confronti del datore di lavoro se non il rispetto preventivo delle condizioni sopra esaminate finalizzate al godimento delle agevolazioni contributive. Ciò potrebbe portare lo stesso a risolvere il rapporto al termine del periodo di godimento del beneficio triennale, per una motivazione di contenuto economico, pagando l’indennità economica crescente che, ferma restando una quota base, comunque, garantita, sarebbe pari a due mensilità  dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di anzianità, con una base di partenza rapportata alle quattro mensilità (i valori sono dimezzati per le aziende dimensionate sotto le sedici unità). In sostanza, se così fosse, si potrebbe avere, in alcune ipotesi, una sorte di contratto a termine agevolato economicamente per il quale non si pagano i contributi nel triennio con un indennizzo a favore del lavoratore nel momento in cui, alla fine dell’esonero contributivo il datore di lavoro, decidesse di recedere dal rapporto. Esso si contrappone all’usuale contratto a tempo determinato ex D.L.vo n. 368/2001 ove la contribuzione è piena e maggiorata dell’1,40% (fatta salva la stagionalità e le ipotesi sostitutive) ma ove l’imprenditore può giungere al traguardo dei  trentasei mesi utilizzando un numero indefinito di rinnovi ed accedendo ad un massimo di cinque proroghe in tutto il periodo considerato.

Il nuovo incentivo andrà, senz’altro, in concorrenza anche con la c.d. “garanzia Giovani” che sta scontando, in questa fase di avvio, una serie di ostacoli e di lungaggini di natura burocratica, che accompagnano l’erogazione di agevolazioni alle assunzioni anche a tempo indeterminato le quali, tuttavia, “non reggono” la concorrenza, sotto l’aspetto economico, dei benefici previsti dalla legge n. 190/2014.

Un discorso analogo può farsi per l’apprendistato professionalizzate: qui le agevolazioni che sono di natura contributiva, economica, normativa e fiscale sono, indubbiamente, maggiori ma, nel momento economico che attraversa il nostro Paese pesa, forse, il termine di tre anni al raggiungimento del quale è possibile recedere dal rapporto dando il preavviso contrattuale: esso viene considerato  è molto lontano e “rigido”. Ciò potrebbe far propendere molti datori di lavoro (soprattutto i tradizionali fruitori del contratto che operano nei settori dell’artigianato e del terziario) verso forme più flessibili di gestione del rapporto (e tale è contratto a tutele crescenti che presenta, indubbiamente, più tutele rispetto ad improbabili tirocini o prestazioni di lavoro accessorio)…

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 357 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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